"Primo incontro con padre Piamarta" di Pier Giordano Cabra
Capitolo sesto
1. L’Istituto Artigianelli nasce proprio nel cuore del centro storico della città, in un ambiente che per mille anni era stato permeato dallo spirito di San Benedetto, il cui motto era ora et labora. Napoleone aveva soppresso il monastero benedettino femminile di Santa Giulia ed i locali erano adibiti a caserma, mentre il vasto “brolo”, o ortaglia, era rimasto incolto. Ed è qui che Padre Piamarta fa rivivere lo spirito benedettino, facendone la cittadella del lavoro, anzi del “pietas et labor”, della preghiera e del lavoro, del lavoro che scaturisce dalla preghiera, di un lavoro che diventa mezzo per guadagnarsi la vita presente e quella futura.
2. L’esempio di simbiosi tra preghiera e lavoro, lo dava lui: prestissimo in piedi, verso le quattro del mattino. Due ore di preghiera, più sovente tre con la Santa Messa. Prima di aprire una finestra sulla terra, apriva quella con il cielo, per ricevere luce e forza. Poi giù, il giorno intero, a pensare a tutto, perché c’era proprio bisogno di tutto. Di quante cose doveva interessarsi il Padre, cose di cui non aveva la minima competenza, ma che si sentiva in dovere di intraprendere “per amore, solo per amore” dei suoi ragazzi.
Come dir di no ad una madre vedova con altri figli a carico che gli chiedeva in lacrime di accoglierne almeno uno? Come respingere il parroco che veniva a portargli un ragazzo triste e spaurito, cui erano morti entrambi i genitori? Come non trovare un posto per quel ragazzo dall’apparenza spavalda, ma che non sapeva dove andare a dormire la notte?
Per i suoi ragazzi doveva provvedere un posto a tavola, uno in dormitorio, uno in officina, uno in scuola, uno in chiesa, uno in ricreazione. Occorreva impiantare laboratori, acquistare macchinari, occorrevano collaboratori fidati, occorrevano benefattori generosi, mentre lui era così restio a chiedere…
3. E alla sera conclude la giornata con lunga sosta in Chiesa per ringraziare, dopo aver corso dietro ai ragazzi, ai contratti, ai muratori, a dover trattare con chi magari voleva imbrogliarlo… I giorni più amari però erano quelli in cui aveva dovuto dire un doloroso “no” a qualche richiesta insistente di accogliere un nuovo ragazzo: “Non abbiamo più posto!”
4. Si sussurrava che avrebbe fallito presto, essendo un “poeta dell’economia”… Ma sul campo imparò l’economia senza perdere la poesia delle cose alte dello spirito e della vita quotidiana. “Facciamo economia per accettare un orfano in più”, diceva frequentemente. “Se facciamo la nostra parte, la Provvidenza farà la sua”.
5. Quanto alle officine, cominciò con la tipografia “Queriniana”, nome che viene dal dottissimo cardinal Querini, vescovo di Brescia nella prima metà del 1700, e sarà la culla della vigorosa stampa cattolica cittadina.
Seguiranno altre officine, laboratori e attività: edilizia, falegnameria, fabbri, sartoria, panificio, calzolai, meccanica, elettricità: un mare di iniziative per tener dietro allo sviluppo delle arti e dei mestieri, per offrire ai suoi ragazzi il meglio… Un mare di “triboli e spine”, ma anche un mare di ragazzi salvati dalla miseria e dalla strada e avviati a diventare “bravi artigiani, buoni cristiani, ottimi cittadini”. Qualche anno dopo, in pieno boom dell’industria, un giornale potrà scrivere: “Buona parte delle maestranze della florida industria bresciana è uscita dall’Istituto Artigianelli”.
6. Il Padre voleva educare uomini completi, con i piedi per terra e con il cuore in alto, capaci di affrontare il “qui e ora” e il “sempre”, col desiderio di farsi onore in questa vita e di essere onorati nell’altra, degni cittadini della Patria terrena e felici cittadini della Patria celeste. Non sono pochi quelli che hanno dimostrato che il suo lavoro non è stato vano.
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