Giovanni Battista Piamarta: una vita per i giovani di Gabriele Filippini
Dopo quasi quattro anni di parroco e dopo che anche il Vescovo conosce il progetto e lo condivide, don Giovanni Battista Piamarta, lascia Pavone Mella, è il 1° febbraio del 1887. La gente è dispiaciuta ma ha capito e sa: lo attende una grande impresa a favore della gioventù. Anche in questo distacco obbedisce al Vescovo.
Il cammino ora è irreversibile. E la strada a senso unico è imboccata la sera del 3 dicembre del 1886, primo venerdì del mese e memoria di San Francesco Saverio. Don Piamarta è ancora il parroco di Pavone. Ma si trova a Brescia, nella cappella del Sacro Cuore del Seminario di San Cristo: celebra la messa per quattro ragazzi orfani e due chierici. Dopo la celebrazione eucaristica il gruppetto scende non molte decine di metri dal Seminario, in due casupole in un vasto brolo all'ombra dell'antico monastero femminile di Santa Giulia. Ormai è nato l'Istituto Artigianelli. E il fondatore per quei ragazzi non è più il signor curato né don Giovanni. É il padre, semplicemente; padre Piamarta.
Dopo quasi quattro anni di parroco e dopo che anche il Vescovo conosce il progetto e lo condivide, don Giovanni Battista Piamarta, lascia Pavone Mella, è il 1° febbraio del 1887. La gente è dispiaciuta ma ha capito e sa: lo attende una grande impresa a favore della gioventù. Anche in questo distacco obbedisce al Vescovo.
Il cammino ora è irreversibile. E la strada a senso unico è imboccata la sera del 3 dicembre del 1886, primo venerdì del mese e memoria di San Francesco Saverio. Don Piamarta è ancora il parroco di Pavone. Ma si trova a Brescia, nella cappella del Sacro Cuore del Seminario di San Cristo: celebra la messa per quattro ragazzi orfani e due chierici. Dopo la celebrazione eucaristica il gruppetto scende non molte decine di metri dal Seminario, in due casupole in un vasto brolo all'ombra dell'antico monastero femminile di Santa Giulia. Ormai è nato l'Istituto Artigianelli. E il fondatore per quei ragazzi non è più il signor curato né don Giovanni. É il padre, semplicemente; padre Piamarta.
E questa paternità quella stessa sera la esperimenta con un gesto tipico dei genitori: nella casa ci sono solo quattro scodelle per la minestra. Sono per i quattro ragazzi. Lui rimane senza. Per amore loro. La sua vita comincia a consumarsi per i giovani. Forse vedendo i quattro ragazzi, ormai suoi figli spirituali, ristorarsi con la povera ma calorosa cena risuonano nel suo cuore le parole che sono per lui un canto, un ritornello costante, la musica e la poesia della sua vita: “per amore, solo per amore”...
Le due povere case vecchie, unite da un tratto di fabbricato recente sono state messe a disposizione da mons. Capretti che con l'amico Piamarta guida il neonato Istituto. Nell'edificio c'è anche una piccola tipografia dal cui lavoro deve venire il sostegno degli orfani.
Se è vero che nella storia dei cristiani non esistono coincidenze ma solo provvidenze, allora è significativo che la nascita degli Artigianelli avviene in un luogo carico di fede, storia e laboriosità. Infatti l'ortaglia circostante è a ridosso di quella che in passato fu il parlatorio del monastero di San Salvatore, ora complesso museale di Santa Giulia. Fondato dal re longobardo Desiderio, per secoli accolse una comunità di Benedettine che hanno sperso la loro vita secondo lo spirito della regola che ha il suo centro nell'ora et labora. Prega e lavora. In quel monastero Manzoni colloca la morte di Ermengarda quando era badessa la sorella Ansa. Secoli e secoli di preghiere e operosità aleggiano in quel luogo, divenuto dopo le soppressioni napoleoniche una caserma e area di depositi vari.
Piamarta ne continua la storia, pur in tempi diversi: pietas et labor è il lapidario motto latino che fa da programma alla sua opera. Si può tradurre fede e lavoro. Infatti la sua preoccupazione è solo quella di trasformare ragazzi che sarebbero figli della strada o di nessuno e, pertanto, indotti a sbarcare il lunario con miseri espedienti o con atti di micro criminalità, col rischio sempre incombente di scivolare nei vizi, nella violenza, nella insignificanza sociale, in ragazzi e giovani completi: buoni cristiani, ottimi cittadini, qualificati lavoratori, capaci di spendere al meglio la propria vita, dando un contributo costruttivo alla patria terrena, nella certezza di essere chiamati alla patria del cielo. Piamarta voleva i suoi giovani con i piedi ben piantati per terra ma con lo sguardo teso a quel cielo che dà valore anche all'impegno in terra.
Questa opera, certamente nuova e singolare per Brescia, ha però significative analogie e sintonie: l'opera di don Bosco a Torino e quella del Pavoni, ancor prima, a Brescia.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.