Da "i pensieri di padre Piamarta"
Una madre non rigetta il suo figlio alla prima colpa. Se è respinta, ritenta dieci, venti, cento volte e l'abbandona solo quando è sparita ogni speranza. Questa è una pallida immagine di Colui che disse: «Quando una madre abbandonasse i suoi figli, io non vi abbandonerò mai» (Is. 49). Egli che ha ideato l'Incarnazione per salvarci, Egli che ha versato fino all'ultima goccia il suo sangue inventerebbe mille altre Incarnazioni e salirebbe altre mille volte il Calvario anche per salvare un' anima sola. Quando un'anima è in pericolo di morte, soprattutto se manca la presenza del Sacerdote, per amministrare i Sacramenti, Egli non tralascia nulla per salvarla... Egli aspetta. Egli indugia. Perché Egli aspetta? Aspetterà, forse l'ora nella quale saremo pronti per morire e così godere del piacere della nostra perdizione eterna? Sarebbe una bestemmia pensarlo! Invece aspetterà il momento nel quale potrà dimenticare le nostre debolezze ed accoglierci tra le sue braccia. Il grande inno dell'eternità sarà l'inno della pazienza e delicatezza sapiente dell'amore di Dio.
Gesù Cristo assicura i suoi discepoli che il suo Padre celeste li ama. Non dice: «lo pregherò il mio Padre perché vi ami, ma che il Padre già vi ama». «Ipse enim Pater diligi vas». Quasi volesse dire: «State pur certi che le mie orazioni non vi mancheranno, ma anche se, caso impossibile, vi mancassero, ricorrete direttamente a mio Padre perché lui vi vuole bene.
Come un giovane sposo, nobile e puro, ama quella che si è scelta come compagna della vita, così Dio amò e adornò le nostre anime, le adornò di bellezze per poterle amare ancora più intensamente. Nessun sacrificio gli è stato così grave per ottenere il nostro amore.
Ho sempre pensato che la Provvidenza divina che nella vita di ogni uomo si manifesta tanto buona e misericordiosa, diventa tanto più buona e misericordiosa nel momento della morte: diventa cioè più vigile e amorosa per ciascuno di noi. Ciascuno di noi, senza avvedersene muore nell'ora più opportuna per la sua salvezza eterna.
Per quanto l'uomo sia malvagio, orgoglioso e peccatore, la bontà divina, senza far violenza al suo libero arbitrio, compie un supremo sforzo di carità e lo compie per salvare la sua creatura prediletta. La maniera, poi, del morire, le lunghe o brevi infermità, i pochi o molti dolori, le terribili o placide agonie, la morte prevista o istantanea, tutto serve nella stessa misura alla benefica Provvidenza che è tutta Amore.
Una madre non rigetta il suo figlio alla prima colpa. Se è respinta, ritenta dieci, venti, cento volte e l'abbandona solo quando è sparita ogni speranza. Questa è una pallida immagine di Colui che disse: «Quando una madre abbandonasse i suoi figli, io non vi abbandonerò mai» (Is. 49). Egli che ha ideato l'Incarnazione per salvarci, Egli che ha versato fino all'ultima goccia il suo sangue inventerebbe mille altre Incarnazioni e salirebbe altre mille volte il Calvario anche per salvare un' anima sola. Quando un'anima è in pericolo di morte, soprattutto se manca la presenza del Sacerdote, per amministrare i Sacramenti, Egli non tralascia nulla per salvarla... Egli aspetta. Egli indugia. Perché Egli aspetta? Aspetterà, forse l'ora nella quale saremo pronti per morire e così godere del piacere della nostra perdizione eterna? Sarebbe una bestemmia pensarlo! Invece aspetterà il momento nel quale potrà dimenticare le nostre debolezze ed accoglierci tra le sue braccia. Il grande inno dell'eternità sarà l'inno della pazienza e delicatezza sapiente dell'amore di Dio.
Gesù Cristo assicura i suoi discepoli che il suo Padre celeste li ama. Non dice: «lo pregherò il mio Padre perché vi ami, ma che il Padre già vi ama». «Ipse enim Pater diligi vas». Quasi volesse dire: «State pur certi che le mie orazioni non vi mancheranno, ma anche se, caso impossibile, vi mancassero, ricorrete direttamente a mio Padre perché lui vi vuole bene.
Come un giovane sposo, nobile e puro, ama quella che si è scelta come compagna della vita, così Dio amò e adornò le nostre anime, le adornò di bellezze per poterle amare ancora più intensamente. Nessun sacrificio gli è stato così grave per ottenere il nostro amore.
Ho sempre pensato che la Provvidenza divina che nella vita di ogni uomo si manifesta tanto buona e misericordiosa, diventa tanto più buona e misericordiosa nel momento della morte: diventa cioè più vigile e amorosa per ciascuno di noi. Ciascuno di noi, senza avvedersene muore nell'ora più opportuna per la sua salvezza eterna.
Per quanto l'uomo sia malvagio, orgoglioso e peccatore, la bontà divina, senza far violenza al suo libero arbitrio, compie un supremo sforzo di carità e lo compie per salvare la sua creatura prediletta. La maniera, poi, del morire, le lunghe o brevi infermità, i pochi o molti dolori, le terribili o placide agonie, la morte prevista o istantanea, tutto serve nella stessa misura alla benefica Provvidenza che è tutta Amore.
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