03. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano
Cabra
Brescia 2 marzo 1910
La parola inceppata
“Dopo quasi un’ora di ostinata lotta con la penna” riesco a scrivere alcune righe, “mentre mi si stava per poco recitando il “De profundis”.
L’11 gennaio ho subito un insulto apoplettico, che mi tolse la parola per un paio di giorni. Dovevo essere davvero conciato male se il Cittadino di Brescia si sentiva in obbligo di tranquillizzare i lettori, affermando che “il Direttore dell’Istituto Artigianelli è assai migliorato, restandogli ora un poco di inceppamento della parola” e se i miei collaboratori si sentivano in dovere di ringraziare le molte “benevole persone”che si sono interessate della mia salute. In attesa di “ricuperare la completa guarigione” e di “ottenere la grazia plenaria della perfetta libertà di parola, parlata e scritta”, non posso non ringraziare il Signore per gli anni di servizio della mia parola alla Sua Parola.
Non sono mai stato un predicatore di cartello, ma ho avuto la sensazione di essere ascoltato volentieri dal popolo e di essere di utilità per miei ragazzi e giovani. Questi, quando ritornano, mi ricordano non poche parole che sono rimaste impresse, parole che sovente avevo la sensazione di spargere al vento per l’apparente scarsa attenzione prestata. E’ una conferma che a noi tocca seminare, anche se i frutti non sono immediati, ma verranno col tempo.
I giovani ascoltano più di quanto non sembri: solo che non vogliono dare la soddisfazione di farlo vedere, quasi per affermare la loro autonomia. Noi educatori non siamo come i lavoratori dell’industria che operano per vedere subito i frutti. Siamo piuttosto come i contadini che seminano con fiducia sapendo che il frutto verrà a “suo tempo”. E’ una convinzione da radicare anche nei giovani, i quali pure devono lavorare sui tempi lunghi della preparazione al loro futuro: Lavorare e faticare oggi per avere frutti in un domani non immediatamente a portata di mano. Il volere tutto e subito, forzando i tempi, produce frustrazione, scoraggiamento e tentazioni di abbandonare l’impresa.
Le parole che sfuggono
Ora che faccio fatica a parlare mi vengono in mente le parole che mi sono sfuggite e non dovevo pronunciare, quando parlavo speditamente. Il mio carattere impulsivo è sempre stato un problema per me, perché non è mai stato facile dominarmi.
Fin da giovane avevo preso ad esempio San Francesco di Sales che era considerato il santo della mitezza, ma che aveva dovuto lottare per più di venti anni per dominare la sua indole irascibile. Beato lui che ha impiegato solo venti anni! Quante volte ho dovuto fuggire in chiesa per evitare una scenata e per calmarmi!
E quante volte ho chiesto scusa per aver trasceso o esagerato nel rimprovero. Mi sono ripromesso di seguire le sagge indicazioni dei Padri del deserto: “Sotto l’effetto della collera, non fare nulla. Taci, perché tacendo vinci più facilmente”. E ancora: ”Occorre, fin dove è possibile, impedire all’ira di penetrare fino al cuore; se essa c’è già, fare in modo che non si manifesti sul volto; e se si mostra, controllare la lingua per cercare di preservarla; se è già sulle labbra, impedirle di passare agli atti. E sempre vigilare a eliminarla il più presto possibile dal proprio cuore”.
Il focoso apostolo San Paolo aveva gli stessi miei problemi…forse la famosa spina piantata nella carne…o schiaffo di Satana…era proprio quel suo carattere impetuoso… ..
Spero di riprendere la parola per poter parlare con più filtri, ma…non certamente con meno franchezza, sincerità e coraggio!
Brescia 2 marzo 1910
La parola inceppata
“Dopo quasi un’ora di ostinata lotta con la penna” riesco a scrivere alcune righe, “mentre mi si stava per poco recitando il “De profundis”.
L’11 gennaio ho subito un insulto apoplettico, che mi tolse la parola per un paio di giorni. Dovevo essere davvero conciato male se il Cittadino di Brescia si sentiva in obbligo di tranquillizzare i lettori, affermando che “il Direttore dell’Istituto Artigianelli è assai migliorato, restandogli ora un poco di inceppamento della parola” e se i miei collaboratori si sentivano in dovere di ringraziare le molte “benevole persone”che si sono interessate della mia salute. In attesa di “ricuperare la completa guarigione” e di “ottenere la grazia plenaria della perfetta libertà di parola, parlata e scritta”, non posso non ringraziare il Signore per gli anni di servizio della mia parola alla Sua Parola.
Non sono mai stato un predicatore di cartello, ma ho avuto la sensazione di essere ascoltato volentieri dal popolo e di essere di utilità per miei ragazzi e giovani. Questi, quando ritornano, mi ricordano non poche parole che sono rimaste impresse, parole che sovente avevo la sensazione di spargere al vento per l’apparente scarsa attenzione prestata. E’ una conferma che a noi tocca seminare, anche se i frutti non sono immediati, ma verranno col tempo.
I giovani ascoltano più di quanto non sembri: solo che non vogliono dare la soddisfazione di farlo vedere, quasi per affermare la loro autonomia. Noi educatori non siamo come i lavoratori dell’industria che operano per vedere subito i frutti. Siamo piuttosto come i contadini che seminano con fiducia sapendo che il frutto verrà a “suo tempo”. E’ una convinzione da radicare anche nei giovani, i quali pure devono lavorare sui tempi lunghi della preparazione al loro futuro: Lavorare e faticare oggi per avere frutti in un domani non immediatamente a portata di mano. Il volere tutto e subito, forzando i tempi, produce frustrazione, scoraggiamento e tentazioni di abbandonare l’impresa.
Le parole che sfuggono
Ora che faccio fatica a parlare mi vengono in mente le parole che mi sono sfuggite e non dovevo pronunciare, quando parlavo speditamente. Il mio carattere impulsivo è sempre stato un problema per me, perché non è mai stato facile dominarmi.
Fin da giovane avevo preso ad esempio San Francesco di Sales che era considerato il santo della mitezza, ma che aveva dovuto lottare per più di venti anni per dominare la sua indole irascibile. Beato lui che ha impiegato solo venti anni! Quante volte ho dovuto fuggire in chiesa per evitare una scenata e per calmarmi!
E quante volte ho chiesto scusa per aver trasceso o esagerato nel rimprovero. Mi sono ripromesso di seguire le sagge indicazioni dei Padri del deserto: “Sotto l’effetto della collera, non fare nulla. Taci, perché tacendo vinci più facilmente”. E ancora: ”Occorre, fin dove è possibile, impedire all’ira di penetrare fino al cuore; se essa c’è già, fare in modo che non si manifesti sul volto; e se si mostra, controllare la lingua per cercare di preservarla; se è già sulle labbra, impedirle di passare agli atti. E sempre vigilare a eliminarla il più presto possibile dal proprio cuore”.
Il focoso apostolo San Paolo aveva gli stessi miei problemi…forse la famosa spina piantata nella carne…o schiaffo di Satana…era proprio quel suo carattere impetuoso… ..
Spero di riprendere la parola per poter parlare con più filtri, ma…non certamente con meno franchezza, sincerità e coraggio!
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