LA PRESENZA DELLA CONGREGAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH NEL MONDO

lunedì 17 settembre 2012

81 - IL MISTERO DI PADRE GIOVANNI PIAMARTA

Quando, poco meno che ventenne, ebbi modo di entrare in contatto con coloro che avevano vissuto con Padre Piamarta (1841-1913), rimasi colpito dal loro entusiasmo nei suoi confronti e dall’ammirazione per la sua indiscussa santità. Ma, ancor più mi stupiva quello che tutti aggiungevano: “Quanto pregava il Padre! Quando giungevamo in chiesa al mattino presto, lui era già là da alcune ore”!
Conoscendo le loro abitudini antelucane, per me orripilanti,e vedendo come si spendevano tutto il giorno, e oltre, attorno ai ragazzi, secondo lo stile del Padre, sorgeva in me la domanda:”Ma quando dormiva il Padre?” Alla quale seguiva spontanea la seconda: “Come riempiva queste ore rubate al dolce sonno”?
Un giorno lessi in uno dei suoi appunti di predicazione questa proposta per me “indecente”, lo confesso, circa un mese di maggio, fatta ai parrocchiani:
“Tutte le mattine ci troveremo alle quattro e un quarto: Messa e poi quattro parole, che non oltrepasseranno i venti minuti. E’ un po’ troppo presto, lo vedo anch’io. Ma il vedervi desiderosi di sacrificare un’ora di sonno per correre a porgere il vostro ossequio a Maria, spinge anche me a fare questo sacrificio. Se dunque venite alle quattro e un quarto, alle cinque e un quarto sarete liberi”.

Questo è stato per me il primo “mistero” di Padre Piamarta.
Una città e una diocesi dinamiche
Giovanni Battista Piamarta era partito povero. Veniva da un quartiere popolare della città di Brescia, stremata dal colera del 1836 e dalle famose Dieci Giornate del 1849. Era nato, fra le due date, nel 1841 e a nove anni era restato orfano di mamma, rimanendo praticamente abbandonato a se stesso, facendo l’esperienza della strada, dove il suo piglio creativo e di trascinatore lo aveva fatto quasi un capobanda. Si salvò, racconterà lui stesso, per aver trovato nell’oratorio San Tommaso delle guide sagge che lo indirizzarono a comprendere la bellezza del bene e della sana allegria.
Fece la dura esperienza dell’apprendista, poi della benevolenza di benefattori che lo aiutarono negli studi.
Divenuto sacerdote a 24 anni, dopo pochi anni di servizio in parrocchie di campagna, passa a dirigere l’Oratorio della centralissima Parrocchia di Sant’Alessandro.
Sono i tempi delle grandi tensioni tra Stato e Chiesa,dell’acuirsi dell’anticlericalismo, dell’inizio della fuga dalle povere campagne verso la città o verso Paesi lontani e per Brescia, dell’incipiente industrializzazione.
Qui dimostra di conoscere bene l’ambiente dei giovani,specie quelli che nei quali vedeva rivivere la sua sofferta storia personale. Si immedesima con i loro problemi e comprende d’essere stato chiamato ad aiutarli a crearsi un futuro degno dei figli di Dio.
Era rimasto colpito dalla conclusione della parabola dei talenti, là dove il Padrone condanna duramente il servo che non aveva trafficato il proprio talento, per timore di perderlo.
E aveva subito tratto la conclusione che non doveva reprimere le sue energie,specie la sua riconosciuta intraprendenza, ma era suo dovere metterle al servizio di Dio.
“A Dio si va per addizione, non per sottrazione.” amava ripetere con il suo Francesco di Sales, perché bisogna orientare tutti i propri talenti verso di Lui e verso i fratelli.
Sa di essere povero e di poter far ben poco da solo. Ma sa che con Dio nulla è impossibile.
E prega, prega, per non essere un servo pigro e inutile.
E un giorno sale a San Cristo, il seminario per i chierici poveri, aperto dall’amico don Pietro Capretti,un santo prete, colto, vera anima dell’incipiente movimento cattolico bresciano,inteso “a ridare Dio alla società e la società a Dio”.
Qui saliva anche il Beato Giuseppe Tovini, promotore instancabile di opere sociali, soprattutto dell’educazione cattolica in Italia.Qui saliva anche Giorgio Montini destinato a diventare il capo indiscusso del laicato cattolico, uomo dalle larghe vedute, respirate in famiglia dal figlio Giovanni Battista.
Qui salivano anche eminenti ecclesiastici quali Geremia Bonomelli, futuro vescovo di Cremona.
Dai colloqui con l’amico Capretti, il cuore di questa fucina di idee e di iniziative, nasce il progetto dell’Istituto Artigianelli, aperto per aiutare i giovani poveri a inserirsi nel mondo del lavoro.
Seguiranno poi la fondazione della celebre Colonia Agricola di Remedello Sopra, grazie alla collaborazione di P.Giovanni Bonsignori, l’apostolo della nuova agricoltura, l’Editrice Queriniana, la fondazione delle Congregazioni Sacra Famiglia di Nazareth e, assieme a Madre Elisa Baldo anche della Congregazione delle Umili Serve del Signore.
Una via irta di triboli e spine
Con l’Istituto Artigianelli, nascerà una vera cittadella del lavoro, che offrirà delle maestranze qualificate alla nascente industria bresciana. Deve pensare a tutto ed è solo: ma come fare a respingere la domanda di una madre rimasta vedova che supplica di dare un futuro sicuro al figlio? Come non ascoltare l’accorata presentazione di un parroco che gli porta dei ragazzi rimasti privi di entrambi i genitori? Come non trovare un posto per quel ragazzo dall’apparenza spavalda, ma che non sapeva dove andare a dormire la notte?
Vive con loro e per loro, pensando al loro futuro di lavoratori preparati, di cittadini leali, di cristiani convinti.

Scriverà verso la fine della sua vita: “Ho cominciato quest’opera e i contrasti e i dolori, le disillusioni e le indifferenze e gli abbandoni anche per parte di persone su cui si era fondato tutto l’appoggio morale e materiale, furono il mio pane quotidiano e continuano più che mai ad esserlo tuttora”.
“I dolori e le traversie d’ogni fatto, sono un pane avanzato dalla tavola di Gesù Cristo. Ed io in questi giorni, sto mangiandone la parte più dura”.
“Ma le opere di Dio non prosperano che all’ombra della croce ed anche a volere che esse diano frutti copiosi, conviene che noi le andiamo innaffiando dei nostri sudori, delle nostre lacrime e perfino del nostro sangue: basta guardare a Gesù” .

Inserito nel suo tempo
Nonostante la mole massacrante di lavoro, non si astrae dal suo tempo, sempre attento al nuovo, guardando sempre lontano, con l’occhio al bene delle anime.
Si indigna per gli ingiusti attacchi al Cardinal Ferrari,depreca l’intromissione del clero in politica “causa del decadimento dello spirito sacerdotale”, fa da tramite tra il potente ministro Zanardelli e il Vescovo Bonomelli, considera grande quest’ultimo per i suoi scritti, ma grandissimo quando fa atto di pubblica sottomissione al Santo Padre.
Dalla sua tipografia “Queriniana” esce tutta la vigorosa stampa cattolica Bresciana, polemica nei confronti del governo liberale, combattiva nei confronti del socialismo irridente alla religione, coraggiosa, alla quale non pone limiti prudenziali per timore di ricatti verso il suo Istituto.
Una delle prime opere di editore è stata la pubblicazione di un libretto sul Matrimonio cristiano, tradotto dal francese, in occasione delle nozze dell’avvocato Giorgio Montini.
Per i giovani pubblicherà innumerevoli edizioni de Il giovane studente dell’amico Geremia Bonomelli. E poi varie collane di testi teatrali, di buoni romanzi, di letture per il popolo e per biblioteche popolari.

Tiene una fitta corrispondenza, raccolta in un volume di poco meno di mille pagine, dove si alternano problemi educativi e questioni economiche, lettere con missionari e con ex alunni, direzione spirituale e consigli di grande saggezza.
Pubblica il periodico La famiglia agricola, assai apprezzata dai parroci del tempo, dove P. Bonsignori sensibilizza alla missione storica di promozione umana da parte del prete nelle campagne.
Per i suoi ragazzi fu un condottiero dal cuore di mamma: li dirigeva verso la vita educandoli al lavoro e attraverso il lavoro,con il senso del dovere e con lo stile ilare e persino scanzonato di San Filippo Neri, modello di un’educazione attenta a rendere simpatica la vita cristiana, permettendo al giovane d’essere giovane.

Come ha potuto reggere?
Venendo a conoscenza di una biografia di questo genere, aumentava in me la curiosità, di sapere come potesse reggere a un ritmo simile di vita.
Un giorno scoprii che aveva un debole per Santa Teresa, che considerava sua maestra d’orazione e non solo perché Teresa sosteneva che il frutto dell’orazione erano opere e opere, ma perché Teresa aveva detto due cose essenziali che mi aiutavano a rendere meno astratto il mio avvicinamento al mistero Piamarta:
La prima che la preghiera è un ritirarsi nel ‘castello interiore’, assieme al ‘Re sconfitto’ per attingere alla potenza di Dio e così riprendere coraggio e vigore per resistere e ripartire con Lui alla riconquista del mondo.
Ecco che cosa faceva Padre Piamarta, alzandosi al canto del gallo: ritirarsi nel castello interiore, davanti al Santissimo e alla grotta della Madonna di Lourdes, per attingere alla potenza di Dio!
E ripartire alla conquista del cuore della gente, specie dei suoi ragazzi, per ricondurli alle sorgenti della vita, con sempre nuove strategie e sempre rinnovate energie.
La seconda: “Metti gli occhi sul crocifisso e tutto ti sembrerà poco. Sapete che cosa vuol dire essere davvero spirituali? E’farsi schiavi di Dio, segnati dal suo marchio, il marchio della croce. Così ci potrà vendere come schiavi di tutti, come fu Lui”.
Quanto meditava Piamarta sul Crocifisso! Quando parlava del Crocifisso lo faceva con le parole infuocate e il cuore ardente dell’apostolo Paolo, tanto da meritare il nomignolo di “San Paolo”.
Così poteva scendere le scale della sua belle chiesetta e immergersi nella pasta non sempre malleabile del quotidiano, dove lo attendevano caratteri difficili con cui collaborare, creditori impazienti,maestri d’officina che richiedevano macchinari più efficienti, ragazzi particolarmente problematici da seguire, richieste impossibili da soddisfare,consigli da dare, muratori da dirigere, genitori da consolare,contratti da firmare, lui che era considerato “un poeta dell’economia”…E poi, cosa per nulla secondaria, quel suo carattere bresciano impulsivo e sbrigativo da tenere continuamente a bada, in mezzo a quel rumore delle officine, a quel cumulo di impegni, a quella fretta micidiale!

Quel mistero
E così ha potuto realizzare quanto aveva chiesto come dono nel giorno della sua prima Messa: Signore, fa che io non sia un servo pigro e inutile!
Chiese di essere lo schiavo del Signore, per essere servo di tutti, specie dei suoi giovani.
Quante volte ho pensato: “Ma questo è il mistero della santità”.
Ed ora che la Chiesa l’ha riconosciuto, mi sento più lieto e un poco orgoglioso di averlo conosciuto, anche se per interposte persone.
Orgoglioso, ma non troppo, perché la Chiesa mi dice anche “Fa anche tu questo e vivrai”!
Ma quelle levatacce ?
Non sono per tutti, è vero, ma non sarà anche per questo che tu non sei santo ?

Pier Giordano Cabra

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