A 24 anni il 23 dicembre del 1865 viene ordinato sacerdote da mons. Gerolamo Verzeri. Il giorno di Natale celebra la sua prima messa a Bedizzole, dove nel frattempo è diventato parroco il suo maestro don Pezzana.
La celebrazione è quella solenne del Natale e a fare da corona a don Giovanni Battista vi è un gruppo di giovani amici venuti dalla parrocchia cittadina di San Faustino. C'è anche papà Giuseppe. La festa che ne segue è semplice e familiare, tipica di quegli anni di povertà.
Il novello prete ha di fronte anni vivaci e difficili per il contesto sociale e politico: infatti, con il processo che porta all'unità d'Italia nel marzo del 1861, si apre una questione scottante: Roma, capitale d'Italia. Questo significa fare i conti con il potere temporale del Papa, capo dello Stato Pontificio. La Chiesa è vista da non pochi italiani come un ostacolo al progresso e alla edificazione del futuro della Penisola, con tutti gli eccessi anticlericali che ne potevano seguire.
Ma è proprio questo clima fervente, quasi da sfida, che rende entusiasmati i primi passi di un prete bresciano novello che durante la sua prima messa prega il Signore di aiutarlo a non essere un servo inutile. Per questo non perde tempo: già nella festa di Santo Stefano, il 26 dicembre del 1869. Sono anni intensi di lavoro per il giovane curato che cura particolarmente del 1865, parte per Carzago Riviera, sua prima destinazione. A Carzago rimane fino al 5 aprile due settori pastorali: la Dottrina Cristiana e la gioventù. La piccola comunità di Carzago è fatta da famiglie semplici, dedite per lo più al lavoro della terra. É a questa gente buona e umile che spiega con passione il catechismo della Chiesa romana, nel solco della tradizione che era andata con frutto consolidandosi dal Concilio di Trento in poi. Coi giovani, invece, introduce alcune novità quali le serene passeggiate nelle vicinanze, soprattutto a Vallio che ben conosce. E queste ore serene diventano occasione di formazione, catechesi, educazione umana e cristiana. Il giovane prete è bravo e piace. Per questo il parroco di Bedizzole, quel don Pezzana che ben conosce le qualità del curato di Carzago, lo vuole suo collaboratore. Nel 1869 don Piamarta è trasferito a Bedizzole.
Si tratta di una salto che lo inserisce in una realtà pastorale molto diversa: se Carzago conta circa 500 abitanti, Bedizzole ne ha 3.500, sparsi in un vasto territorio di contrade, con le loro cappellanie. Don Giovanni Battista, a fianco dell'amato parroco don Pancrazio, lavora molto. Fa la spola da una frazione all'altra, con quel passo a causa del quale qualcuno lo paragona al “bersagliere”. Coi giovani continua la sua azione illuminata e carica di passione, con un aiuto in più di grande valore e significato: una comunità di Suore Canossiane, famiglie religiosa sorta a Verona all'inizio dell'Ottocento.
Anche a Bedizzole il curato Piamarta è amato e stimato. Ma ecco un imprevisto: alla fine del 1870 il parroco don Pezzana viene chiamato a guidare la parrocchia di S. Alessandro, nel cuore della città. Accetta alla condizione che venga trasferito con lui anche il curato. I due affiatati sacerdoti giungono in città e cominciano un lavoro straordinario.
S. Alessandro è un quartiere eterogeneo, molto diverso da quello popolare di San Faustino. Vi sono bei palazzi nobiliari, sedi istituzionali, case religiose e tante abitazioni popolari. Don Piamarta ha 29 anni, conosce Brescia, va d'accordo col parroco e gli altri sacerdoti della città, ha una grande passione apostolica e si butta a capo fitto nel lavoro pastorale. É proprio in questi anni che viene definito “don argento vivo”, tanto è il suo muoversi e correre di qua e di là. Ma non a vuoto: la sua azione scaturisce da una profonda e autentica vita spirituale. É pure di questi anni la voce che gira fra la gente: è un santo. La gente ha fiuto e vede subito da come celebra la messa, prega, predica...
La presenza di don Piamarta a S. Alessandro è preziosa per la vita liturgica e il decoro della chiesa. Nel periodo di tempo in cui è lui ad interessarsi della sacrestia si dà da fare per dotare la parrocchia di paramenti e arredi sacri degni della loro funzione.
Ma più preziosa ancora è la sua azione fra i parrocchiani. É amato e ammirato dai fedelissimi. Ma è anche stimato dai lontani, generalmente anticlericali per ragioni politiche. Infatti dopo la presa si Porta Pia e la fine dello Stato pontificio sorge la Questione Romana che per decenni vede anche i cattolici, clero incluso, schierati sul fronte liberale che osannava alla nuova Italia unita e il fronte intransigente che valutava la perdita del potere temporale del Papa come una ferita fatta alla Chiesa e una offesa verso la religione.
La celebrazione è quella solenne del Natale e a fare da corona a don Giovanni Battista vi è un gruppo di giovani amici venuti dalla parrocchia cittadina di San Faustino. C'è anche papà Giuseppe. La festa che ne segue è semplice e familiare, tipica di quegli anni di povertà.
Il novello prete ha di fronte anni vivaci e difficili per il contesto sociale e politico: infatti, con il processo che porta all'unità d'Italia nel marzo del 1861, si apre una questione scottante: Roma, capitale d'Italia. Questo significa fare i conti con il potere temporale del Papa, capo dello Stato Pontificio. La Chiesa è vista da non pochi italiani come un ostacolo al progresso e alla edificazione del futuro della Penisola, con tutti gli eccessi anticlericali che ne potevano seguire.
Ma è proprio questo clima fervente, quasi da sfida, che rende entusiasmati i primi passi di un prete bresciano novello che durante la sua prima messa prega il Signore di aiutarlo a non essere un servo inutile. Per questo non perde tempo: già nella festa di Santo Stefano, il 26 dicembre del 1869. Sono anni intensi di lavoro per il giovane curato che cura particolarmente del 1865, parte per Carzago Riviera, sua prima destinazione. A Carzago rimane fino al 5 aprile due settori pastorali: la Dottrina Cristiana e la gioventù. La piccola comunità di Carzago è fatta da famiglie semplici, dedite per lo più al lavoro della terra. É a questa gente buona e umile che spiega con passione il catechismo della Chiesa romana, nel solco della tradizione che era andata con frutto consolidandosi dal Concilio di Trento in poi. Coi giovani, invece, introduce alcune novità quali le serene passeggiate nelle vicinanze, soprattutto a Vallio che ben conosce. E queste ore serene diventano occasione di formazione, catechesi, educazione umana e cristiana. Il giovane prete è bravo e piace. Per questo il parroco di Bedizzole, quel don Pezzana che ben conosce le qualità del curato di Carzago, lo vuole suo collaboratore. Nel 1869 don Piamarta è trasferito a Bedizzole.
Si tratta di una salto che lo inserisce in una realtà pastorale molto diversa: se Carzago conta circa 500 abitanti, Bedizzole ne ha 3.500, sparsi in un vasto territorio di contrade, con le loro cappellanie. Don Giovanni Battista, a fianco dell'amato parroco don Pancrazio, lavora molto. Fa la spola da una frazione all'altra, con quel passo a causa del quale qualcuno lo paragona al “bersagliere”. Coi giovani continua la sua azione illuminata e carica di passione, con un aiuto in più di grande valore e significato: una comunità di Suore Canossiane, famiglie religiosa sorta a Verona all'inizio dell'Ottocento.
Anche a Bedizzole il curato Piamarta è amato e stimato. Ma ecco un imprevisto: alla fine del 1870 il parroco don Pezzana viene chiamato a guidare la parrocchia di S. Alessandro, nel cuore della città. Accetta alla condizione che venga trasferito con lui anche il curato. I due affiatati sacerdoti giungono in città e cominciano un lavoro straordinario.
S. Alessandro è un quartiere eterogeneo, molto diverso da quello popolare di San Faustino. Vi sono bei palazzi nobiliari, sedi istituzionali, case religiose e tante abitazioni popolari. Don Piamarta ha 29 anni, conosce Brescia, va d'accordo col parroco e gli altri sacerdoti della città, ha una grande passione apostolica e si butta a capo fitto nel lavoro pastorale. É proprio in questi anni che viene definito “don argento vivo”, tanto è il suo muoversi e correre di qua e di là. Ma non a vuoto: la sua azione scaturisce da una profonda e autentica vita spirituale. É pure di questi anni la voce che gira fra la gente: è un santo. La gente ha fiuto e vede subito da come celebra la messa, prega, predica...
La presenza di don Piamarta a S. Alessandro è preziosa per la vita liturgica e il decoro della chiesa. Nel periodo di tempo in cui è lui ad interessarsi della sacrestia si dà da fare per dotare la parrocchia di paramenti e arredi sacri degni della loro funzione.
Ma più preziosa ancora è la sua azione fra i parrocchiani. É amato e ammirato dai fedelissimi. Ma è anche stimato dai lontani, generalmente anticlericali per ragioni politiche. Infatti dopo la presa si Porta Pia e la fine dello Stato pontificio sorge la Questione Romana che per decenni vede anche i cattolici, clero incluso, schierati sul fronte liberale che osannava alla nuova Italia unita e il fronte intransigente che valutava la perdita del potere temporale del Papa come una ferita fatta alla Chiesa e una offesa verso la religione.
Piamarta è uomo di Dio e, pur guardando con attenzione ai segni dei tempi e alle vicende nazionali, a lui sta a cuore il bene delle anime. Accoglie ogni persona a prescindere dalle sue idee politiche. Per questo è temuto anche da alcuni notabili “mangiapreti”: sanno che un prete come lui conquista il cuore e, magari, l'adesione alla Chiesa. E negli anni trascorsi a S. Alessandro, ma anche in quelli successivi, non sono pochi i casi di conversioni, anche in extremis, dovute proprio alla testimonianza e al sapiente equilibrio di don Piamarta.
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