20. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra
Devo confessare che il salire e il discendere frequentemente le scale della mia cara chiesetta mi porta ad un contatto più vivo con il mio Signore e, nello stesso tempo, con il senso profondo della mia missione. Salgo le scale per adorarlo, scendo per servirlo. Mi piacerebbe se si potesse scrivere sull’ingresso del mio Istituto: “Qui Cristo viene adorato e servito”. Cristo viene adorato nella preghiera, e servito nei ragazzi.
La preghiera mentre tiene vivo il senso della presenza di Cristo nei ragazzi, aiuta a comprendere che tutto quello che faccio ai miei ragazzi lo faccio al mio Signore: “Quello che avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me”.
Una vita unificata
Quando parlo ai miei confratelli che condividono con me la stessa missione, ricordo sovente la necessità dell’unione di questi due momenti. La nostra vita intensamente attiva infatti comporta un mescolarsi con le vicende umane, un camminare sulla terra polverosa della gestione quotidiana, spesso dura e pesante, uno stare in mezzo a ragazzi non sempre docili o educati, il contatto con persone che risentono degli ambienti rozzi e persino volgari da cui provengono.
E ciò può sembrarci poco raffinato dal punto di vista spirituale, perché camminando nelle strade del mondo possiamo “sporcarci i piedi”.
Ma lo “sporcarsi i piedi” nella conduzione laboriosa delle nostre attività, per vivere in mezzo ai giovani e per i giovani, fa parte della nostra missione che quindi va assunta con dignità e serenità, accettandone tutta la pesantezza e i rischi, per amore e solo per amore. La nostra missione è qualche cosa di più del dire cose belle: è anche il calare le cose belle nella pasta sorda e non facilmente permeabile della quotidianità.
Lo “sporcarsi i piedi” è anche la verifica di quello che siamo. E’ facile infatti illudersi di essere virtuosi, fino a quando non si è messi alla prova, fino a quando non si risponde all’invito del Signore che bussa alla porta del nostro cuore e dice: “scendi nella vita confusa e disorientata dei miei piccoli e parla loro di me, con le parole e con le opere” .
Occorre anche tenere sempre presente l’indicazione di S. Agostino, che richiama la necessità di risalire sovente le scale della chiesa, cioè della preghiera, “perché perso il gusto delle cose celesti, non corriamo il rischio di passare nel numero di coloro che apprezzano solo le cose terrestri”.
E ancora: “Quando ci viene a mancare la soavità della contemplazione, corriamo il pericolo di restare schiacciati sotto il peso del lavoro apostolico”
Una vita intensa
La nostra vita è dunque un alternarsi di salire e discendere, di preghiera e di attività, di Pietas et Labor. Del resto il nostro Istituto sorge proprio sul terreno di un monastero benedettino che aveva come motto Ora et Labora, prega e lavora. E’ una vita intensa non solo per il molto bene che si può fare, ma anche per il contatto con la profonda realtà della vita cristiana, nella quale il più è invisibile, perché quello che si vede è soltanto la punta dell’iceberg di una realtà immensamente più grande e importante in quanto porta con sé una scintilla di eternità, cioè la presenza del Signore da riconoscere, da amare, da servire.
Pietas et labor per scoprire il fondamento primo ed ultimo di ogni cosa e per raggiungerlo in ogni cosa. Come è ricca la nostra vita!
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