LA PRESENZA DELLA CONGREGAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH NEL MONDO

venerdì 8 giugno 2012

18 - IL SIGNIFICATO DELL’AZIONE DI PADRE PIAMARTA

1. L’Istituo Artigianelli: è un progetto nato da un’acuta intuizione e da una meditata lettura della realtà e delle esigenze del suo tempo,da un’attenzione non timorosa ma realistica dell’avanzare del moderno, del nuovo, in una società, non solo quella religiosa, impreparata all’impatto con la novità e la modernità.

2. La Congregazione religiosa Santa Famiglia di Nazareth,da lui fondata, vuol rispondere alle esigenze e ai bisogni della moderna società, attraverso un apostolato intellettuale e insieme sociale il più adeguato possibile ai tempi.

3. P. Piamarta si distingue dalle precedenti esperienze per una spiritualità più avvertita della esigenza di una presenza culturale del cattolicesimo nel mondo moderno e una visione aperta ai problemi del mondo del lavoro nei suoi molteplici aspetti, ma specialmente nel settore della formazione professionale dei giovani e del loro inserimento nel mondo produttivo.

4. Educare al lavoro voleva dire insegnare un’arte, convincere che nella vita non si può avere tutto e subito e quindi occorre costanza, che la professionalità va accompagnata dall’onestà e che il fondamento cristiano aiuta a superare le immancabili difficoltà. Col lavoro ben fatto inon solo si migliora la propria posizione, ma la stessa società. “Siate valenti artisti, ottimi cittadini e perfetti cristiani”.

5. L’educazione alla famiglia:significava mettere i giovani nelle condizioni di formarsi una famiglia, grazie all’apprendimento di un mestiere e di affrontarla con le disposizioni spirituali capaci di renderla solida, grazie alla formazione del cuore. Un cuore capace di un amore maturo, cioè di accettazione dell’altro, di comprensione reciproca, capacità di sacrificio.

6. P. Piamarta parla spesso di Nazareth, perché a Nazareth si lavora, si prega, ci si vuol bene. Qui il Figliol di Dio impara un lavoro nella bottega di Giuseppe, guadagnandosi il pane con il sudore della fronte. Vissuto con Dio il lavoro permette al “divino Architetto di costruire una casa eterna, attraverso le nostre impalcature provvisorie”. Qui si impara a crescere nel rispetto e nell’amore reciproco, in solidarietà con chi fatica con noi.

7. Per amore dei giovani, P.Piamarta, povero e senza risorse, ha affrontato enormi difficoltà, confidando nell’aiuto della Provvidenza e con spirito di fede: ”I dolori e le traversie sono un pane avanzato dalla tavola di Gesù Cristo. Ed io ne sto mangiando la parte più dura”. Infatti le “opere di Dio prosperano all’ombra della croce”

8. Due o tre ore di preghiera al mattino prima di iniziare la giornata, erano per lui “il ritirarsi nel castello interiore, dove, in compagnia del re sconfitto, comunicava alla potenza di Dio per avere la forza di ripartire ogni giorno alla riconquista” del cuore dei suoi ragazzi.

PPGC

 

lunedì 4 giugno 2012

17 - PADRE GIOVANNI PIAMARTA

16 - PADRE PIAMARTA E I LAICI

Un prete dell’Ottocento, che cosa può dire ai laici del duemila?
A prima vista sembra ben poco, data la distanza culturale, e dato il fatto che la vita di un laico è cosa ben diversa dalla vita di un prete, che per di più che viene raffigurato con veste e tricorno.

Eppure … se c’è un santo e che può essere “esemplare” per i laici, questi è proprio P. Piamarta, sollecito per l’educazione cristiana dei giovani “nel lavoro, nella famiglia e nella società”.

Educazione, lavoro, famiglia, società sono gli ambiti proprio del laico, nei quali è stato coinvolto Padre Piamarta in forma non superficiale e non dall’esterno, ma nella concretezza e nelle difficoltà che il quotidiano riserva a chi vi opera da un luogo non privilegiato.

A partire dalla questione economica.

Lasciamoci guidare dal suo“diario”:


Come i genitori, nelle difficoltà di ogni giorno
“La vita di parrocchia mi si confaceva e mi dava anche delle soddisfazioni sacerdotali e umane.

Tuttavia la mia vocazione era quella di pensare ai ragazzi bisognosi di tutto.

Ho dovuto inventarmi così un nuovo stile di vita, in parte assai simile a quello dei genitori i quali devono portare avanti la famiglia, provvedendo non solo all’anima ma anche al corpo dei figli, facendo non pochi sacrifici e che, contemporaneamente devono pensare alla loro educazione.

Mi sono accorto che queste occupazioni possono portare lontano dal Signore, se ci assorbono totalmente. Mentre possono avvicinarci più sicuramente a lui, se vissute come servizio a Dio nei suoi figli”(44.La mia eredità)

 “Sento inoltre che questo assillante impegno per la questione economica e per una buona educazione dei ragazzi, mi avvicina alle preoccupazioni che la povera gente ha nei confronti dei gravosi problemi di ogni giorno e mi induce a non giudicare con troppa facilità le insufficienze delle povere famiglie.

Nelle mie condizioni, penso di essere in grado di comprendere meglio i miracoli che deve compiere la povera gente, per sopravvivere, con l’annessa tentazione di far servire la religione a un mezzo tirare avanti, riducendo il rapporto con Dio a una richiesta di aiuto nelle cose temporali.

Ecco perché il giorno del mio onomastico mi ritiro volentieri in un luogo appartato, come faceva Giovanni Battista, per ottenere dal Signore la forza di servirlo nelle mie fatiche, come vuole Lui e senza lasciarmi travolgere dal “terribile quotidiano”. Desidero essere servo di Dio, per meglio servire i suoi figli (8.Il mio onomastico)

La Famiglia
Fin dalle mie prime esperienze personali e pastorali ho percepito che la famiglia non godeva di buona salute. Mio Dio, quante sofferenze e quanti lacrime !

Quale urgente necessità del risanamento della famiglia per una società più umana e cristiana!.

Stando in mezzo ai giovani poveri ho maturata la convinzione che per formare una famiglia solida occorrono avere delle condizioni materiali per mantenerla, e delle condizioni spirituali per mantenerla solida.

Nella gestione delle opere che il Signore mi ha affidato, ho sempre perseguito la finalità di mettere i miei giovani nelle condizioni di formarsi una famiglia, grazie all’apprendimento di un mestiere e di affrontarla con le disposizioni spirituali capaci a renderla solida, grazie la formazione del cuore.

Per “educazione cristiana” ho inteso l’ educazione integrale, fatta di preparazione tecnica e di formazione spirituale, per aiutare i giovani a realizzare una famiglia cristiana
Quale modello proporre? Quello della società attuale che “va allontanandosi da Dio e ingolfandosi nella materia e nella corruzione”e che presenta il modello di una famiglia senza basi sicure?
Io porto volentieri i miei ragazzi con il pensiero a Nazareth, dove si lavora e dove si vive un amore maturo, cioè ci si vuol bene in tutte le situazioni.
Quando oggi si parla di amore si intende il più delle volte la passione e l’istinto.“Ed ecco i frutti: famiglie scisse. Presto sorgono discordie e separazioni. E i figli? Consultate le statistiche della sola Italia: 14.000 giovanetti dai 9 ai 14 anni condannati in prigione”.

L’amore maturo esige accettazione dell’altro, comprensione reciproca, capacità di sacrificio per il bene della famiglia: tutto questo brilla di luce splendida nella Santa Famiglia di Nazareth.Guardare per imparare. E poi pregare per imitare, perché l’amore maturo è un’arte impegnativa. (32: Una famiglia per le famiglie)ì

Il lavoro
Spiego spesso il valore del lavoro ai miei ragazzi: la sua necessità per la vita, per la propria realizzazione, per il miglioramento della società. Ma quando il lavoro non è apprezzato, quando non dà alcuna soddisfazione? E i contrasti sul lavoro? Le gelosie, le rivalità? Penso a queste cose, il mio cuore corre a Nazareth, perché qui si trova il vero senso del lavoro.

Il Figlio di Dio è cresciuto come uomo lavorando per mostrare come l’uomo che lavora può crescere nella statura di figlio di Dio. Il lavoro che fa parte della vita umana, lo innalza ad altezze vertiginose, quando è unito alla volontà del Signore, perché permette al divino Architetto di costruire una casa eterna, attraverso impalcature provvisorie (22.Lavoro e nobiltà)

Scoprire la nobiltà del quotidiano
Quando parlo ai miei confratelli che condividono con me la stessa missione, ricordo sovente la necessità dell’unione di questi due momenti.

La nostra vita intensamente attiva infatti comporta un mescolarsi con le vicende umane, un camminare sulla terra polverosa della gestione quotidiana, spesso dura e pesante, uno stare in mezzo a ragazzi non sempre docili o educati, il contatto con persone che risentono degli ambienti rozzi e persino volgari da cui provengono.

E ciò può sembrarci poco raffinato dal punto di vista spirituale, perché camminando nelle strade del mondo possiamo “sporcarci i piedi”.

Ma lo “sporcarsi i piedi” nella conduzione laboriosa delle nostre attività, per vivere in mezzo ai giovani e per i giovani, fa parte della nostra missione che quindi va assunta con dignità e serenità, accettandone tutta la pesantezza e i rischi, per amore e solo per amore.

La nostra missione è qualche cosa di più del dire cose belle: è anche il calare le cose belle nella pasta sorda e non facilmente permeabile della quotidianità.

Lo“sporcarsi i piedi” è anche la verifica di quello che siamo. E’ facile infatti illudersi di essere virtuosi, fino a quando non si è messi alla prova, fino a quando non si risponde all’invito del Signore che bussa alla porta del nostro cuore e dice: “scendi nella vita confusa e disorientata dei miei piccoli e parla loro di me, con le parole e con le opere”.

Occorre anche tenere sempre presente l’indicazione di S. Agostino, che richiama la necessità di risalire sovente le scale della chiesa, cioè della preghiera, “perché perso il gusto delle cose celesti, non corriamo il rischio di passare nel numero di coloro che apprezzano solo le cose terrestri”.

E ancora:“Quando ci viene a mancare la soavità della contemplazione, corriamo il pericolo di restare schiacciati sotto il peso del lavoro apostolico” (20.Pietas et labor).

sabato 2 giugno 2012

15 - PADRE GIOVANNI BATTISTA PIAMARTA - PRESTO SANTO!

Papa Benedetto XVI, oggi 18 Febbraio 2012, ha pubblicato la data della Canonizzazione del Beato Padre Giovanni Piamarta. La Canonizzazione avrà luogo a Roma nella Basilica Vaticana Domenica 21 Ottobre 2012. Ringraziamo il Signore per questo dono che ci fa e lo preghiamo perchè ci dia forza per imitarne gli esempi.

Per conoscere la vita e le opere di padre Piamarta clicca qui: http://danilop-passalaparola.blogspot.com/2009/01/beato-giovanni-battista-piamarta.html

14 - PADRE PIAMARTA EDUCATORE AL LAVORO E ATTRAVERSO IL LAVORO

Il grande vescovo di Cremona Geremia Bonomelli, amico ammiratore di Padre Giovanni Piamarta (1841-1913), così conclude una sua lettera: “Piamarta è il prete dei tempi moderni ! Quanti giovani ha ricondotto sulla retta via! Quante lacrime ha asciugate! Quanti genitori ha consolati, restituendo loro i figli riabilitati con il lavoro e con la pietà cristiana”.
Il Vescovo sottolinea. in Padre Piamarta, la forza riabilitante del lavoro, della sua potenzialità di ricostruzione della persona del giovane specie se associata alla pietà cristiana.
D’altro canto i suoi ragazzi, diventati padri di famiglia, confermavano le parole del vescovo Bonomelli, quando gli scrivevano “per esprimere il debito di incancellabile riconoscenza per i saldi principi, la saggia parola,il suo esempio, la vita esemplare, per i benefici ricevuti, per i mezzi d’imparare un mestiere”.
Piamarta non è un teorico dell’educazione, ma un educatore che riflette sulla sua peculiare missione di dare dignità attraverso il lavoro a giovani che partivano sfavoriti nella vita.
Ma dalla sua prassi e dai suoi scritti sparsi, si possono tracciare almeno tre indicazioni:
-la prima è un’educazione che parte dal lavoro
-la seconda è l’educazione che conduce alla valorizzazione del lavoro
-la terza è sui ruoli educativi
-Si possono segnalare le sue "fonti segrete"
Lo possiamo fare riportando tre pagine del suo “diario ideale”, di recente pubblicazione:
1.Un itinerario ideale di educazione a partire dal lavoro.
1. I miei ragazzi la prima cosa che capivano era il lavoro. Non che fossero tutti fanatici del lavoro, ma è certo che il lavoro ben fatto li gratificava e soprattutto comprendevano che avrebbe permesso loro di farsi una posizione dignitosa nella vita
Occorreva certo avviarli al lavoro per i quali erano tagliati, perché buona parte della buona riuscita nella vita è fare il lavoro che piace, o, forse meglio, quel lavoro che è più conforme ai talenti ricevuti.
2. Dal lavoro viene lo studio: anche se qui agli Artigianelli i libri all’inizio non erano molto popolari, tuttavia non è stata un’impresa ardua far comprendere come lo sviluppo tecnico presupponga non solo abilità manuale ma anche un bagaglio sempre più corposo di nozioni teoriche.
3. La fatica e la perseveranza necessaria per ottenere dei buoni risultati, aiutava a mettere in evidenza la necessità di formarsi un carattere forte, che non si lascia demoralizzare dalle piccoli e grandi difficoltà, ma che permette di diventare grandi nelle difficoltà.
Quanti ragazzi hanno raggiunto alti traguardi, pur partendo da condizioni sfavorevoli, per il fatto di non lasciarsi piegare dalle condizioni avverse. Un carattere tenace, non lamentoso, che non scarica sempre le colpe sugli altri, che non si lascia abbattere facilmente, che cerca sempre soluzioni alternative, è garanzia di buona riuscita nella vita.
4. Il passo che viene logico è la necessità di formarsi una coscienza che dice che non tutto quello che si desidera è buono, che non tutto quello che è possibile fare, può o deve essere fatto. E’ la formazione all’onestà, a non approfittare della posizione di vantaggio per rovinare l’altro, al tener presenti i bisogni e le difficoltà altrui. Se uno ha più doti di un altro per questo non deve sentirsi superiore e umiliare o affamare l’altro.
In un mondo di furbi, l’onestà è assai probabilmente la furbizia più lungimirante.
5. Alla base di tutto ci sta poi la formazione religiosa che illumina e affina la coscienza, la quale, sapendo di dover rendere conto a Dio, agisce guidata da criteri di umanità e di carità, che vanno ben oltre quelli della nuda giustizia. E tendono a promuovere la fraternità che è ciò che rende vivibile e amabile l’umana avventura.
Mi piaceva ripetere: “Chi si inginocchia davanti a Dio, può camminare a testa alta in mezzo agli uomini. Il santo timor di Dio, fa perdere la paura degli uomini”.
6. E infine, ho sempre combattuto la mediocrità, assunta come progetto di vita, per convincere che il progetto di Dio su di noi è la santità, la quale passa anche attraverso il desiderio di fare bene ogni cosa, il che rende contenti, fa contenti gli altri, ed è anche rasserenante perché non ci si sente soli nella vita.
Il regalo dei miei carissimi ex alunni è proprio quello di confermarmi che li ho aiutati a vivere da uomini e, molti, anche da buoni cristiani.
Penso che sia proprio lo Spirito Santo che ha operato nella mia missione, perché tutto questo ho dovuto inventarlo, cammin facendo, senza alcuna preparazione specifica se non quella del Vangelo.
Ma non è il Vangelo la più possente forza propulsiva della costruzione di un’umanità più umana?”

2. Educare al lavoro
“Ogni giorno, quando passo a visitare le officine dei tipografi, fabbri, falegnami, sarti, panettieri, calzolai ecc., il mio cuore si riempie di gioia nel vedere tanti ragazzi che si preparano alla vita
Il pensiero che molti di essi sono stati tirati fuori dalla strada e da ambienti malsani corporalmente e spiritualmente, mi ripaga assai dei notevoli sacrifici che dobbiamo affrontare per loro.
Il quotidiano contatto con la loro fatica nell’ apprendere bene un mestiere, mi obbliga a spiegare il significato del lavoro, che sarà parte essenziale della loro esistenza.
Oggi ci sono concezioni parziali del lavoro, che non soddisfano, perché non rispondono alla realtà.
Ci sono coloro che lo esaltano, al punto di dimenticare la fatica e le delusioni che spesso lo accompagnano. A quelli che dicono: “Il lavoro nobilita l’uomo” i miei ragazzi più birbanti rispondono, ridacchiando:”Ma lo rende simile alla bestia”.
D’altro lato ci sono coloro che mettono in risalto solo gli aspetti negativi, citando magari il detto .biblico:”Guadagnerai il pane col sudore della tua fronte”. Il che è vero, ma non è tutto.
Il lavoro è anche miglioramento della persona, è occasione di scoprire e di applicare le proprie capacità, è fonte di soddisfazione quando è ben fatto.
Attraverso il lavoro ci si realizza, specie quando il lavoro corrisponde alle proprie attitudini.
Oltre alla realizzazione personale, mi piace presentare il lavoro come contributo al miglioramento della società. Il grande progresso al quale stiamo assistendo è frutto del lavoro sempre più perfezionato. L’intelligenza applicata al lavoro ha creato macchine che lo rendono meno faticoso...
Ma non sempre le cose sono così scorrevoli. Il lavoro va apprezzato, ma quando non da nessuna soddisfazione? Quando non è riconosciuto? Quando non piace?
E i contrasti sul lavoro? Le ingiustizie? Le lotte? Gli odi? Le gelosie? Le rivalità? A Nazareth
Quando penso a queste cose il mio cuore corre a Nazareth,perché a Nazareth si trova il vero senso del lavoro. A Nazareth si lavora, si vive sotto lo sguardo di Dio e ci si vuol bene.
A Nazareth si lavora: Giuseppe insegna un lavoro al Creatore di tutte le cose.
Posso dire con orgoglio ai miei ragazzi che Gesù riceve una formazione ‘artigianale”, é un “artigianello”, è un tecnico che nella bottega di Giuseppe ha vissuto la maggior parte della vita sotto lo sguardo di Dio, crescendo in età, sapienza e grazia, imparando un mestiere e guadagnandosi il pane col sudore della fronte.
“Con ciò le varie condizioni di vita, i vari uffici, tutti i mestieri, sono nobilitati, ingentiliti e consacrati, dall’averne partecipato l’uomo-Dio, il quale, avendo scelto il più umile, con questo suo fatto relativizzò le invidiate grandezze del mondo e conferì invece valore alle cose poco apprezzate”.
Il Figlio di Dio è cresciuto come uomo lavorando, per mostrare come l’uomo che lavora può
crescere nella statura di Figlio di Dio. Il lavoro, che fa parte della vita umana, lo innalza ad altezze vertiginose quando è unito alla volontà del Signore, perché,come dice S. Agostino, permette al “divino Architetto di costruire una casa eterna, attraverso impalcature provvisorie”.
A Nazareth inoltre ci si vuol bene, si collabora, ci si aiuta, si è solidali.
Anche questo è espressione della volontà di Dio, il quale vuole che si cresca nell’amore reciproco.
Lavorando dunque con competenza e onestà, nell’ accettazione delle difficoltà, in solidarietà con chi fatica con noi, vestiamo la nobile livrea dei figli di Dio che collaborano con il Padre onnipotente creatore del cielo e della terra, il quale vuole costruir una dimora eterna per noi attraverso il nostro lavoro di costruttori di impalcature che passano.

3. La divisione dei compiti educativi
“Non mi sono mai piaciute le dispute, nelle quali si compiace il nostro secolo, e dove chi lavora di meno sembra aver più tempo per pensare a come imporsi di più.
Le ho evitate il più possibile, anche perché c’è sempre il pericolo di far prevalere l’amor proprio sull’amore alla verità, oltre al pericolo di mancare alla carità.
Ma qualche volta l’amore per la verità e la difesa dei miei confratelli mi ha spinto a prendere in mano la penna e mettere le cose in chiaro.
Devo avere già accennato alle difficoltà con il dottissimo sacerdote don Baizini, inviato alla Colonia di Remedello per aiutare Padre Bonsignori nella formazione spirituale degli alunni.
Io non ho neppure un decimo della sua scienza, ma non potevo accettare le sue osservazioni dettate probabilmente da una visione troppo teorica della realtà di oggi.
La cultura è obbligata a misurarsi con la dura realtà quotidiana, dove le “belle” idee valgono nella misura in cui servono a interpretare o a cambiare la realtà.
Una svalutazione delle realtà umane.
Il dotto sacerdote rimproverava l periodico La Famiglia agricola di non educare il popolo perché gli articoli del Bonsignori e del Longinotti, pur eccellenti dal punto di vista tecnico scientifico, non contenevano nemmeno “mezza frase di spirituale” e che gli articoli volti all’educazione morale dei contadini, ad allontanarli dall’abuso del vino, dal cattivo uso del denaro e così via, non sembravano ispirati alla morale cristiana, quanto piuttosto ad una morale naturale e laica.
Lo stesso mi scriveva: “Ci vuole molta dose di asineria giornalistica e grande ignoranza del cuore umano, per non capire che ci vuole ben altro per allontanare i contadini dall’uso del vino, dallo sprecare il denaro, dal rubare”.
Questo mi è sembrato un attacco all’impegno di dare risalto alle cause seconde, senza oscurare la Causa Prima, per unire tecnica e religione, aggiornamento scientifico e maturazione spirituale, stima delle realtà naturali e affermazione delle realtà soprannaturali.
In nome del soprannaturale svalutava il naturale: un errore di prospettiva opposto ma analoga, a quella di coloro che in nome del naturale svilivano il soprannaturale.
I campi sono distinti anche se convergenti. A ciascuno il suo: ai tecnici spetta di illuminare sulle competenze professionali, mentre ai formatori religiosi spetta l’illustrazione delle realtà eterne.
“La missione, concludevo la mia lettera insolitamente lunga. è duplice, di ordine diverso, ma mira ad un identico scopo finale”.
Dobbiamo aver fiducia nella ragione e nella volontà umana rafforzate dalla grazia, per rispettare la creazione che non viene cancellata , ma elevata, dal Dio redentore.
Se i due piani vanno distinti, non vanno opposti, per non dividere fede e ragione, come vorrebbero coloro che in nome della ragione vogliono cancellare la fede.
L’educazione è fatta anche di equilibrio, di buon senso, di gradualità, di fiducia nelle potenzialità del giovane quando è sorretto dalla grazia del Signore, di paziente attesa.
E’ una vera arte, dove il meglio astratto è nemico del bene concreto-Illumina Signore me e i miei collaboratori nell’educazione.“

4. Le fonti
Le fonti alle quali P.Piamarta ha attinto non sono le teorie pedagogiche, ma quelle più modeste e forse più impegnative dei santi. Da buon bresciano era più colpito dall’esemplarità che dalle teorizzazioni.
In questo settore si possono ricordare tre Maestri-esemplari, come punti di riferimento: Benedetto, Ignazio di Loyola, Filippo Neri
Perché il lavoro sia cristiano, occorre unire la “mistica del lavoro che trasforma la persona” (Benedetto) alla”mistica del lavoro che trasforma il mondo” (Ignazio), in un clima di serenità e di gioia (Filippo Neri).
a)Benedetto e la perfectio operantis
Il lavoro, nella tradizione benedettina, è visto come ascesi, come mezzo per salire a Dio.
Il lavoro deve essere “regolato”, dal capriccio disordinato ad una ratio ordinata, alla collaborazione, in obbedienza.
Infatti a Dio si va con i passi della ferialità, della quotidianità orientata a Dio.
Benedetto si concentra sulla causa prima di fronte alla quale si vive l’esistenza quotidiana,fortiter, fideliter, feliciter.
“Voi siete i benedettini dell’era moderna” dichiarava ammirato l’abate Caronti, nella visita apostolica in vista dell’ approvazione della Congregazione S.Famiglia di Nazareth, voluta anni prima da P.Piamarta.
Del resto l’Istituto Artigianelli sorgeva su un terreno che, per più di mille anni, era parte della celebre abbazia benedettina di Santa Giulia, un luogo dove il binomio, ora et labora, pietas et labor hanno costituito un programma formidabile per la ricostruzione della civiltà occidentale.

b) Ignazio di Loyola: nella cultura umanistica rinascimentale cresce l’attenzione per la cause seconde, che dà importanza all’ oggettività del lavoro ben fatto, espressione della capacità dell’uomo, della sua virtus.
Da qui la valorizzazione della professionalità e della competenza. Si parla di perfectio operis. Importante per il miglioramento e l’umanizzazione del creato, che va continuamente “ordinato” dall’impegno dell’uomo.

c)Filippo Neri sottolinea il lato gioioso della vita cristiana, al quale dà grande contributo la festa e l’allegria quotidiana.
In P. Piamarta ’impegno per organizzare le grandi feste era pari all’impegno dell’organizzazione del lavoro. Soleva ripetere che “di festa in festa, si va in Paradiso”: la festa fa parte della pietas, dell’orientamento, del senso della vita, che è destinata a sfociare nella grande festa eterna.
Nella festa si interpreta il lavoro quotidiano, si dà un’anticipazione di quello che ci attende.
Alla base c’è la visione benedettina: lo splendore della liturgia parla del risultato ultimo del lavoro: si vive per fare festa più di quanto non si faccia festa per lavorare.
Ripresa e reinterpretata dai gesuiti, con la festa barocca: la festa in chiesa non deve essere da meno della profana. Anzi la festa deve cominciare in chiesa, una festa allegra, paradisiaca, barocca.
S. Filippo Neri vuole trasformare la vita quotidiana in una festa, con la scoperta della bellezza della vita cristiana, fonte di allegria.
Per questo occorre diffondere l’allegria attraverso il gioco, la musica, il teatro, la gioia della buona coscienza e dell’essere amici del Signore.
Coll’ occupare il tempo libero facendone il “tempo dell’allegria”, col nobilitare il quotidiano con il lavoro ben fatto, con la festa solennizzata che proietta e anticipa il futuro positivo.

Conclusione
P. Piamarta educa attraverso il lavoro e al lavoro, ma immettendo il lavoro nel complesso della realizzazione dell’uomo nel suo cammino verso Dio.
Nessuna idolatria del lavoro, ma anche valorizzazione del lavoro, fonte di sostentamento, di realizzazione personale, di miglioramento del mondo, di santificazione.
Per questo si rifà ai grandi maestri della tradizione cristiana, che hanno preso sul serio l’importanza del lavoro, a partire dal Maestro, che prima imparò la dura lezione del lavoro a Nazareth, per poterla poi diffondere nel corso dei secoli.
E ne ha acquistato in semplicità e incisività.
padre Piergiordano Cabra

13 - PIETAS ET LABOR: IL MOTTO DI PADRE GIOVANNI PIAMARTA

12 - PADRE GIOVANNI PIAMARTA SANTO

1. Niente avviene per caso, Tanto meno nella vita dei santi.
A Brescia, nella seconda metà dell’Ottocento, in piena rivoluzione industriale, ci sarebbe stato bisogno di un intervento speciale tra i giovani ed ecco che il 26 novembre 1841, nasce Giovanni Battista Piamarta, battezzato il giorno dopo nella parrocchiale di San Faustino. Dovendo comprendere i ragazzi poveri, nasce povero, a nove anni resta orfano di Madre, conoscendo le insidie della strada e il provvidenziale aiuto dell’Oratorio. Vivace, intraprendente, esercita un forte fascino sui compagni. Con uno di essi tenta la fuga sulla Maddalena, per imitare gli eremiti. L’avventura su conclude al calar del sole, con un precipitoso rientro.

2. Destinato a fare il materassaio, viene ‘scoperto’ da don Pezzana, parroco di Vallio, che lo introduce negli studi ecclesiastici e lo vorrà accanto a sé nei primi anni di sacerdozio a Carzago Riviera, a Bedizzole e poi a Sant’Alessandro, in città. Qui si fa notare per la carità verso i poveri e gli ammalati, ma soprattutto per il carisma nei confronti dei giovani, dei quali vedeva le aspirazioni e la povertà, le capacità e le difficoltà di inserimento nel mondo produttivo, i vuoti affettivi e i pericoli ai quali erano esposti. Qui sentì la vocazione di fare qualche cosa, per dare loro un futuro, coll’inserirli nel mondo del lavoro e nella società, preparati professionalmente e formati cristianamente.

3. Comincia allora a salire a San Cristo, dove l’amico monsignor Capretti viveva con i“chierici poveri” alla formazione dei quali si era dedicato, investendo tempo, salute e risorse familiari. Qui salivano anche il futuro vescovo di Cremona, monsignor Bonomelli, il futuro beato Tovini, il futuro padre di Paolo VI, Giorgio Montini, per confrontarsi proprio con “don Pietro” Capretti, l’ispiratore del vigoroso movimento cattolico bresciano, che intendeva ridare Dio alla società e la società a Dio.
Con Lui don Piamarta comincia a delineare un progetto concreto per il suo sogno .

4. Improvvisamente il Vescovo lo invia parroco a Pavone Mella. Tutto sembra tramontare. Ma obbedisce, sapendo che se il suo piano viene da Dio, sarà realizzato comunque. Infatti, dopo una serie di peripezie,nelle quali si affida nelle mani del Signore attraverso l’obbedienza, riesce a dare origine all’Istituto Artigianelli (1886), dove, tra la sorpresa generale, costruisce in breve tempo una vera cittadella del lavoro, dalla quale usciranno centinaia di giovani, che si faranno onore nella vita.

5. Nel 1895 dà origine con P. Bonsignori, considerato l’apostolo della nuova agricoltura, alla Colonia agricola di Remedello, una scuola pratica, presto riconosciuta e apprezzata in Italia e all’estero. Il Bonsignori, che sarà il primo sacerdote ad essere nominato cavaliere del lavoro, si era dato agli studi di agricoltura per migliorare le condizioni di estrema povertà della campagne, attraverso l’aumento della fertilità del terreno e la cooperazione.
 
6. Nel 1900 inizia anche la Congregazione S.Famiglia di Nazareth, che, sin dal titolo, dice la sua preoccupazione di preparare i giovani alla famiglia, attraverso il lavoro, la formazione del cuore, e in un clima educativo familiare. Assieme a Madre Elisa Baldo inizierà anche la Congregazione delle Umili Serve del Signore. Muore a Remedello il 25 aprile 1913.

7. ”La carità, la virtù più vicina all’essenza di Dio e alla miseria dell’uomo, fu il tema dominante di questa vita di santo, che è tutta un meraviglioso canto d’amore”: così lo ricorderà Monsignor Melchiorri, Vescovo di Tortona.
“Quanti giovani ha ricondotto sulla retta via. Quanti genitori ha consolati, restituendo loro i figli riabilitati con il lavoro e la pietà cristiana”. Cosi il Vescovo di Cremona Geremia Bonomelli. Un apostolo della carità e della gioventù. Non per nulla chi lo conosceva bene vedeva in lui la compresenza di San Vincenzo de’ Paoli e di San Filippo Neri.
 
8. Una vita intensissima, operosa,presente in molti campi, compreso quello della cultura, attraverso la sua tipografia editrice Queriniana, l’impegno nel sociale, la calda predicazione, l’assiduità al confessionale. Per i giovani pubblicherà innumerevoli edizioni de Il giovane studente dell’amico Geremia Bonomelli. E poi varie collane di testi teatrali, di buoni romanzi, di letture per il popolo e per biblioteche popolari. Tiene una fitta corrispondenza, raccolta in un volume di poco meno di mille dense pagine, dove si alternano problemi educativi e questioni economiche, lettere con missionari e con ex alunni, direzione spirituale e consigli di grande saggezza.
Pubblica il periodico “La famiglia agricola”, assai apprezzata dai parroci del tempo, dove P. Bonsignori sensibilizza alla missione storica di promozione umana da parte del prete nelle campagne.
Per i suoi ragazzi fu un condottiero dal cuore di mamma: li dirigeva verso la vita educandoli al lavoro e attraverso il lavoro,con il senso del dovere e con lo stile ilare e persino scanzonato di San Filippo Neri, modello di un’educazione attenta a rendere simpatica la vita cristiana, permettendo al giovane d’essere giovane.

9. Sempre in mezzo a grandi difficoltà: “Nel senso puramente umano,l’opera non mi fruttò che dolori, triboli e spine senza numero, pene incredibili, disinganni di ogni genere”. Ma proprio in mezzo a queste difficoltà la Provvidenza l’ha sempre guidato ed aiutato ed egli può riconoscere che l’opera non è stata voluta da lui, ma da Colui che “provvede ai più piccoli dei suoi figli”, il quale ha scelto lui, povero prete, “una macchia d’inchiostro nel libro d’oro della carità”, per dimostrare che siamo piccoli servi nelle mani dell’Altissimo.

Scriverà verso la fine della sua vita: “Ho cominciato quest’opera e i contrasti e i dolori,le disillusioni e le indifferenze e gli abbandoni anche per parte di persone su cui si era fondato tutto l’appoggio morale e materiale, furono il mio pane quotidiano e continuano più che mai ad esserlo tuttora”.

“I dolori e le traversie d’ogni fatto, sono un pane avanzato dalla tavola di Gesù Cristo. Ed io in questi giorni, sto mangiandone la parte più dura”.

“Ma le opere di Dio non prosperano che all’ombra della croce ed anche a volere che esse diano frutti copiosi, conviene che noi le andiamo innaffiando dei nostri sudori, delle nostre lacrime e perfino del nostro sangue: basta guardare a Gesù” .

10. Ma il segreto della santità di Padre Piamarta sta nella sua vita nascosta con Dio in Cristo.  Il marchio della sua santità sta nelle lunghe ore di preghiera, per lo più antelucane. Confessava candidamente che quando era sopraffatto dal lavoro, aumentava il tempo dato alla preghiera. Con Santa Teresa d’Avila, valutava l’orazione come “un ritirarsi nel ‘castello interiore’, assieme al ‘Re sconfitto’per attingere alla potenza di Dio e così riprendere coraggio e vigore per resistere e ripartire con Lui alla riconquista del mondo”. Ecco che cosa faceva Padre Piamarta, alzandosi al canto del gallo: ritirarsi nel castello interiore, davanti al Santissimo e alla grotta della Madonna di Lourdes, per attingere alla potenza di Dio!E ripartire alla conquista del cuore della gente, specie dei suoi ragazzi, per ricondurli alle sorgenti della vita, con sempre nuove strategie e sempre rinnovate energie.

11. Padre Piamarta è un bresciano che ha svolto tutta la sua attività in Diocesi di Brescia, incarnando le qualità della nostra gente, intraprendente e creativa. E forte. Non aveva un carattere facile. Ma ha lottato tutta la vita per vincere la sua impulsività e diventando un cristiano che fa del bene, ma che è anche buono, un uomo forte, ma anche mite, creativo ma anche umile.

E’una gloria della nostra Chiesa, non solo per quello che ha fatto, ma anche perché attraverso la sua famiglia religiosa ha portato la sua carità operosa in altre parti del mondo: Brasile, Cile, Angola, Mozambico, soprattutto a favore della gioventù “povera e abbandonata”.La Chiesa, onorandolo dopo cento anni della sua morte, riconosce anche la bontà della sua intuizione e l’attualità del suo carisma.
Brescia può andare fiera di lui, che povero ha portato aiuto ai poveri, non come un benefattore, ma come un fratello che si prende cura del fratello, con l’umiltà di chi sa che tutto è dono.

12. Possiamo pregare, con lui, per i nostri ragazzi e giovani: “Oggi, Signore, ti prego per i miei ragazzi. Io ho fatto per loro quel poco che potevo e Tu fa per loro tutto quello che credi necessario. Non abbandonarli a loro stessi o alle forze del male, talora tanto seducenti. Fa’ loro comprendere che quello che facciamo per loro è per prepararli alla vita. Rendili contenti quando fanno del bene, quando sono laboriosi e onesti, quando onorano il nome cristiano. Metti nel loro cuore una sana inquietudine quando fanno cose errate. E ridona loro la pace quando riconoscono d’aver sbagliato e riprendono il giusto cammino. Manda il tuo angelo perché il loro piedi non inciampi, ma prosegua sicuro sulla via che porta alla meta, dove Tu ci attendi.”

San Giovanni Piamarta prega per noi e per i nostri giovani!
Padre Piergiordano Cabra
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