LA PRESENZA DELLA CONGREGAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH NEL MONDO

martedì 20 agosto 2013

325 - IL SACERDOTE BRESCIANO CHE RISPOSE CON LA VITA ALL'EMERGENZA UOMO

Dal meeting di Rimini

Fare bene il bene. San Giovanni Battista Piamarta

Perché a un Meeting sull’emergenza uomo, sull’emergenza di oggi, si parla di un uomo morto cent’anni fa, a Brescia? Perché quell’uomo si chiamava Giovanni Battista Piamarta, era sacerdote, proclamato santo, e soprattutto “rispose con la vita alla domanda di come si fa a vivere”, come dichiara Alberto Savorana aprendo l’incontro delle 11.15 in sala D3, sulla mostra dedicata a Piamarta. Se Brescia è ancora oggi la città operosa che è, lo deve in gran parte all’attività instancabile di quest’uomo e al pullulare delle opere educative da lui fondate. Non per nulla anche il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, sale al microfono rendendo omaggio al santo.
Al tavolo dei relatori siedono il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, Gabriele Archetti, curatore della mostra e docente di storia medievale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Alberto Cova, docente di storia economica nello stesso ateneo, Rosino Gibellini, direttore editoriale dell’editrice Queriniana, padre Igor Manzillo, vicario generale della congregazione Sacra Famiglia di Nazareth e postulatore della causa.
È la prima volta che il cardinale Amato arriva al Meeting. È impressionato per lo spazio occupato, il numero dei partecipanti, ammirato dalla qualità delle esposizioni. “Per elencarle tutte – dice – ci vorrebbe un altro Meeting”. Ammirazione è lo stesso sentimento che prova per il sacerdote piemontese, per l’influenza della sua santità nel sociale, la carità con la quale ha intercettato i bisogni degli uomini vissuti a metà Ottocento. “Nei nostri libri di storia – spiega – non viene raccontata la storia dei santi. L’incidenza religiosa nel sociale è considerata nulla. La Chiesa li pone in vetrina come eroi della carità, costruttori della società umana”. Li elenca, è un susseguirsi di nomi impressionante, conclude: “Sono attivi ancora oggi, continuano a essere i nostri benefattori”.
È Archetti a delineare la figura del santo che definisce “Un gigante della carità bresciana”. Piamarta fondò gli Artigianelli, l’istituto di formazione che a metà ottocento accolse centinaia di ragazzi. Centinaia di vite sottratte alla povertà e all’ignoranza. Dentro l’istituto aprì la tipografia Queriniana, divenuta la casa editrice con le firme più autorevoli della teologia moderna: Introduzione al cristianesimo dell’allora cardinale Ratzinger è alla sua diciannovesima edizione. Oltre le mura degli Artigianelli creò la Colonia agricola di Remedello, la prima a dare una formazione teorica, oltre che pratica, agli agricoltori. Figura trainante di numerose vocazioni, diede vita a due congregazioni religiose sull’esempio della Sacra Famiglia di Nazareth.
Piamarta vedeva l’uomo “come un uomo in costruzione – è Manzillo a parlare – da accogliere, accompagnare, educare. Forte delle sue radici che affondavano nella cultura bresciana, nell’infanzia dura di orfano e povero, nella Chiesa della controriforma, nella compagnia spirituale dei suoi santi e quella concreta dei suoi amici.” Tra questi amici c’era Tovini, l’avvocato bresciano padre di dieci figli e leader del movimento cattolico nella seconda metà dell’Ottocento.
“Aveva una concezione del lavoro come restauratore della libertà delle persone”, spiega Cova tracciando il quadro del tempo, oltre che del sacerdote. “Quando Piamarta fa studiare gli agricoltori è per rafforzarli. Quando fa studiare e lavorare i ragazzi agli Artigianelli lo fa per preparare la manodopera per le imprese bresciane ma anche per sostenere l’impresa artigianale”.
La casa editrice da lui voluta raccoglie alcune tra le firme più autorevoli in Europa e nel mondo. Il direttore Gibellini è fiero dei ‘suoi’ libri che entrano nelle facoltà di teologia, negli istituti di scienze religiose, in diverse facoltà universitarie: “Sono scrittori che si interrogano sul cristianesimo. È importantissimo leggerli”. La casa editrice pubblica in sette lingue. Continuando a camminare dentro la società, dentro la Chiesa, ben oltre i confini della Brescia del 1800.
(D.T.)

324 - UNO FRA I MOLTI

 
 
Lettura dell'opera
 
Sullo sfondo della città il popolo si raccoglie a testimonianza della Parola.
Fra tanti volti Padre Piamarta che è lievito di operosità e di fede.
 
Autore dell'opera: Giancarlo Zerla


323 - GENITORI: EDUCARE I FIGLI FIN DALLA GIOVINEZZA

da "i pensieri di padre Piamarta"

Quella via che il tuo figlio avrà intrapresa da fanciullo, sarà la stessa via che percorrerà quando sarà giunto alla vecchiaia.
 

Voi avete figliuoli che fanno tutto quello che vogliono, caparbi, insubordinati, intolleranti del freno della disciplina? Mentre sono piccoli la cosa la si tollera, infatti in piccola età non sono capaci che di piccoli vizi e non sono in grado di mettere a repentaglio né la pace della casa né la riputazione della famiglia. Ma, di grazia, rimangono sempre piccoli i figli? Non crescono in età? Con l'età non si sviluppa la loro persona? E con la crescita della persona non prorompono come fulmini le passioni, proprio perché non sono state domate?
E' questo il tempo in cui i genitori pagano con inutili lacrime il loro sbaglio ...
Animo, su! Sfoderate quella spada di autorità che tenevate nella guaina e che stavate riservando ad un tempo più opportuno. È questo il tempo!


Abitualmente, appena diventano grandicelli i vostri figli, cominciano a manifestare attitudini poco buone e quasi sempre ci si accorge che un' abitudine cattiva prevale sopra le altre. Vedete, per esempio, come il vostro fanciullo manifesta una irrequietezza più forte di quella che è propria dei ragazzi di quell' età; oppure vi accorgete che diventa iracondo e che per un niente va in furia e diventa vendicativo. Altri figli crescono testardi e capricciosi e altri impazienti. Ebbene, voi genitori cristiani dovete lottare contro queste inclinazioni disordinate dei vostri figli prima che queste diventino vizi. Quanto prima comincerete tanto più sicura è la vittoria. Cominciate subito, subito la guerra contro i loro vizi.


Per conto mio vedo che i figli che sono stati lasciati invecchiare e imputridire nei loro vizi per la debolezza dei genitori nel correggerli, ora maledicono questo falso amore e addossano la colpa del loro misero stato, in cui sono ridotti, ai loro genitori. Conobbi un giovane condannato a morte per un grave misfatto che, mentre veniva esortato dal sacerdote che lo assisteva a perdonare i suoi nemici esclamò: «Sì, perdono a tutti fuorché ad una persona». «A chi non perdoni?», chiese il sacerdote. Allora rannuvolandosi tutto in viso e sbarrando gli occhi, serrando i pugni e digrignando i denti gridò come se fosse una belva ferita: «Non perdono a mio padre. Sì, andate e dite a mio padre che il suo figlio prima di morire l'ha maledetto». E pare proprio che quella maledizione sia piombata sul capo di quel disgraziato, perché da quel giorno non ebbe più pace e bene sopra questa terra.


Ecco il vostro figlio che è giunto all'età di 15-18 anni. Comincia a crescergli un poco di lanuggine sul mento, gli crescono i primi stentati baffetti ed è giunto il tempo in cui vuole emanciparsi della potestà paterna e materna. Vuole passare le notti fuori di casa, e comincia a dedicarsi al gioco e agli amoreggiamenti. L'arboscello è diventato albero! Se l'avete raddrizzato prima, adesso è un albero dritto, se non l'avete fatto, ora, anche volendolo raddrizzare, le spezzereste.
 

322 - A PARÓQUIA E O ORATÓRIO

Mas a sua formação mais profunda acontece em outro lugar, na paróquia e no oratório.
A paróquia de S. Faustino era, naquele momento, dirigida por um pároco muito amado pelas pessoas, o pároco Lurani Cernuschi. Filho de nobres milaneses e sobrinho do Bispo Nava, que cedeu à unânime insistência dos paroquianos de tê-lo como pároco. Alguns falam de nepotismo, mas este é um daqueles casos no qual os frutos do presunto nepotismo se demonstraram excelentes.
Faz o seu ingresso com 24 anos e guia a paróquia por bem 65 anos, com zelo sacerdotal exemplar e grandíssima caridade para com os pobres, ao ponto de distribuir a eles todo o seu patrimônio pessoal.
É um grande exemplo de pastor pio e de verdadeiro pai dos pobres.
Em sua honra foi dedicado depois de sua morte um monumento onde se lê a epígrafe: “Modelo de toda virtude pastoral / pobre para consigo mesmo para ser pródigo / de toda sua riqueza / aos pobres e ao divino culto”.
Joãozinho começa encontrando uma figura eminente do clero bresciano, que neste momento é rico de personalidades de destaque e, ainda mais, caracterizadas pelo amor aos pobres, dedicados à cura pastoral com zelo digno de admiração.
Na igreja paroquial, a suntuosa basílica onde se conservam as relíqueas dos Patronos da cidade, teve a possibilidade de servir as sagradas cerimônias também com sua bela voz, fazendo parte do coral.

O jovem Piamarta constitui uma atração pelos seus ‘solos’ e “grande era o fluxo de pessoas - assegura Fossati - que o queriam escutar cantar devido a perfeição, entonação e sentimento”.
No bairro de S. Faustino surge o oratório S. Tomás que desenvolve a sua atividade independentemente da paróquia. Iniciado nos primeiros anos do século, retoma a florescente tradição bresciana dos oratórios, que oferecem aos jovens um lugar de ensinamento da doutrina cristã, de oração (daqui o nome de oratório) e progressivamente também um lugar educativo, assistencial e recreativo: “para tirá-lo das estradas nas horas livres e nos dias festivos”.

Padre Piamarta permanecerá sempre tão agradecido e afeiçoado ao seu oratório, ao ponto de atribuí-lo o mérito principal de sua educação cristã. Ele mesmo dirá: “De 1850 a 1860 fui filho do oratório… agradeço de coração a Jesus bendito e o meu dileto oratório que me acolheu órfão de mãe e com o pai totalmente impedido, também nos dias de festa, a tomar conta de minha educação! Sabe Deus o que teria sido de mim e do meu futuro com meu caráter impetuoso e vivaz!
Sem dúvida, o fato de me encontrar completamente livre, dono de mim mesmo, teria me tornado uma ovelha negra de primeira linha. Ora, tendo recebido no oratório não só a minha educação cristã, mas também o início do meu caminho rumo ao sacerdócio, senti imperiosamente o dever de corresponder a tal graça, dedicando todas as minhas poucas e miseráveis forças à educação cristã da juventude, antes em S. Alexandre, por 13 anos e, depois, no Instituto Artigianelli”.

Esta rara confidência, porque era muito reservado em falar de si e de suas coisas, abre uma janela não só no período juvenil (praticamente freqüentou o oratório nos anos decisivos dos 10 aos 20 anos), mas também sobre motivações da sua paixão apostólicas para a educação cristã para a juventude.
De fato, no seu oratório, Joãozinho pode encontrar um bom e culto educador, um artista e compositor, padre Vicente Elena (Piamarta o recordará como “exemplaríssimo sacerdote”).
Ele está fazendo reflorescer o oratório, com a sua paixão educativa, e com a sua ampla visão da realidade. Padre Elena teve contato também com Don Bosco, o qual, depois de ter sido seu hóspede em Bréscia em 1865, o convidou a pregar a seus jovens e falou sobre ele e do irmão padre João que eram “homens cheios de zelo pela salvação das almas”. Colaborando com padre Elena existe também um grupo de leigos, bem organizado, que assistem os meninos nos momentos da doutrina cristã e do recreio. São chamados ‘prefeitos’ e na figura deles modelará também a organização do Instituto Artigianelli.

O jovem Piamarta se encontra à vontade neste ambiente: “Era um jovem vigorosíssimo - escreve um dos primeiros biógrafos - nunca estava parado e de uma alegria espontânea e ingênua ao ponto de tornar-se o centro das atenções de todos os outros. Porém, não era exagerado, porque nele a alegria e a vivacidade eram manifestação sincera de uma natureza necessitada de expansão, mas já consciente de si, já ordenada segundo um impulso interior por tudo aquilo que poderia conseguir de bem aos companheiros” (Camelli).
Aí encontra alguns dos seus grandes amigos, como o futuro padre Secondo Zanetti, jesuíta, missionário na Índia, e o futuro abade Cremonesini. Parece que por um certo período de tempo também o jovem Piamarta exercia o cargo de ‘prefeito’ no seu oratório.
Provavelmente provém dos seus nove a onze anos um curioso episódio que marca a imagem de Joãozinho, já marcado por um forte sentimento religioso, que se tornará depois o elemento determinante sobre outros interesses.
A cidade de Bréscia se situa aos pés de uma montanha de 900 metros, com o nome evocativo de Madalena, quase como se tivesse sido um dos lugares de penitência da famosa e omnipresente S. Maria Madalena.

É uma montanha cara aos brescianos, porque representa um lugar de passeio no campo, ao menos até as primeiras castanheiros, apenas acima dos 500 metros de altitude, nas proximidades da igreja de S. Gotardo.
Um dia Joãozinho e seu amigo José Franchini decidem de se tornarem eremitas e despercebidamente deixam a cidade e sobem a montanha, atravessando os bosques e procurando uma gruta onde pudessem morar, um com um pão e o outro com uma moedinha. Os dois aspirantes eremitas passam todo o dia sobre a monte do qual se vê um panorama estupendo que vai do Lago de Garda aos Alpes e, do outro lado, através o vastíssimo vale da planície padana, até aos Apeninos.
Mas ao chegar das primeiras sombras do entardecer os dois começam a duvidar de sua vocação e descem precipitadamente os caminhos subidos com tanto entusiasmo.
O fato, narrado sorrindo pelo próprio padre Piamarta, evidencia a imaginação dos dois meninos, o mundo no qual estavam vivendo, a sua aguda sensibilidade, inclinados à visão da mística, o seu temperamento entusiasta, o seu mundo religioso, fruto de uma sólida educação cristã, cuja narração da vida dos santos era um dos elementos da formação.

A leitura da vida dos santos contribuía de forma eficaz, para alimentar a mente e a suscitar a fantasia de pessoas santas, de episódios santos, de exemplos santos e de pessoas santas.
Os dois permanecerão amigos por toda a vida e darão testemunho da educação recebida operando em campos diversos, um como professor de ‘ciências exatas’ e o outro como sacerdote e educador da juventude.
O episódio ajuda a explicar também a grande paixão de Piamarta pela vida dos santos, outro dos seus meios educativos preferidos, amplamente divulgados. Freqüentemente dirá em seguida, que depois da “Sagrada Escritura”, a vida dos santos constitui o meio mais propício para a formação à vida cristã.
 

lunedì 19 agosto 2013

321 - LA FORZA DELL'AMORE

 
 
Lettura dell'opera
 
La composizione intende raffigurare l'opera di padre Piamarta il quale traeva i ragazzi dal buio morale e materiale dei vicoli della vecchia Brescia, per portarli mediante l'amorevole insegnamento di un mestiere, ad intraprendere autonomamente una strada nella vita. Il cerchio rosso rappresenta la forza e il dinamismo dell'amore che, estrinsecandosi dalla persona, rende possibili le grandi realizzazioni di assistenza e carità.
 
 Autore dell'opera: Ercole Guaineri

320 - UNA FAMIGLIA PER LE FAMIGLIE

32. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra

Fin dalle mie prime esperienze personali e pastorali ho percepito che la famiglia non godeva di buona salute. Mio Dio, quante sofferenze e quanti lacrime! Quale urgente necessità del risanamento della famiglia per una società più umana e cristiana!.
Stando in mezzo ai giovani poveri ho maturata la convinzione che per formare una famiglia solida occorrono avere delle condizioni materiali per mantenerla, e delle condizioni spirituali per mantenerla solida.
Nella gestione delle opere che il Signore mi ha affidato, ho sempre perseguito la finalità di mettere i miei giovani nelle condizioni di formarsi una famiglia, grazie all’apprendimento di un mestiere e di affrontarla con le disposizioni spirituali capaci a renderla solida, grazie la formazione del cuore.
E così ho fatto scrivere nello Statuto dell’erigenda Congregazione: “Quando la famiglia del povero sarà riformata per mezzo della educazione cristiana del piccolo artigiano e dell’agricoltore, allora la società sarà risanata in massima parte”.
Per “educazione cristiana” ho inteso la educazione integrale, fatta di preparazione tecnica e di formazione spirituale, per aiutare i giovani a realizzare una famiglia cristiana.

Un modello necessario

Quale modello proporre? Quello della società attuale che “va allontanandosi da Dio e ingolfandosi nella materia e nella corruzione” e che presenta il modello di una famiglia senza basi sicure?
Papa Leone XIII ha proposta insistentemente la Santa Famigli di Nazareth come modello per tutte le famiglie. Ed io porto volentieri i miei ragazzi con il pensiero a Nazareth, dove si lavora e dove si vive un amore maturo, cioè ci si vuol bene in tutte le situazioni.
Quando oggi si parla di amore si intende il più delle volte la passione e l’istinto. “Ed ecco i frutti: famiglie scisse. Presto sorgono discordie e separazioni. E i figli? Consultate le statistiche della sola Italia: 14.000 giovanetti dai 9 ai 14 anni condannati in prigione”.
L’amore maturo esige accettazione dell’altro, comprensione reciproca, capacità di sacrificio per il bene della famiglia: tutto questo brilla di luce splendida nella Santa Famiglia di Nazareth.
Guardare per imparare. E poi pregare per imitare, perché l’amore maturo è un’arte impegnativa.                       

La Famiglia religiosa

Proprio per questo ho messo la nostra famiglia religiosa sotto la protezione della S. Famiglia. Mi era stato suggerito da persone autorevoli di intitolarla a San Giuseppe, ma io ho preferito allargare il campo prendere come Patrona e Titolare della nuova Congregazione la Sacra Famiglia di Nazareth “affinché nei Santissimi personaggi Gesù, Maria, Giuseppe, i Religiosi e le Religiose trovassero sublimi modelli da imitare”. Anche se un Istituto non può sostituire la famiglia naturale, tuttavia, quando si è attenti ai bisogni dei ragazzi, quando si fa di tutto per andare d’accordo tra di noi, allora si può dire di far respirare uno spirito di famiglia.
Il quale si esprime “nella pazienza, carità, cordialità, virtù codeste che non vi saranno se prima non procureremo di essere tra di noi affabili, graziosi e ad avere il miele sulle labbra, la carità ne cuore, se non sapremo amarci, sopportarci e soccorrerci vicendevolmente, abbondare e sovrabbondare in dolcezza. Questo spirito deve penetrare insino al cuore della nostra Santa Istituzione”
“Per avere questo spirito in tutta la sua fragranza, si deve aggiungere la pratica dell’umiltà, senza la quale non c’è dolcezza. Della semplicità, senza la quale non c’è cordialità”
Prego ogni giorno la Santa Famiglia perché aiuti noi religiosi e i nostri giovani ad imparare la sublime arte dell’amore maturo “in questi tempi di tanto egoismo e sconvolgimento domestico e sociale”..
 

domenica 18 agosto 2013

319 - IL SOGNO SI AVVERA

Giovanni Battista Piamarta: una vita per i giovani di Gabriele Filippini

Dopo quasi quattro anni di parroco e dopo che anche il Vescovo conosce il progetto e lo condivide, don Giovanni Battista Piamarta, lascia Pavone Mella, è il 1° febbraio del 1887. La gente è dispiaciuta ma ha capito e sa: lo attende una grande impresa a favore della gioventù. Anche in questo distacco obbedisce al Vescovo.
Il cammino ora è irreversibile. E la strada a senso unico è imboccata la sera del 3 dicembre del 1886, primo venerdì del mese e memoria di San Francesco Saverio. Don Piamarta è ancora il parroco di Pavone. Ma si trova a Brescia, nella cappella del Sacro Cuore del Seminario di San Cristo: celebra la messa per quattro ragazzi orfani e due chierici. Dopo la celebrazione eucaristica il gruppetto scende non molte decine di metri dal Seminario, in due casupole in un vasto brolo all'ombra dell'antico monastero femminile di Santa Giulia. Ormai è nato l'Istituto Artigianelli. E il fondatore per quei ragazzi non è più il signor curato né don Giovanni. É il padre, semplicemente; padre Piamarta.

E questa paternità quella stessa sera la esperimenta con un gesto tipico dei genitori: nella casa ci sono solo quattro scodelle per la minestra. Sono per i quattro ragazzi. Lui rimane senza. Per amore loro. La sua vita comincia a consumarsi per i giovani. Forse vedendo i quattro ragazzi, ormai suoi figli spirituali, ristorarsi con la povera ma calorosa cena risuonano nel suo cuore le parole che sono per lui un canto, un ritornello costante, la musica e la poesia della sua vita: “per amore, solo per amore”...
Le due povere case vecchie, unite da un tratto di fabbricato recente sono state messe a disposizione da mons. Capretti che con l'amico Piamarta guida il neonato Istituto. Nell'edificio c'è anche una piccola tipografia dal cui lavoro deve venire il sostegno degli orfani.

Se è vero che nella storia dei cristiani non esistono coincidenze ma solo provvidenze, allora è significativo che la nascita degli Artigianelli avviene in un luogo carico di fede, storia e laboriosità. Infatti l'ortaglia circostante è a ridosso di quella che in passato fu il parlatorio del monastero di San Salvatore, ora complesso museale di Santa Giulia. Fondato dal re longobardo Desiderio, per secoli accolse una comunità di Benedettine che hanno sperso la loro vita secondo lo spirito della regola che ha il suo centro nell'ora et labora. Prega e lavora. In quel monastero Manzoni colloca la morte di Ermengarda quando era badessa la sorella Ansa. Secoli e secoli di preghiere e operosità aleggiano in quel luogo, divenuto dopo le soppressioni napoleoniche una caserma e area di depositi vari.

Piamarta ne continua la storia, pur in tempi diversi: pietas et labor è il lapidario motto latino che fa da programma alla sua opera. Si può tradurre fede e lavoro. Infatti la sua preoccupazione è solo quella di trasformare ragazzi che sarebbero figli della strada o di nessuno e, pertanto, indotti a sbarcare il lunario con miseri espedienti o con atti di micro criminalità, col rischio sempre incombente di scivolare nei vizi, nella violenza, nella insignificanza sociale, in ragazzi e giovani completi: buoni cristiani, ottimi cittadini, qualificati lavoratori, capaci di spendere al meglio la propria vita, dando un contributo costruttivo alla patria terrena, nella certezza di essere chiamati alla patria del cielo. Piamarta voleva i suoi giovani con i piedi ben piantati per terra ma con lo sguardo teso a quel cielo che dà valore anche all'impegno in terra.      
Questa opera, certamente nuova e singolare per Brescia, ha però significative analogie e sintonie: l'opera di don Bosco a Torino e quella del Pavoni, ancor prima, a Brescia.
 

mercoledì 14 agosto 2013

318 - VERSO LA LUCE

 
 
Lettura dell'opera
 
Dall'alto una grande croce si trasforma al centro in un movimento rotatorio. Nello spazio ogni essere vivente si muove attorno alla luce protagonista dell'opera stessa. Dalla terra padre Piamarta è diretto verso il centro della luce dove è posta una piccola croce.
 
Autore dell'opera: Lorenzo Sardini


martedì 13 agosto 2013

317 - IL FUOCO CHE COSTRUISCE

31. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra

Conosco un’anima che è stata posseduta da un fuoco che purifica, trasforma e costruisce.
Rimasta vedova giovane si è attenuta a questo programma: “Per riuscire nella santa impresa attingerà alla verace fonte che è il divin Cuore. Le parole senza questo fuoco divino non dicono nulla, nulla possono, a nulla mai riescono. Sono bronzo che squilla, dice S. Paolo. Dica tutti i giorni a Gesù Cristo, specie dopo la SS. Comunione: “Giacchè voi siete venuto sulla terra a portare il fuoco della vostra carità, rivestite di esso questo povero mio cuore, rendetelo strumento acconcio all’opera santa che mi avete confidato nelle mani. Fate di me, come faceste con una Santa Caterina da Siena,come una S. Teresa, come s. Angela ecc, che operarono portenti di zelo nella nostra Chiesa, appunto perché voi le avete rivestite del vostro divin fuoco”
A Gavardo ha dato inizio a Casa San Giuseppe, un’opera di assistenza per malate e orfane, “tra le tribolazioni del mondo e la consolazione di Dio”, percorrendo un cammino spirituale in salita, ma rafforzata dalle parole di S. Vincenzo de’ Paoli: “una Congregazione, istituzione o persona che non patisce e a cui tutto il mondo applaudisce, è vicina alla caduta” .
Questa persona è la Signora Elisa Baldo, dotata di grande cuore, di grandi virtù, di grande abilità educativa e di grandi capacità organizzative.
Il Signore l’ha posta sulla mia via perché potesse conoscere la sua vocazione e potesse nascere una nuova istituzione di vita consacrata al servizio delle figlie e dei figli di Dio.

Il 15 marzo 1911

Ricordo bene quel giorno. Erano radunate sul Ronco, nella casa in alto dell’orto dell’Istituto Artigianelli, cinque cooperatrici dell’Istituto e quattro provenienti da Casa San Giuseppe di Gavardo.
Provenivano da due esperienze diverse: le prime erano ausiliarie in cucina e guardaroba agli Artigianelli ed erano guidate idealmente da mamma Filippa Freggia.
Le seconde avevano collaborato con la Signora Elisa Baldo nell’educazione delle giovani e nel servizio agli ammalati.
Si erano recate giorni prima in pellegrinaggio alla Madonna di Paitone, e poi avevano fatto col Padre Galenti tre giorni di Santi Esercizi.
All’alba del 15 marzo, mentre fuori cadevano candidi fiocchi di neve, davanti all’altare della Madonna di Lourdes, nella Chiesa dell’Istituto, a porte chiuse, senza esteriorità, con la presenza dei soli Padri dell’Istituto, dopo la Santa Messa, ho ricevuto la loro oblazione e ho imposto a ciascuna il Crocifisso, facendo ripetere le parole di San Paolo, come compendio della vita religiosa::”Christo confixa sum Cruci- Mihi vivere Christus est”.
Il nucleo delle Umili Serve del Signore. Il fuoco dell’amore di Dio aveva dato origine a una nuova Istituzione di vita religiosa.
Il grande cuore, di quella che d’ora in poi sarà Madre Elisa Baldo era esultante, anche se conscia delle difficoltà ad amalgamare i due gruppi.
Ma era confortata dal fatto che vedeva le sue figlie “tutte del Signore, pronte a servire il prossimo, contente che Iddio mantenesse il loro sacrificio noto a Lui solo, come era giusto, perché non lavoravano che per amore”.
Anch’io ero esultante, vedendo le meraviglie che il Signore aveva compiuto in quell’anima, bruciando in lei, con il fuoco dell’ amore, le vanità di questo mondo, temprandola con prove severe e facendola guida sicura sulla via della santità di un pugno di anime generose.
Vedo che il Signore mantiene le nostre due Congregazioni nell’umiltà dei piccoli numeri, delle piccole realizzazioni, del servizio ai piccoli, della gratitudine degli umili.
Ma questo ci permette di cantare con più verità il Magnificat, di esultare cioè nell’Onnipotente che fa grandi cose nei piccoli ed esalta gli umili. “Signore, mantienici sempre umili”!
 

316 - IL FUTURO SI FA PRESENTE: IL SODALIZIO CON MONS. CAPRETTI E OBBEDIENZA

Giovanni Battista Piamarta: una vita per i giovani di Gabriele Filippini

Rispondere ad una chiamata è solo il primo passo. Portarla a compimento domanda anche mezzi e strumenti. Dove reperirli? Il parroco Pezzana non può provvedere a tutto. Il Vescovo ha tanta altre necessità...A don Piamarta viene in mente un prete che può capire benissimo il suo progetto. È il giovane monsignore Pietro Capretti.
Mons. Pietro Capretti nasce nel nel 1842 a Brescia e a Brescia muore nel 1891 non ancora cinquantenne. É uno di quei preti eccezionali, come pochi ne appaiono nell'arco di un secolo. Proviene da una facoltosa famiglia e dopo una raffinata educazione in collegi tenuti da religiosi a Lodi e Monza, si laurea in teologia al Seminario Romano. Docente di ebraico e di Sacra Scrittura in Seminario, gli viene una idea formidabile: aprire un Ospizio, con il suo patrimonio, per accogliere quei chierici poveri che non potevano permettersi una retta. La sua iniziativa parte in una casa privata, poi fa tappa nel monastero di S. Pietro in Castello, per approdare infine nell'antica struttura monastica di San Cristo dove l'Ospizio diviene un vero e proprio Seminario diocesano.

Sacerdote colto, buono, zelante, caritatevole e dalla intelligenza aperta cura le associazioni giovanili, la militanza dei laici nel movimento cattolico, promuove il giornalismo cattolico, la Biblioteca Circolante, la Dottrina Cristiana, Le Società di Mutuo Soccorso. Canonico della Cattedrale e Superiore delle Orsoline diviene il sacerdote di riferimento per tante persone e istituzioni religiose.

Per tutte queste ragioni don Piamarta pensa che don Pietro Capretti sia la persona giusta cui esporre il suo progetto e chiedere un sostegno. Non si sbaglia. Ma Capretti ha le sue visioni e ama un confronto approfondito al proposito.
E proprio mentre i due interloquiscono sul da farsi il Vescovo chiede a Piamarta un sacrificio: lasciare S. Alessandro per diventare parroco di Pavone Mella.

Obbedienza

Mons. Verzeri, infatti, probabilmente ignaro di quanto i due sacerdoti amici stanno progettando è ormai convinto che solo un prete energico e attivo, intelligente ed equilibrato può sanare la piaga pastorale creatasi nel popoloso paese rurale di Pavone. Quel prete corrisponde alla fisionomia di don Piamarta. A nulla valgono le proteste dei parrocchiani e le garbate ma precise richieste di don Pezzana di soprassedere alla decisione: tanto è fermo mons. Verzeri nella richiesta, quanto lo è don Giovanni Battista nell'obbedienza.

Si tratta, infatti, di succedere nella guida della parrocchia di Pavone ad un parroco che per ben 46 anni si è dedicato alla coltivazione dei suoi campi più che alla cura pastorale della sua gente. Questa sua scelta, unita all'indole debole del suo carattere lo mette anche in condizione di essere emarginato da gran parte della comunità, manovrata da gruppuscoli di socialisti e anticlericali che fanno il bello e il cattivo tempo come vogliono.
E così, nel 1883, dopo 13 anni di fervido lavoro in S. Alessandro, don Piamarta lascia Brescia, fra le lacrime e il dispiacere dei suoi parrocchiani e arriva a Pavone Mella come arciprete.
Ormai non è più un novello, si è fatto le ossa e sa da dove cominciare, pienamente cosciente del clima che lo circonda e dalle trame dei gruppi che, col suo arrivo, vedono ridimensionare la loro influenza sociale e politica. A volte si vendicano con infantili scritte sui muri. L'arciprete non si lascia intimidire e percorre un duplice binario: la predicazione ben curata, senza essere retorica, fondata sulla Bibbia e sulla fedeltà al Magistero del Papa e la promozione delle associazioni cattoliche, cominciando da quelle che riunivano le madri e le ragazze. Mossa intelligente: se ha dalla sua parte il mondo femminile anche quello maschile, caratterizzato da un una certa selvatichezza contadina, avrebbe cominciato a frequentare di più la chiesa.

Avviene così, ma non solo: a certe predicazioni straordinarie accorrono anche dai paesi vicini o dai cascinali appartenenti ad altre parrocchie.
Anche a Pavone Mella la sua fede in Dio, il suo cuore di pastore e la sua mente aperta la spuntano su non poche difficoltà: la gente non è più prevenuta, il parroco riscuote simpatia, è autorevole e lo condividono anche nel suo rigore morale, sia quando mette in guardia contro i pericoli del ballo, sia quando difende gli ultimi e gli umili dalle angherie dei potenti. E la sua devozione a Maria lascia segni profondi nell'animo dei fedeli.

È tutto dedito alla sua parrocchia. Ma nel suo cuore non è tramontato il sogno di fare qualcosa per “quei” ragazzi incontrati a Brescia, coinvolgendo pure mons. Capretti.
E per questo di tanto in tanto lascia Pavone per qualche viaggio a Brescia.
 

315 - TAVOLA ROTONDA IN OCCASIONE DELLA MOSTRA


314 - CONFERENZA STAMPA

Rimini, 18-24 agosto 2013
a cura di Gabriele Archetti

Fare bene il bene
San Giovanni Battista Piamarta (1841-1913)

Giovanni Battista Piamarta nasce a Brescia il 26 novembre 1841 da una famiglia di modeste condizioni sociali. Santo, prete, educatore dei giovani, è una delle personalità di maggior rilievo della Chiesa bresciana tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento. Fonda l’Istituto Artigianelli e la tipografia poi editrice Queriniana (1886), la Colonia Agricola di Remedello Sopra (1895), la Congregazione religiosa maschile della Sacra Famiglia di Nazareth (1900) e quella femminile (1911) delle Umili Serve del Signore, presenti oggi in Europa, Africa ed America del Sud. Muore il 25 aprile 1913 a Remedello, dopo una vita spesa al servizio di Dio e della gioventù. Viene canonizzato da Benedetto XVI il 21 ottobre 2012 in San Pietro.
Vissuto in un momento difficilissimo per il Paese, dove l’incipiente industrializzazione creava enormi problemi sociali e minava la tenuta cristiana delle famiglie e l’educazione dei figli, si prodiga per dare ai giovani gli strumenti necessari a crearsi un futuro con le proprie forze, grazie alla preparazione professionale, alla crescita umana e alla fede cristiana. Chiamato il “don Bosco” lombardo, guarda con attenzione anche alle difficoltà del mondo agricolo e al “riscatto” delle campagne, per le quali con p. Giovanni Bonsignori non esita a sperimentare nuove metodologie produttive e a fornire ai giovani contadini la formazione teorico-pratica per diventare imprenditori di se stessi e restituire dignità alla terra.
In questo progetto di vita trova validi collaboratori che ne condividono lo spirito e ne continuano l’attività nei luoghi di frontiera dove la carità è più urgente. “Fare bene il bene” non è solo uno dei suoi slogan più belli e immediati, ma anche lo stile con cui ha agito consumandosi per dare speranze alle nuove generazioni. Ai suoi giovani, che lo sentivano come un “padre”, amava dire: “Si può pregare anche mentre lavoriamo. La zappa stia nella mano ma il cuore stia in Dio. L’ago e la conocchia stiano nella mano, ma il cuore stia in Dio”, cioè impegnandosi con lo sguardo fisso al cielo, perché è “facendo bene i propri compiti, grandi o piccoli che siano, che si raggiunge la santità”.
La mostra propone un percorso storico-didattico sulla figura e il carisma di Giovanni Battista Piamarta nel primo centenario della morte. Si compone di una quarantina di pannelli, di materiali, oggetti e di supporti video, attraverso i quali si ricostruiscono in ordine cronologico le tappe salienti della vita, con particolare riguardo all’attività pastorale e formativa promossa in favore della gioventù; le immagini e i testi, tratti per lo più da documentazione inedita d’archivio, come gli oggetti provenienti dal Museo Giovanni Piamarta di Brescia, sono una proposta e una lettura originale del fondatore degli Artigianelli, senza però perdere di vista i problemi dei giovani di oggi.

La tavola rotonda con il card. Angelo Amato

La mostra, che sarà poi itinerante, è visitabile per la durata del Meeting negli spazi della Fiera riminese dal 18 al 24 agosto 2013, dove verrà illustrata nell’ambito di una tavola rotonda martedì 20 agosto alle ore 11.15, con la partecipazione di sua eminenza il card. Angelo Amato (prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi), di p. Enzo Turriceni (superiore generale della Congregazione piamartina), di Alberto Cova (docente di Storia economica all’Università Cattolica), di p. Rosino Gibellini (teologo e direttore letterario della Queriniana), del curatore Gabriele Archetti (docente di Storia medievale all’Università Cattolica) e del coordinatore dell’incontro Alberto Savorana (portavoce nazionale di Comunione e Liberazione).
A loro è affidato il compito di presentare il percorso espositivo, corredato da un catalogo, e di mostrare le vie della santità cristiana alla luce del carisma di p. Piamarta, la vicenda umana e sociale del fondatore degli Artigianelli, la novità delle sue opere in favore dei giovani e della loro crescita. Sfide che i suoi figli e le migliaia di ex allievi, amici ed insegnanti hanno fatto proprie in ambito educativo, editoriale e lavorativo, proprio come avrebbe voluto Piamarta, dilatandone lo slancio caritativo a varie parti del mondo. «Non dobbiamo fermarci – diceva ai suoi collaboratori –, perché il nostro posto è dove ci sono problemi e persone che chiedono aiuto».
Il percorso celebrativo di p. Piamarta nel primo centenario della morte, avviato lo scorso anno con la canonizzazione in San Pietro, si concluderà in autunno con la presentazione del volume di studi storici in suo onore voluto dalla Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth in collaborazione con il Dipartimento di Storia moderna e contemporanea dell’Università Cattolica e dal periodico “Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia”; il lavoro sarà presentato nel salone Vanvitelliano e apparirà tra le collane delle edizioni Studium di Roma. In quella circostanza la mostra “Fare bene il bene” verrà adattata agli spazi della Loggia e farà da cornice all’omaggio di gratitudine offerto dalla città ad una dei suoi figli più illustri, apostolo della carità e dei giovani, dove resterà aperta per alcuni giorni.

Piamarta: una vita per i giovani

Giovanni Battista Piamarta nasce a Brescia, nel quartiere di San Faustino, il 26 novembre 1841 da una famiglia di modeste condizioni sociali; santo, educatore dei giovani, è una delle personalità di maggior rilievo della Chiesa diocesana tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento. Orfano di madre a 9 anni, cresce vivacissimo nei rioni popolari della città, trovando un sostegno educativo nel nonno materno e nell’oratorio San Tommaso, che ne affinano la sensibilità e la straordinaria generosità. Dopo un’adolescenza difficile, grazie all’incoraggiamento e al sostegno del parroco di Vallio Terme, don Patrizio Pezzana, entra nel seminario diocesano per i chierici poveri di San Cristo e intraprende gli studi teologici.
Ordinato sacerdote il 23 dicembre 1865, inizia il suo ministero sacerdotale a Carzago Riviera e prosegue a Bedizzole; in seguito diventa curato della parrocchia di Sant’Alessandro in città, dove organizza l’oratorio col favore di don Pezzana, e parroco di Pavone Mella. Le prime esperienze oratoriane sono per lui una preziosa possibilità di conoscere da vicino la gioventù alle prese con il duro mondo delle fabbriche della nascente industria bresciana: la sua preoccupazione è quella di poter dare un futuro ai giovani attraverso una buona istruzione e un lavoro dignitoso, senza trascurare la istruzione religiosa. Nei 13 anni di apostolato coglie risultati ammirabili e la stima dei giovani. Il suo segreto sta nella forza della preghiera e nella fiducia nella Provvidenza, come lui stesso ammette: «Se io non facessi due-tre ore di orazione ogni mattina, non potrei portare il peso che il buon Dio mi ha imposto».
Lasciata la parrocchia di Pavone Mella torna a Brescia per dedicarsi all’opera educativa pensata da tempo in favore dei ragazzi orfani e poveri. Per dare loro una sicura preparazione professionale e cristiana, di fronte all’abbandono spirituale e alla perdita della fede, il 3 dicembre 1886 avvia l’Istituto Artigianelli con l’aiuto di mons. Pietro Capretti, il santo sacerdote che aveva voluto sulle pendici del castello il seminario di San Cristo. I suoi riferimenti ideali sono san Filippo Neri e don Giovanni Bosco, che nei medesimi anni stava compiendo miracoli per la gioventù dei quartieri torinesi; fede, istruzione e lavoro sono per lui gli strumenti del riscatto sociale dei giovani meno fortunati e a rischio di emarginazione, sintetizzabili nel motto benedettino “pietas et labor”.
Seppur con enormi difficoltà, dal 1888 la crescita degli “artigianelli” non si arresta più, si moltiplicano i fabbricati ed i laboratori e i giovani ricevono una buona preparazione tecnica. Pochi anni dopo, rivolge la sua sollecitudine anche al mondo dell’agricoltura, dando origine con padre Giovanni Bonsignori alla Colonia Agricola di Remedello Sopra, allo scopo di ridare vitalità alla crisi del settore agrario. Attorno a padre Piamarta si radunano presto alcuni religiosi, per condividere con lui gli ideali e le fatiche della sua missione. Nel marzo del 1900 il “padre” degli Artigianelli – come affettuosamente viene chiamato Piamarta – realizza un proprio progetto, istituendo una famiglia religiosa, composta da sacerdoti e laici a servizio dell’educazione dei giovani del popolo, denominata Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth, presente oggi – insieme all’analoga congregazione femminile delle Umili Serve del Signore – in vari continenti: Europa (Italia), Africa (Angola, Mozambico) e America del Sud (Brasile, Cile).
Padre Giovanni Battista Piamarta si spegne la mattina del 25 aprile 1913 a Remedello tra le braccia dei suoi ragazzi, nella Colonia Agricola da lui voluta. Nel 1926 la sua salma è traslata dal Vantiniano nella chiesa dell’Istituto Artigianelli costruita alle pendici del Cidneo, oggi santuario dedicato alla sua memoria; nel 1986 la Chiesa ne ha riconosciuto l’eroicità delle virtù e il 12 ottobre 1997 papa Giovanni Paolo II lo ha dichiarato “beato”, mentre papa Benedetto XVI lo ha proclamato “santo” domenica 21 ottobre 2012 nella basilica di San Pietro a Roma. La memoria liturgica è il 26 aprile.
 

sabato 10 agosto 2013

313 - FIERA DI RIMINI - MOSTRA DAL 18 AL 24 AGOSTO 2013

 

312 - "FARE BENE IL BENE" SI METTE IN MOSTRA

BRESCIAOGGI - Venerdì 9 Agosto 2013

L’evento per celebrare il centenario della morte di Piamarta con la storia raccontata in modo itinerante.

La prima tappa sarà Rimini dal 18 al 24 agosto durante il Meeting per l’amicizia fra i popoli.

Uomo semplice ma di grande sensibilità e intuizione, padre Giovanni Battista Piamarta si dedicò per l'intero sacerdozio all'educazione delle giovani generazioni. Fu definito «padre d'azione», proprio per il singolare impegno che mise nel guidare i ragazzi nella ricerca di una strada da percorrere, dal punto di vista sia religioso sia lavorativo. Togliere dalla strada i meno fortunati e dar loro la speranza di un futuro più roseo furono per lui vere e proprie missioni.  Così nel 1886 ebbe l'idea di avviare l'Istituto «d'arti e mestieri» Artigianelli, con l'intento di offrire una preparazione professionale, accessibile anche agli orfani e ai non abbienti.

PER CELEBRARE il centenario dalla sua morte, e onorarne la recente canonizzazione - risalente allo scorso 21 ottobre - la storia del Piamarta sarà raccontata attraverso una mostra itinerante, intitolata: «Fare bene il bene», nata dall'unione tra la congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth, l'Università Cattolica, il periodico Brixia Sacra e le Amministrazioni locali. La prima tappa sarà Rimini, dove la mostra rimarrà dal 18 al 24 agosto.
L'esposizione sarà visitabile nel corso della trentaquattresima edizione del Meeting per
l'amicizia fra i popoli, negli spazi di Rimini Fiera. Ben 190 metri quadri saranno allestiti con oggetti appartenuti al bresciano.
L'area sarà divisa in due sezioni: l'una dedicata alle esperienze vissute dal sacerdote, l'altra relativa alle opere compiute. Si troveranno immagini sacre, oggetti di valore - come il calice che gli fu regalato da papa Pio IX -, ma anche oggetti di uso quotidiano, come una tunica o uno scaldaletto. Un documentario racconterà l'esperienza religiosa del sacerdote, che sarà approfondita nell'ambito di una tavola rotonda, in programma per martedì 20 agosto. Saranno poi disponibili delle mappe della nostra Provincia, che illustrano «l'itinerario storico-spirituale» percorso dal Piamarta.

Alice Liberini

311 - SAN PIAMARTA AL MEETING DI RIMINI - CONFERENZA STAMPA


310 - SAN PIAMARTA PORTA BRESCIA AL PROSSIMO MEETING DI RIMINI

GIORNALE DI BRESCIA VENERDÌ 9 AGOSTO 2013

Una mostra, che poi sarà ospitata in Vanvitelliano, attraverso 40 pannelli racconterà la vita e le opere del sacerdote di San Faustino.

Sarà san Giovanni Battista Piamarta a rappresentare la «presenza» bresciana al Meeting allestito alla Fiera di Rimini dal 18 al 24 prossimi. Il sacerdote bresciano, fondatore degli Artigianelli, sarà protagonista della mostra «Fare bene il bene», dedicata alla sua persona e alle opere da lui compiute nel corso della sua esistenza (1841-1913) nel campo dell’educazione dei giovani, in un momento di svolta per la nostra città.
La mostra, curata dal prof. Gabriele Archetti e da alcuni collaboratori, propone un percorso storico-didattico sulla figura e il carisma del Piamarta nel primo centenario della morte. Si compone di una quarantina di pannelli attraverso i quali si ricostruiscono in ordine cronologico le tappe salienti della vita, con particolare riguardo all'attività pastorale e formativa promossa in favore della gioventù.
La mostra, che sarà poi itinerante, verrà illustrata nell’ambito di una tavola rotonda martedì 20 alle 11.15, con la partecipazione del card. Angelo Amato (prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi), di p. Enzo Turriceni (superiore generale della Congregazione piamartina), di Alberto Cova (docente di Storia economica all’Università Cattolica), dip. Rosino Gibellini (teologo e direttore letterario della Queriniana), del curatore Gabriele Archetti (docente all’Università Cattolica) e del coordinatore dell’incontro Alberto Savorana.
Presentando la mostra ieri mattina in Loggia, il sindaco Emilio Del Bono ha sottolineato come due siano «le eredità che Piamarta ci ha lasciato: l’attenzione al mondo del lavoro e alla formazione della gioventù da un lato; dall'altro lo spirito universale della Congregazione da lui fondata, in un città di missionari che sta diventando sempre più terra di missione». E sulla «internazionalizzazione delle missioni piamartine in un’ottica di promozione del lavoro, della famiglia e della società» ha posto l’accento padre Giancarlo Orlini, economo generale della Congregazione.
«Fa onore alla città di Brescia avere un cittadino che viene ricordato in una vetrina così importante qual è il Meeting, un uomo che si è speso avendo come stella polare del suo agire il motto Pietas et labor, ovvero preghiera e lavoro», ha sottolineato Gabriele Archetti. La mostra sarà poi allestita in Vanvitelliano nel prossimo autunno, quando vedrà la luce anche un volume sul sacerdote di San Faustino.

Umberto Scotuzzi

venerdì 9 agosto 2013

309 - SINFONIA TRA CIELO E TERRA

 
 
Lettura dell'opera
 
La gloria del santo continua attraverso la sua "opera" in terra oltre i limiti
del tempo con la preghiera, lo studio e il lavoro.
 
Autore dell'opera: Giacomo Trombini
 

308 - IMPRENDITORE?

30. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra

Mentre riordinavo le mie carte, in questi giorni, mi è capitata in mano la copia di una lettera inviata ad un mio giovane, Benedetto Boni, che si trovava in Svizzera, per invitarlo ad assumere la direzione della nostra sartoria:”Parecchi mi si sono già presentati per occupare tale posto, ma io vorrei volentieri dare a te la preferenza, perché conoscendo le esigenze dell’Istituto nostro anche dal lato morale, vorrai concorrere all’incremento morale e materiale dei nostri giovani”.

Le officine

Una delle preoccupazioni non secondarie di cui ho dovuto portare il peso era la scelta di buoni maestri di officina che dovevano avere molte qualità, difficili a trovare concentrate in una persona: moralità verso i ragazzi e verso il denaro, abilità tecnica e pedagogica, capacità organizzativa e gestionale.
Le officine si sono aggiunte l’una all’altra, toccando perfino il numero di 15: esse avrebbero teoricamente dovuto riuscire ad essere autosufficienti, attraverso la produzione.
Tutto ciò aveva bisogno di un vero e proprio imprenditore che coordinava tutto questo intenso e complesso movimento. Fin dall’inizio mi sono reso conto che era impossibile che io potessi fare tutto questo. Oltre tutto non mi sentivo competente a gestire questo mondo in evoluzione.
Tuttavia, giorno dopo giorno, sono entrato nel vivo del mondo del lavoro e della produzione, imparando a rispettare la santa fatica dell’uomo e le esigenti leggi dell’economia.

L’economia

La Provvidenza mi ha fatto incontrare sovente dei bravi collaboratori laici, senza i quali non si sarebbe potuto fare quello che è stato fatto.
Per la parte economica mi è stato molto di aiuto, e per molti anni, l’intelligente e carissimo Signor Faustino Fasser, con il quale ho dovuto spesso amichevolmente “combattere” perché Lui da buon amministratore era più preoccupato della “salvezza dell’economia”, mentre io mi preoccupavo di più della “economia della salvezza”.
Un altro pilastro dell’opera è l’avvocato Marco Trabucchi, consulente per le questioni giuridiche e presidente della Società Anonima Agricola Industriale Bresciana, alla quale sono intestati i nostri beni.
Se dovessi elencare tutti i più stretti e fidati collaboratori laici, dovrei occupare molto spazio. Non posso tuttavia dimenticare l’Avvocato Giuseppe Tovini per i suoi saggi suggerimenti.
Sono stati i laici i veri imprenditori della carità, i quali hanno supplito alle mie deficienze.
Con loro ho appreso a considerare indispensabile il contributo dei laici nelle opere di bene e nella Chiesa in generale. Noi sacerdoti non possiamo avere la pretesa di essere competenti in tutto.

I religiosi fratelli

Tuttavia, specie nei primi anni, ho dovuto portare da solo e in prima persona il peso delle decisioni quotidiane, che non sempre si addicono a un prete. Richiamare, punire, licenziare… che fatica, che tormento, come sarei fuggito lontano in certe occasioni.  Poi pensavo al bene dei miei ragazzi e soltanto per loro prendevo forza per affrontare la dura realtà delle cose di questo mondo, dove bene e male si mescolano e si confondono e dove si è chiamati ad essere, sempre e comunque, caritatevoli e giusti.
Avverto sempre più che mi sarebbero utili e preziosi collaboratori nel quotidiano dei fratelli laici come gli ottimi Aio, Butturini, David: ad essi potrei affidare compiti delicati, oltre che l’assistenza dei ragazzi. La vocazione del fratello religioso laico è tanto importante nelle nostre opere quanto difficile a presentare. Come li vedrei bene anche come maestri nelle officine!
Essi possono essere accanto ai ragazzi anche durante il lavoro, garantendo un ambiente sano. Devo impegnarmi di più a pregare e a far pregare per ottenere nuove e valide vocazioni di fratelli.
 

giovedì 8 agosto 2013

307 - I GIOVANI

Giovanni Battista Piamarta: una vita per i giovani di Gabriele Filippini

Ma preziosa sopra ogni altro aspetto è la sua presenza fra i giovani e per i giovani. Usando come “oratorio” la sacrestia e un piccolo ma provvidenziale cortiletto a fianco della parrocchiale, don Piamarta attira schiere di giovani.
Con la sua simpatia innata, senza cedere al giovanilismo ma mantenendo autorevolezza e, all'occorrenza, severità, li conquista con varie proposte, a cominciare da passeggiate alla portata di tutti, sempre con l'obiettivo di parlare loro di Dio, di far conoscere Cristo e il Vangelo, portarli all'apostolato nella Chiesa, strappandoli alle tentazioni della strada, dal povero stile di vita dei perdigiorno e dagli estremismi delle idee politiche circolanti. Ed è successo. Un successo che non gli monta la testa.

La sera, quando prega, ripensa la sua giornata fra i giovani. E alla sua mente tornano i volti di quei ragazzi che hanno sì l'oratorio come riferimento ma poi? Sono quei ragazzi senza famiglia, senza affetti, che devono arrangiarsi in qualche modo per sopravvivere. Che ne sarà di loro? Chi pensa ad istruirli, a insegnare un mestiere? 
Inoltre è un prete attivo e pio ma non fuori dal mondo. Segue quotidianamente le cronache dei giornali ed è un appassionato lettore del quotidiano cattolico Il cittadino di Brescia. Sa benissimo che sta avanzando inesorabilmente il fenomeno della industrializzazione e dello sviluppo dell'artigianato e del commercio.
Chi avrebbe aiutato i giovani ad affrontare il nuovo mondo evitando il rischio di essere perennemente garzoni di bottega o lavoratori in fabbriche, piccole o grandi, dove lo sfruttamento e il degrado sono norma? Chi li prepara ad una forma più elevata, umana e giusta di lavoro?   

Questi pensieri si fanno quasi una voce che chiama: una vocazione. Il giovane prete si rende conto che non è un suo sogno quello di aiutare i ragazzi più poveri, ma è il Signore che lo chiede. Lui risponde: “dedicherò la mia vita a quei ragazzi. Saranno loro la mia vita”.
Con questa risposta don Giovanni Piamarta mette nel terreno della storia cristiana un seme che diventerà la pianta di una nuova famiglia religiosa dedita alla gioventù.
 

306 - PRIMO CENTENARIO

 

 

 
Lettura dell'opera
 
Quattro artigianelli pionieri con i simboli forti dei primi mestieri. Sempre per i simboli la geometria dell'edificio ristrutturato e la chiesa locale che si fonde nella cattedrale. L'idea della Città che abbraccia una istituzione nel suo primo centenario.
 
Autore dell'opera: Gianfranco Caffi


305 - MOLTA MISERICORDIA

29. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra

Ho tra le mani la lettera di un ragazzo, che avevo minacciato di sospendere dall’Istituto, nella quale, tra l’altro, scrive: “Le scrivo per poter riparare al dolore recatoLe colla mia mancanza. Le domando perdono, sperando che non vorrà negarlo ad un povero orfanello, che Lei raccolse in casa sua, il quale in un momento di sventatezza e di spensieratezza si è lasciato vincere da un compagno perverso, disgustando così Lei”.
Questi ragazzi mi rubano il cuore. Sono birbanti, sovente frutto dell’ambiente in cui sono cresciuti…me ne combinano di tutti i colori...ma il Signore me li affidati così come sono, perché possano sentire un poco di affetto ed essere sicuri che nella vita potranno trovare sempre chi li comprende..
Nei momenti di conflitto circa le decisioni da prendere, quando sono combattuto tra severità e comprensione, mi vengono alla mente le parole del Signore:”Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”.
Come pure mi si fanno presenti considerazioni del libro della Genesi, dove, dopo il diluvio, il Signore stringe un’alleanza gratuita, in cui non richiede nulla al partner umano, perché sa che “l’ istinto del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza ( Gen 8.21).

Una condizione di fragilità

Non solo: ma quando sono tentato di usare le maniere sbrigative, mi sforzo di pensare alla mia adolescenza, alle mie attuali difficoltà nel fare il bene, al mio bisogno di non essere frainteso.
E allora come posso non essere comprensivo e misericordioso?
Essere misericordiosi è una beatitudine, che rende pazienti e,alla fine. contenti. Come non essere misericordiosi pensando alla nostra natura ferita e fragile, che proprio per questo è amata da Dio?
E come non essere contenti, quando si sa di partecipare alla stessa pazienza educatrice di Dio?
Non mi sono mai pentito infatti di aver pazientato con un ragazzo. E’ bene riflettere con umiltà che forse quel monello che sembra irriducibile, non ha ancora trovata la sua strada. Per questo raccomando ai miei collaboratori di invocare frequentemente lo Spirito, perché, grazie al dono del Consiglio, si possa essere misericordiosi, senza venir meno alla missione di educare. La nostra grande concittadina, San’Angela Merici, non diceva forse che nell’educazione è necessario sintonizzarsi sull’azione dello Spirito Santo che opera in ogni persona?

Partire dal positivo

E’ più efficace partire dal positivo presente in un giovane, piuttosto che sottolineare con rimbrotti il negativo. Saper incoraggiare prima, di reprimere o correggere. Saper individuare le doti da sviluppare più che richiamare per le mancanze.
Il ragazzo va aiutato soprattutto a scoprire le capacità che non pensa di avere, perché acquisti fiducia nelle sue possibilità reali, spesso diverse da quelle sognate. Ciascuno potrà ricordare l’effetto corroborante prodotto da chi ci ha aiutato ad avere fiducia nelle nostre possibilità e ci ha spinti a svilupparle.

Educare alla misericordia

Quando spingo i giovani a impegnarsi per essere tra i primi nel loro mestiere, aggiungo anche di non cadere nella trappola della competizione selvaggia e senza misericordia, dove il fine di primeggiare giustifica i mezzi più sleali, spesso a danno dei più deboli. Beato colui che ha cura del debole: il Signore lo libererà nel giorno della sventura! Signore, aiutami ad educare i miei ragazzi alla comprensione, alla solidarietà, alla misericordia!
 

304 - LA MISSIONE

Alcuni punti sulla missione
 
Piamarta non è un teorico dell’educazione, ma un educatore che riflette sulla sua particolare missione di dare dignità attraverso il lavoro a giovani che partivano sfavoriti nella vita.
 
L’educazione dei giovani al lavoro richiede infatti un senso positivo della fatica umana, una fiducia nella perfettibilità dell’uomo attraverso il riconoscimento e l’esercizio delle sue capacità.
 
Attraverso il lavoro ci si realizza, specie quando il lavoro corrisponde alle proprie attitudini. Il lavoro è anche miglioramento della persona, è occasione di scoprire e di applicare le proprie capacità, è fonte di soddisfazione quando è ben fatto.
 
Ogni giorno, dice padre Piamarta, quando passo a visitare le officine dei tipografi, fabbri, falegnami, sarti, panettieri, calzolai ecc., il mio cuore si riempie di gioia nel vedere tanti ragazzi che si preparano alla vita. Il pensiero che molti di essi sono stati tirati fuori dalla strada e da ambienti malsani corporalmente e spiritualmente, mi ripaga assai dei notevoli sacrifici che dobbiamo affrontare per loro.
 
Quanti ragazzi hanno raggiunto alti traguardi, pur partendo da condizioni sfavorevoli, per il fatto di non lasciarsi piegare dalle condizioni avverse. Un carattere tenace, non lamentoso, che non scarica sempre le colpe sugli altri, che non si lascia abbattere facilmente, che cerca sempre soluzioni alternative, è garanzia di buona riuscita nella vita.
 
Padre Piamarta educa attraverso il lavoro e al lavoro, immettendo il lavoro nel complesso della realizzazione dell’uomo nel suo cammino verso Dio. Nessuna idolatria del lavoro, ma valorizzazione del lavoro, fonte di sostentamento, di realizzazione personale, di miglioramento del mondo, di santificazione.
 
Per questo si rifà ai grandi maestri della tradizione cristiana, che hanno preso sul serio l’importanza del lavoro, a partire dal Maestro, che prima imparò la dura lezione del lavoro a Nazareth, per poterla poi diffondere nel corso dei secoli. E ne ha acquistato in semplicità e incisività.
 
Padre Piamarta parla spesso di Nazareth, dove conduce idealmente i suoi giovani, perché qui si impara il vero senso del lavoro, il “costruire dimore eterne, attraverso le provvisorie impalcature umane".
 
Qui si impara l'amore maturo, capace di dare e non solo di esigere. Qui si impara quello che serve per mantenere una famiglia e quello che serve per mantenerla unita. Qui si impara che cosa è utile per essere cittadini di questo mondo e quello che è necessario per essere cittadini del mondo futuro.
 
Padre Piamarta chiamerà la sua Congregazione, destinata a continuare la sua opera, “Santa Famiglia di Nazareth", volendola come una famiglia, che trasmettesse lo spirito di famiglia, di benevolenza, di servizio. La Santa Famiglia diventa dunque “la Famiglia per le famiglie", sia per quella religiosa, sia per quella con e per i ragazzi, sia per quella che i ragazzi un giorno formeranno.
 
I giovani, la famiglia, la società diventano per padre Piamarta i tre pilastri della sua infaticabile attività.
 
***
 
ll Santo Padre l'ha proposto come modello esemplare agli educatori, l'ha dato come padre ai giovani, I‘ha presentato come intercessore per le famiglie, l‘ha offerto come protettore dei lavoratori.
 

lunedì 5 agosto 2013

303 - BONTA', CONCRETEZZA E DETERMINAZIONE

 
 
Lettura dell'opera
 
Il quadro di San Giovanni Battista Piamarta lo troviamo nella cappella di destra della chiesa di San Gerolamo Emiliani a Milano. Lo sfondo del quadro è un pezzo della chiesa di San Gerolamo Emiliani, disegno stilizzato che compone il profilo della chiesa.
S. Giovanni Battista Piamarta opera nella parrocchia attraverso la vita dei sacerdoti e fratelli della congregazione da lui fondata. Parte dell'immagine sembra uscire dalla cornice per significare la vicinanza con la nostra vita, un venirci incontro. San Giovanni Battista Piamarta mostra un libretto con una propria frase che sottolinea il totale abbandono operoso a Dio. Gli occhi sono buoni, i lineamenti da uomo di campagna. Bontà, concretezza e determinazione sono le qualità che il dipinto intende rappresentare.
 
Autore dell'opera: Graziano Chiesa
 

302 - UNA VITA DA PRETE

Giovanni Battista Piamarta: una vita per i giovani di Gabriele Filippini

A 24 anni il 23 dicembre del 1865 viene ordinato sacerdote da mons. Gerolamo Verzeri. Il giorno di Natale celebra la sua prima messa a Bedizzole, dove nel frattempo è diventato parroco il suo maestro don Pezzana. 
La celebrazione è quella solenne del Natale e a fare da corona a don Giovanni Battista vi è un gruppo di giovani amici venuti dalla parrocchia cittadina di San Faustino. C'è anche papà Giuseppe. La festa che ne segue è semplice e familiare, tipica di quegli anni di povertà.
Il novello prete ha di fronte anni vivaci e difficili per il contesto sociale e politico: infatti, con il processo che porta all'unità d'Italia nel marzo del 1861, si apre una questione scottante: Roma, capitale d'Italia. Questo significa fare i conti con il potere temporale del Papa, capo dello Stato Pontificio. La Chiesa è vista da non pochi italiani come un ostacolo al progresso e alla edificazione del futuro della Penisola, con tutti gli eccessi anticlericali che ne potevano seguire.

Ma è proprio questo clima fervente, quasi da sfida, che rende entusiasmati i primi passi di un prete bresciano novello che durante la sua prima messa prega il Signore di aiutarlo a non essere un servo inutile. Per questo non perde tempo: già nella festa di Santo Stefano, il 26 dicembre del 1869. Sono anni intensi di lavoro per il giovane curato che cura particolarmente del 1865, parte per Carzago Riviera, sua prima destinazione. A Carzago rimane fino al 5 aprile due settori pastorali: la Dottrina Cristiana e la gioventù. La piccola comunità di Carzago è fatta da famiglie semplici, dedite per lo più al lavoro della terra. É a questa gente buona e umile che spiega con passione il catechismo della Chiesa romana, nel solco della tradizione che era andata con frutto consolidandosi dal Concilio di Trento in poi. Coi giovani, invece, introduce alcune novità quali le serene passeggiate nelle vicinanze, soprattutto a Vallio che ben conosce. E queste ore serene diventano occasione di formazione, catechesi, educazione umana e cristiana. Il giovane prete è bravo e piace. Per questo il parroco di Bedizzole, quel don Pezzana che ben conosce le qualità del curato di Carzago, lo vuole suo collaboratore. Nel 1869 don Piamarta è trasferito a Bedizzole.

Si tratta di una salto che lo inserisce in una realtà pastorale molto diversa: se Carzago conta circa 500 abitanti, Bedizzole ne ha 3.500, sparsi in un vasto territorio di contrade, con le loro cappellanie. Don Giovanni Battista, a fianco dell'amato parroco don Pancrazio, lavora molto. Fa la spola da una frazione all'altra, con quel passo a causa del quale qualcuno lo paragona al “bersagliere”. Coi giovani continua la sua azione illuminata e carica di passione, con un aiuto in più di grande valore e significato: una comunità di Suore Canossiane, famiglie religiosa sorta a Verona all'inizio dell'Ottocento.
Anche a Bedizzole il curato Piamarta è amato e stimato. Ma ecco un imprevisto: alla fine del 1870 il parroco don Pezzana viene chiamato a guidare la parrocchia di S. Alessandro, nel cuore della città. Accetta alla condizione che venga trasferito con lui anche il curato. I due affiatati sacerdoti giungono in città e cominciano un lavoro straordinario.
S. Alessandro è un quartiere eterogeneo, molto diverso da quello popolare di San Faustino. Vi sono bei palazzi nobiliari, sedi istituzionali, case religiose e tante abitazioni popolari. Don Piamarta ha 29 anni, conosce Brescia, va d'accordo col parroco e gli altri sacerdoti della città, ha una grande passione apostolica e si butta a capo fitto nel lavoro pastorale. É proprio in questi anni che viene definito “don argento vivo”, tanto è il suo muoversi e correre di qua e di là. Ma non a vuoto: la sua azione scaturisce da una profonda e autentica vita spirituale. É pure di questi anni la voce che gira fra la gente: è un santo. La gente ha fiuto e vede subito da come celebra la messa, prega, predica...

La presenza di don Piamarta a S. Alessandro è preziosa per la vita liturgica e il decoro della chiesa. Nel periodo di tempo in cui è lui ad interessarsi della sacrestia si dà da fare per dotare la parrocchia di paramenti e arredi sacri degni della loro funzione.
Ma più preziosa ancora è la sua azione fra i parrocchiani. É amato e ammirato dai fedelissimi. Ma è anche stimato dai lontani, generalmente anticlericali per ragioni politiche. Infatti dopo la presa si Porta Pia e la fine dello Stato pontificio sorge la Questione Romana che per decenni vede anche i cattolici, clero incluso, schierati sul fronte liberale che osannava alla nuova Italia unita e il fronte intransigente che valutava la perdita del potere temporale del Papa come una ferita fatta alla Chiesa e una offesa verso la religione.
Piamarta è uomo di Dio e, pur guardando con attenzione ai segni dei tempi e alle vicende nazionali, a lui sta a cuore il bene delle anime. Accoglie ogni persona a prescindere dalle sue idee politiche. Per questo è temuto anche da alcuni notabili “mangiapreti”: sanno che un prete come lui conquista il cuore e, magari, l'adesione alla Chiesa. E negli anni trascorsi a S. Alessandro, ma anche in quelli successivi, non sono pochi i casi di conversioni, anche in extremis, dovute proprio alla testimonianza e al sapiente equilibrio di don Piamarta.
 

301 - PIU’ CORAGGIO

28. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra

Mi è stato detto, e più di una volta, che sono un uomo forte. Avverto che lo dicono ora con intento elogiativo per la mia tenacia nel perseguire gli obiettivi, ora con un non troppo velato rimprovero, alludendo al mio carattere considerato inflessibile. Sapessero quante volte invoco il dono della fortezza per affrontare i problemi quotidiani! Prego per ottenere la costanza e la perseveranza nella missione affidatami, e prego anche per non lasciarmi travolgere dagli eventi.
Ogni giorno chiedo umilmente al Signore di poter dire con San Paolo: “Tutto posso in Colui che mi da forza”! Perché “mia forza e mio canto, sei Tu Signore”. La missione dell’ educazione la sento superiore alle mie povere forze umane. Se è vero che l’educazione deve arrivare al cuore e da qui ripartire e se è vero che solo Dio può toccare il cuore, allora è necessario chiedere quel supplemento di aiuto che permette di varcare le soglie del cuore dei nostri ragazzi

Forti nella prova

Prego anche di saper educare i miei giovani alla fortezza, una virtù spesso latitante e fraintesa. Non è fortezza il pretendere di vincere sempre, ma l‘allenarsi ad accettare serenamente gli alti e bassi delle vicende umane, dove non ci sono solo risultati positivi, ma anche i negativi. Se è da forti accettare la competizione, è da fortissimi il saper riconoscere i propri limiti. Non è da forti “piangersi addosso”, per un insuccesso, ma ripartire con realismo e fiducia. “Come si vince a Waterloo”, o “come far tesoro dei propri limiti”, “o come amministrare bene i propri talenti”: sono tutte espressioni di vera fortezza.
A noi non è richiesto di aver sempre successo, ma di far fruttare al massimo i nostri talenti, che sono diversi e complementari. Sovente un insuccesso è più utile di un successo, al fine di conoscere se stessi e stimarsi per quello che veramente si è.

Forti nella fede

Come mi fanno pena i lamentosi e quelli che incolpano sempre gli altri delle proprie disavventure, così mi sento in dovere di scuotere quelli che non hanno il coraggio della propria fede.Trascrivo qui alcuni appunti di predicazione ai miei ragazzi: “Noi cristiani non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio” (1 Cor 2,12). E lo Spirito di Dio ci aiuta a contrastare ciò che piace al mondo. Ecco le massime del mondo che sono agli antipodi di quelle di Gesù Cristo: “il perdonare a chi ci fa del male è una debolezza; moderare l’ambizione è un mancare di coraggio; la gioventù deve correre senza posa la via dei piaceri e soddisfare tutti i gusti”. Ora perché molti ,ma molti, cristiani le seguono? Perché non si ha il coraggio di andar contro corrente; si ha vergogna di rimanere soli. E allora si dice: così si vive nel mondo, bisogna operare con gli altri… Ma noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo che ci invita a non essere schiavi del mondo, a non temerlo, a “disprezzare il suo disprezzo”, a guardare avanti, perché il cristiano è l’uomo del futuro, l’uomo che pensa che il “più” è davanti a noi”.
Il mondo infatti passa e noi passiamo con esso. “Ma chi fa la volontà del Signore rimane in eterno”.
Quante volte ho insistito e insisto su questo tasto: il futuro appartiene a chi ha le idee più chiare e a chi è disposto a pagare per queste idee! E le nostre idee sono basate sulle promesse di Cristo!

Una grande storia 

 Noi abbiamo nella storia della santità una miniera di esempi convincenti di personalità forti e affascinanti. Come erano attenti i miei ragazzi quando narravo gli episodi di eroismo dei martiri, i viaggi e il coraggio di San Paolo, le imprese di Francesco Saverio, l’amore a Cristo di Francesco d’Assisi, la conversione e la sapienza di Agostino. E’ una grande storia da conoscere, da narrare, da far rivivere nell’oggi, da continuare. Come si arricchirebbe anche l’umanità dei nostri ragazzi, così poveri di modelli positivi.
 

venerdì 2 agosto 2013

300 - HA DATO UNA GRANDE MANO

 
 
Lettura dell'opera
 
"Venite o benedetti dal Padre mio, perchè ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete accolto" (Mt 25, 34-35).
 
Autore dell'opera: Mario Gilberti


299 - EDUCARE I GIOVANI

da "i pensieri di padre Piamarta"

La vostra opera richiede un grande spirito di sacrificio e voi non dovete fuggire dai pesi che vi sono imposti dalla vostra vocazione. Accogliere la gioventù, infatti, sorvegliarla, darle consigli, correggere ed istruirla sono un continuo esercizio di abnegazione e di estrema pazienza che a suo tempo daranno frutti copiosi di virtù.


S. Filippo Neri amava particolarmente i giovani, perché pensava che il bene fatto ad essi era il bene più fruttuoso che si poteva fare in relazione a tutte le altre categorie di persone. Li amava particolarmente, perché vedeva che il trionfo della grazia e dell'amore di Dio nei giovani ha una efficacia e una bellezza particolare. Li amava soprattutto, perché, volendo migliorare la situazione del suo tempo, capiva che una riforma è durevole solo se è fatta sopra i giovani perché l'abito delle virtù che essi acquistano lo possono tramandare poi alle future generazioni.


S. Ambrogio ci ammonisce che non c'è occhio acuto che possa penetrare nel cuore dei giovani per vedere i pericoli che insidiano la loro innocenza. A volte basta un motto, un'occhiata o una compagnia cattiva perché chi è innocente si perda e precipiti nel male. Un cattivo esempio, o in casa o fuori casa o nella stessa chiesa, può essere un laccio perché possano cadere nel male. Ma c'è il Signore e c'è la mamma di tutti, Maria SS.ma, c'è l'angelo custode che stendono la loro mano sopra i pericoli inevitabili della gioventù. Però, chi ha il dovere di aiutare i giovani non risparmi la sua assistenza e la sua protezione.
 
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