LA PRESENZA DELLA CONGREGAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH NEL MONDO

giovedì 30 agosto 2012

57 - BIOGRAFIA DO BEM-AVENTURADO JOAO PIAMARTA

Pe. João Paimarta nasceu na cidade de Bréscia, norte da Itália, no dia 26 de novembro de 1841e foi batizado na igreja paroquial de sua cidade. Sua Família era muito pobre e aos nove anos de idade ficou órfão de mãe, por isso foi amparado e educado pelo avô materno. Tendo concluído a 5ª serie, foi encaminhado para trabalhar numa fabrica de colchões. Ficou doente por causa do trabalho, por isso o patrão lhe ofereceu a possibilidade de passar as férias na cidade de Vállio. Nesta cidade conheceu o Padre Pezzana, pároco da cidade, o qual descobriu e cultivou de sua semente de sua vocação sacerdotal.
Pe. Piamarta entrou no seminário e os anos se passaram vagarosos e cansativos. A sua saúde enfraqueceu em conseqüência das muitas horas que passava debruçado sobre os livros. Foi ordenado dia 23 de dezembro, de 1865, com 24 anos de idade. Desenvolveu sua atividade pastoral como vigário na cidade de Carzago Riviera, em Bedizzole, na paróquia de Santo Alexandre, em Bréscia, e enfim como responsável pela paróquia de Pavone Mella.
No dia 3 de dezembro de 1886, numa primeira sexta-feira do mês, dedicada ao Sagrado Coração de Jesus, com a Celebração da Santa Missa, ele iniciava sua atividade em favor dos jovens pobres. Em fevereiro de 1887, Padre Piamarta deixava definitivamente a Paróquia para se dedicar aos jovens do Instituto Artigianelli.
Pe. Piamarta sentiu profundamente o problema dos jovens camponeses, por isso, no dia 11 de novembro de 1895, com a ajuda do Pe. Bonsignori fundou a Colônia Agrícola de Remedello.
Pe. Piamarta fundou também a Congregação Sagrada Família de Nazaré, no dia 25 de maio de 1902, para dar continuidade a sua obra em favor da juventude pobre. Juntamente com a Madre Elisa Baldo, fundou a Congregação das Irmãs Humildes Servas do Senhor, no dia 19 de março de 1911.
No dia 25 de abril de 1913, na Colônia Agrícola de Remedello, Pe. Piamarta encerra uma vida inteiramente dedicada ao serviço de Deus e dos irmãos.
No dia 22 de março de 1986, o Papa João Paulo II reconheceu as virtudes heróicas do Pe. Piamarta. Ele viveu as virtudes teologais: Fé, Esperança e Caridade, e as virtudes morais: Prudência, Justiça, Fortaleza e Temperança, em grau heróico.
No dia 12 de outubro de 1997, na Praça de São Pedro, em Roma, o Papa João Paulo II proclamou Bem-Aventurado o Padre Piamarta.
Com a sua Beatificação, o Papa João Paulo II o doa como pai aos Jovens, o indica como exemplo aos sacerdotes e religiosos, o propõe como modelo para os educadores, o apresenta como intercessor das famílias e o oferece como protetor dos trabalhadores.

56 - MONS. GEREMIA BONOMELLI



ATTACCHI INDEGNI E AGGIORNAMENTO

Brescia, maggio 1911

In questi giorni ho avuto un carteggio piuttosto vivace con il Vescovo di Cremona, monsignor Geremia Bonomelli, questo “illustre prelato bresciano, illuminato scrittore che sa presentare le verità del cristianesimo ai dotti e agli indotti del nostro tempo e che tuttavia viene tanto attaccato” dagli ultraconservatori che lo accusano ingiustamente di modernismo.

Gli avevo segnalato una favorevolissima recensione delle sue due ultime pubblicazioni da parte della Civiltà Cattolica che diceva: “L’Illustre Vescovo di Cremona, con quel dono tutto suo di sviscerare le questioni del giorno e di proporne con singolare splendore d evidenza, calore di facondia ed effusione di affetto, le soluzioni più sicure riducendole ai dettami delle dottrine cattoliche, discorre degli scioperi e della proprietà, da vero maestro, padre e pastore per guisa che la lettura sembra viva, sgorgargli dal cuore, e lascia nell’animo la persuasione e la soddisfazione della verità conosciuta…Le due opere se largamente diffuse in mezzo ai Padroni e agli Operai, basterebbero a far cessare le funeste lotte che li dividono, a spegnere gli odii, a comporre dissidi, a ristabilire la pace sociale con la fratellanza evangelica ”.

Monsignor Bonomelli mi risponde che è lieto della segnalazione, ma teme che le cose non stiano andando verso il meglio:”Se verrete a trovarmi mi farete un favore! E discorreremo di un mondo di cose. L’ora è grigia, i lampi guizzano; brontola il temporale e forse la gragnuola farà una non desiderata visita”.

Non so se avrò salute e tempo per fare una visita al caro Vescovo, che con si suoi scritti si rivolge a “anime inquiete, turbate, tormentate dai grandi problemi religiosi”, le avvicina alla fede, ne converte non poche, eppure, come mi scrive nell’ultima lettera, “riceve biasimi e forti anche da Vescovi e pubblici. Ah, caro Piamarta! Quanto male ha fatto e fa certo spirito acre, fiero!”.

Attacchi indegni

Quello che mi rattrista è che ora gli attacchi si dirigono anche contro quel sant’uomo che è l’arcivescovo di Milano, il cardinale Ferrari, accusato anch’esso di modernismo. Quanto siamo lontani dallo spirito del Vangelo con queste accuse, insinuazioni, sospetti, che vengono gettati contro i fratelli nella fede e contro i Pastori. E per di più questi attacchi vengono da persone che si vantano di avere appoggi in alto!

Dovrebbero venire qui in mezzo ai miei ragazzi questi sapienti che parlano di cose talmente alte, che perdono il contatto con la realtà. Se invece di dividere le forze, si unissero per servire i più poveri con la vera carità, sia intellettuale, sia operativa, come investirebbero al meglio il loro ingegno. Invece con la loro litigiosità seminano zizzania, con la loro aggressività vedono avversari là dove ci sono dei potenziali alleati per trovare soluzioni costruttive.

Monsignor Bonomelli è un nostro benefattore e collabora con la nostra Libreria editrice Queriniana, alla quale ha affidata la stampa e diffusione del suo magistrale libro Il giovane studente.
Riguardo alla mia richiesta di rifare una nuova edizione, aggiornata, di quest’ opera “di capitalissima importanza” per la gioventù, egli mi risponde: “Dovrei ringiovanirlo. Ma vi sono due difficoltà: la prima è gravissima, gli 80 anni con i loro regali soliti. La seconda affatto insuperabile. Se lo rifacessi come vorrei e dovrei, sarei un modernista e apriti o cielo! A questi lumi di luna mi tirerei addosso un uragano e qualche cosa di peggio.

Le idee camminano, corrono, galoppano, precipitano e cosa sarà tra cinquant’anni? Noi due non ci saremo e basta… E quando farete una corsa a Cremona? C’è un mondo di cose da dire. Scrivetemi e ditemi quando”. La lettera termina con una richiesta di aiuto:”Una povera cieca mi scrive l’unita lettera. A Brescia potreste voi trovare un buco? Povera cieca ! Lo merita” La maggior parte delle lettere si chiudono chiedendo aiuto. Solo la Provvidenza sa come è possibile venire incontro a tante necessità. Ma “la c’è la Provvidenza”!

55 - UN AMORE SENZA CONFINI



Chiave di lettura dell'opera

Il fuoco, generato dall'amore verso la gioventù bramosa di tutto, istruita nell'arte del lavoro, con il supporto della preghiera; Il sole che illumina la "Famiglia sacra e fortificata" come tronchi vivi di quercia; Mano tesa ai più poveri di un  mondo povero, liberato dalla schiavitù e alla ricerca di pace; Eterea visione del "Padre" nella gloria della beatitudine celeste, fulcro dei valori della Sua missione; I confini del campo circolare, terrestre, sono superati dall'amore, dalla carità, dalla luce, e proiettati nell'immensità dell'universo.

Autore dell'opera: Mario Tambalotti


A BOUNDLESS LOVE

Key to understand the work

The heat, generated by the love of the eager youth, educated in the art of working, with the support of prayer; the sun that lights the "sacred and fortified family" like living trunks of oak; outstretched hand to the poorest of a poor world, freed from slavery and looking for peace; Ethereal vision of the  "Father" in the glory of the heavenly bliss, core of the values of His mission; the boundaries of the circular field, on earth, are overcome by love, charity and light, and projected into the immensity of the universe.

Author: Mario Tambalotti

54 - LA MISERICORDIA DI DIO

Da "i pensieri di padre Piamarta"

Un fanciullo, quando è spaventato che cosa fa? Corre a nascondersi nel seno della madre. Facciamo così anche noi: spaventati dalle considerazioni dei castighi preparati per quelli che non vogliono accettare Dio, corriamo incontro a Dio Padre.
E proprio questo il fine di questa meditazione: che nasca in noi una grande speranza nella Divina Misericordia. <<Meritum meum misericordia tua est!>>: Il mio merito e il mio premio sta nella tua misericordia.

Il padre del figlio prodigo gli corre incontro, lo bacia, lo inonda di gioia, lo ammette al banchetto eucaristico dandosi tutto a lui come cibo, e vuole che si faccia festa non solo qui in terra, ma anche tra gli Angeli del cielo.

53 - DAL TESTAMENTO DI PADRE PIAMARTA


L'ultima pagina del testamento di padre Piamarta
scritto il 1 gennaio 1909


Dal testamento di Padre Giovanni Battista Piamarta

(Ufficio delle letture)

Confidare in tutto e per tutto in Dio



Il resto (delle mie sostanze), per una gran parte, era libero di disporlo in beneficenza, come meglio mi sarebbe tornato, senza riguardo all'Istituto; ma mi sarei recato a coscienza l'usare di questa libertà spiegatamente concessami a detrimento dell'Istituto a cui volli venisse tutto consegnato, ma mi sarebbe tormento intollerabile anche dopo morte se vedessi che queste provvidenziali sostanze ch'io dispongo ad incremento perfetto di questa santa opera, venissero leggermente e malamente amministrate. Per questo supplico i miei eredi ad usare tutto l’impegno perché l’amministrazione venga accuratissimamente proseguita e sempre onde si possa fare il bene ai poveri ragazzi specie di vedove madri, nella maggior possibile estensione; potendo io spendere a mio piacimento, mi sono ben guardato dall'abusare di un sol quattrino che non fosse ad incremento dell'opera che si ha tra le mani; con tale avvedimento e cura si potrà contare sicuramente sull’indeficente soccorso e concorso della Divina Provvidenza che mi si è sempre mostrata sì profondamente munifica in tutti i bisogni del1'Istituto. Raccomando di non far troppo assegnamento sull'industria umana; guai se fino adesso si fosse collocata la fiducia nei calcoli umani, l'Istituto sarebbe ormai morto. Ora le istituzioni come gli individui crescono e si mantengono con quei principi onde furono nati. Essendo quindi la nostra istituzione sorta mediante una specialissima, per non dire totale opera della Provvidenza Divina, dessa va rigorosamente mantenuta e conservata sempre col pieno intervento suo. Si tenga sempre presente la massima di S. Ignazio: noi dobbiamo governarci in ogni cosa e contingenza, con accorto e prudente discernimento come se tutto dipendesse dalla esclusiva nostra industria ed accorgimento, e poi dopo dobbiamo in tutto e per tutto confidare in Dio, come se nulla noi avessimo fatto. La gratitudine deve essere la massima virtù dell'Istituto. Nella speranza vivissima di vedere in seno a Gesù benedetto in Cielo la continua progressiva prosperità dell’Istituto, mi separo da tutti con la persona, mantenendomi però sempre unitissimo col cuore, consolatissimo di vedere l’opera lasciata nelle mani dei Confratelli tutti così forniti di eccellente spirito Sacerdotale, di distinta bravura e tutti interamente compenetrati ad ottenere il massimo incremento all'opera. Ringrazio tutti, col cuore sulla penna, del compatimento, onde mi furono sconfinatamente larghi, ai miei innumerevoli difetti più o meno gravi commessi continuamente contro di loro. Il Signore li ricambi da pari suo di una tanta e squisita carità.

sabato 25 agosto 2012

52 - VERSO GLI ALTARI



Chiave di lettura dell'opera

Padre Giovanni Piamarta viene elevato alla gloria degli altari. In questo giorno tanto atteso, i suoi figli spirituali, suoi eredi, esprimono la loro felicità e gratitudine.
Tutti intorno a lui, centro di incoraggiamento.

Autore dell'opera: Dolores Arconada


TOWARDS THE ALTARS

Key to understand the work

Father Giovanni Piamarta is raised to the glory of the altars. In this long-awaiting day,
his spiritual children, his heirs, express their happiness and gratitude.
All around him, the center of encouragement.

Author: Dolores Arconada

51 - UN SANTO CHE ONORA BRESCIA

La notizia che il prossimo anno Padre Giovanni Piamarta sarà proclamato santo non può che rallegrare Brescia, città e provincia, perché è un santo che esprime le migliori qualità della nostra gente. Chi l’aveva ben conosciuto, come il suo primo collaboratore, poi vescovo ausiliare di Brescia, Mons.Emilio Bongiorni, aveva detto di lui:” Non ricordo d’aver conosciuto un temperamento più bresciano del suo”, per la sua creatività, il suo coraggio e la fortezza nel portare avanti le sue imprese”. Piamarta è nato a Brescia, è cresciuto a Brescia, è vissuto e operato a Brescia, ha inciso notevolmente nel tessuto della città e provincia, sentendosi sempre appartenente alla società e alla Chiesa bresciana.

Soprattutto ha amato la sua città, lavorando intensamente per renderla migliore, con attenzione speciale alla promozione “materiale e morale” della gioventù più bisognosa.

Un amore il suo operoso, attivo, disposto a pagare in prima persona, tenace e lungimirante: doti che erano riconosciute alla nostra gente.

Ha preferito i fatti alle parole. Ha compiuto sobrie ed esatte diagnosi sulla situazione della società, dedicando la maggior parte suo tempo a trovare soluzioni. Avendo compreso che il punto debole della società del suo tempo stava diventando la famiglia, prima di piangere sulla tristezza dei tempi, ha pensato che per farsi una famiglia occorreva avere dei mezzi per formarla, che ai giovani senza mezzi occorreva insegnare un lavoro qualificato, che senza la formazione di un carattere forte non si potevano affrontare le difficoltà della vita, che senza il senso di responsabilità delle proprie azioni non è facile costruire qualche cosa di significativo. E infine che la formazione religiosa della coscienza poteva garantire serietà e stabilità, oltre che dare il senso della meta e della direzione per raggiungerla.

E si è letteralmente buttato in questa impresa,con un coraggio impressionante, che derivava non solo dal suo temperamento “tutto fuoco, tutto entusiasmo”, ma soprattutto dalla sua fede incrollabile che quella era la sua missione che Dio gli aveva affidato, per la quale valeva la pena di spendersi fino all’ultimo, perché “quello che avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me”.

In Padre Piamarta si constata l’alleanza tra santità personale e miglioramento sociale, una santità che si esprime nella mano che soccorre prima di dire la parola che aiuta, dal momento che non vuole essere giudicato come il servo del Vangelo che va a seppellire, per pigrizia o per ignavia, il talento ricevuto.

In Padre Piamarta è tutta la Chiesa bresciana che si rallegra per avere formato una persona che ha mostrato ad altri contesti anche lontani , attraverso i suoi continuatori che hanno “esportato” il suo spirito, le qualità di una fede che non solo insegna il Vangelo, ma lo mostra operativo e benefico nella società, attraverso l‘individuazione delle piaghe da curare e della dignità da promuovere.

A cento anni della sua morte, questo riconoscimento onora Brescia e quella parte ancora cospicua della sua gente, che applaude a chi non pensa di essere solo al mondo, ma si sente responsabile, in qualche misura, anche del suo prossimo.
padre Pier Giordano Cabra

50 - MADRE ELISA BALDO


                                                    IL FUOCO CHE COSTRUISCE

Conosco un’anima che è stata posseduta da un fuoco che purifica, trasforma e costruisce.
Rimasta vedova giovane si è attenuta a questo programma: “Per riuscire nella santa impresa attingerà alla verace fonte che è il divin Cuore. Le parole senza questo fuoco divino non dicono nulla, nulla possono, a nulla mai riescono. Sono bronzo che squilla, dice S. Paolo. Dica tutti i giorni a Gesù Cristo, specie dopo la SS. Comunione: “Giacchè voi siete venuto sulla terra a portare il fuoco della vostra carità, rivestite di esso questo povero mio cuore, rendetelo strumento acconcio all’opera santa che mi avete confidato nelle mani. Fate di me, come faceste con una Santa Caterina da Siena,come una S. Teresa, come s. Angela ecc, che operarono portenti di zelo nella nostra Chiesa, appunto perché voi le avete rivestite del vostro divin fuoco”

A Gavardo ha dato inizio a Casa San Giuseppe, un’opera di assistenza per malate e orfane, “tra le tribolazioni del mondo e la consolazione di Dio”, percorrendo un cammino spirituale in salita, ma rafforzata dalle parole di S. Vincenzo de’ Paoli: “una Congregazione, istituzione o persona che non patisce e a cui tutto il mondo applaudisce, è vicina alla caduta” .
Questa persona è la Signora Elisa Baldo, dotata di grande cuore, di grandi virtù, di grande abilità educativa e di grandi capacità organizzative.
Il Signore l’ha posta sulla mia via perché potesse conoscere la sua vocazione e potesse nascere una nuova istituzione di vita consacrata al servizio delle figlie e dei figli di Dio.

Il 15 marzo 1911

Ricordo bene quel giorno. Erano radunate sul Ronco, nella casa in alto dell’orto dell’Istituto Artigianelli, cinque cooperatrici dell’Istituto e quattro provenienti da Casa San Giuseppe di Gavardo.
Provenivano da due esperienze diverse: le prime erano ausiliarie in cucina e guardaroba agli Artigianelli ed erano guidate idealmente da mamma Filippa Freggia.
Le seconde avevano collaborato con la Signora Elisa Baldo nell’educazione delle giovani e nel servizio agli ammalati.Si erano recate giorni prima in pellegrinaggio alla Madonna di Paitone, e poi avevano fatto col Padre Galenti tre giorni di Santi Esercizi.

All’alba del 15 marzo, mentre fuori cadevano candidi fiocchi di neve, davanti all’altare della Madonna di Lourdes, nella Chiesa dell’Istituto, a porte chiuse, senza esteriorità, con la presenza dei soli Padri dell’Istituto, dopo la Santa Messa, ho ricevuto la loro oblazione e ho imposto a ciascuna il Crocifisso, facendo ripetere le parole di San Paolo, come compendio della vita religiosa::”Christo confixa sum Cruci- Mihi vivere Christus est”.

Il nucleo delle Umili Serve del Signore

Il fuoco dell’amore di Dio aveva dato origine a una nuova Istituzione di vita religiosa.
Il grande cuore, di quella che d’ora in poi sarà Madre Elisa Baldo era esultante, anche se conscia delle difficoltà ad amalgamare i due gruppi. Ma era confortata dal fatto che vedeva le sue figlie “tutte del Signore, pronte a servire il prossimo, contente che Iddio mantenesse il loro sacrificio noto a Lui solo, come era giusto, perché non lavoravano che per amore”.
Anch’io ero esultante, vedendo le meraviglie che il Signore aveva compiuto in quell’anima, bruciando in lei, con il fuoco dell’ amore, le vanità di questo mondo, temprandola con prove severe e facendola guida sicura sulla via della santità di un pugno di anime generose. Vedo che il Signore mantiene le nostre due Congregazioni nell’umiltà dei piccoli numeri, delle piccole realizzazioni, del servizio ai piccoli, della gratitudine degli umili. Ma questo ci permette di cantare con più verità il Magnificat, di esultare cioè nell’Onnipotente che fa grandi cose nei piccoli ed esalta gli umili. “Signore, mantienici sempre umili”!

49 - DIO (2)

Da "i pensieri di padre Piamarta"

Ma c'è un'altra parola nell'universo che ci parla di Dio? Qual è?
È la voce della storia di tutta l'umanità. Questa voce udita dai nostri padri la udiamo oggi, e la udranno, domani, per tutte le generazioni. Essa ci dice: «Sappi che Dio esiste!».


Quando una cosa è fuori dal suo centro, benché si trovi in un luogo delizioso starà in questo luogo costretta e scontenta. Quando, quindi, una parte del cuore dell'uomo è fuori dal suo posto, che è Dio, qualunque cosa egli faccia si sentirà infelice e scontento.


Il mio amore è diretto a Dio e a Gesù Cristo. A Dio e a Gesù che rimarranno per sempre e che non mutano mai.

48 - LA COLONIA AGRICOLA DI REMEDELLO (BRESCIA)



47 - PADRE GIOVANNI BONSIGNORI


Il Bonsignori era un parroco studioso, divenuto esperto agronomo perché mosso dalla preoccupazione di vincere l’estrema povertà della sua gente, prostrata dalle malattie per denutrizione, costretta ad emigrare per sfuggire alla fame. “Possibile – si interrogava l’intelligente pastore d’anime – possibile che la terra sia così matrigna da non sfamare i suoi figli?”.
Immersosi negli studi dei più accreditati agronomi e chimici d’Europa, trova un metodo per moltiplicare per quattro volte e persino sei volte la produzione dei cereali e ne diventa subito il diffusore, tanto da meritare il titolo di “apostolo della nuova agricoltura”. Le sue opere di divulgazione hanno notevole successo e vengono tradotte anche in altre lingue.

Un giorno don Giovanni Bonsignori si ferma a pranzo all’Istituto Artigianelli e, conversatore brillante, racconta le meraviglie della nuova agricoltura, incantando i presenti. Padre Piamarta, che da tempo era assillato dal problema dell’esodo dalla terra di tanti giovani, pensa subito “Ecco l’uomo che cercavo”. E gli propone di creare assieme una scuola dove queste idee possano essere diffuse. Tra gli applausi dei presenti il parroco agronomo accetta.

L’idea è geniale. Ma … i mezzi? Piamarta attende il via dalla Provvidenza, la quale gli fa arrivare un lascito di parecchi ettari di terreno. Nasce così la “Colonia Agricola” di Remedello, che inizierà la sua attività nel 1895, come scuola pratica di agricoltura, all’insegna del programma “dalla terra ai libri”. Scuola che in breve tempo sarà conosciuta in tutta Italia, Francia e Belgio, donde vengono a formarsi direttori di fondi come pure piccoli e medi agricoltori.

 Padre Piamarta realizza qui il suo sogno di “santità sociale”, di contribuire, cioè, a “migliorare la società” grazie al risanamento dell’artigiano, del contadino e della loro famiglia..
Qui anche il suo piano di formare uomini completi si chiarisce ulteriormente: Bonsignori curerà la scienza, Piamarta la coscienza. Il primo l’arte di coltivare la terra, il secondo l’arte di coltivare il
cuore. Il primo l’arte del produrre, il secondo l’arte del buon uso della produzione. L’uno formerà il tecnico ricercato, l’altro l’uomo stimato. Il primo l’imprenditore moderno, il secondo l’uomo eterno. L’uno insegnerà come riempire i granai della propria azienda, il secondo come accumulare per i granai della dimora definitiva.

Padre Piamarta lascia infatti a Padre Bonsignori la responsabilità tecnica della Colonia Agricola e resterà nell’ombra, garantendo il supporto finanziario ai suoi arditi esperimenti. Ma sarà sempre presente alla Colonia nei momenti formativi dei giovani, preoccupato di mantenere l’equilibrio tra cultura del campo e cultura dello spirito.La Colonia Agricola, che muterà il nome in “Istituto Bonsignori”, resterà per parecchi decenni un punto di riferimento esemplare per un gran numero di agricoltori, grazie anche ad eccellenti direttori, che hanno saputo aggiornare l’intuizione iniziale, promovendo affollati “Congressi agrari”, sostenendo la pubblicazione del periodico “La Famiglia agricola”, innovando nel settore zootecnico.

Ancora oggi si legge sull’edificio centrale la scritta dell’istituto: “Padre Piamarta per i figli dei campi”, un giusto riconoscimento dato all’autore della crescita umana e cristiana dei giovani agricoltori, per i quali egli ha creato quest’opera unica nel suo genere, assecondando la genialità del Bonsignori.

46 - DIO (1)

Da "i pensieri di padre Piamarta"

«Egli mi ha creato!».
Chi è il padrone di una macchina? Chi l'ha fatta. Dunque, anche Dio è l'assoluto padrone ed è il nostro Signore. Ha il diritto di fare di noi ciò che Lui vuole ed ha il diritto di essere obbedito. Non possiamo lamentarci di essere in uno stato o in un altro, in una situazione o in un' altra...


Dio è l'immenso. È sempre presente: ci vede e ci ascolta. Essendo così è un freno al nostro male ed è un conforto nel bene. È una grande consolazione potergli sempre parlare, di giorno e di notte. Se voglio un'udienza da un Re della terra devo attendere molto tempo, con Dio questo non avviene.


«Coeli enarrant gloriam Dei»: I cieli narrano la gloria di Dio.
C'è da ammirare l'infinita potenza di Dio, la bellezza del cielo stellato, gli astri, i loro movimenti, il sole, la luna, le stelle, il giorno, le eclissi. .. Ogni tanti anni appare una stella e poi scompare...
È Dio che dà la fecondità della terra, che fa crescere le biade e le piante. È Lui che manda la pioggia. È il Signore, è il Creatore! Ha fatto tutto senza fatica. «Dixit et facta sunt».

venerdì 24 agosto 2012

45 - MAESTRI DI OFFICINA

                       
               



Scorrendo lo Statuto della «Società della S. Famiglia di Nazareth›› del 1900, ci si imbatte nel capitolo IV dedicato ai “Maestri d'officina”.
Il maestro o capo-officina è il responsabile del laboratorio: tutto dipende dalla sua bravura, dalla sua capacità e intraprendenza. Alle dipendenze del maestro lavorano gli operai i quali, a loro volta, hanno lo scopo di assistere i ragazzi nell'apprendimento dell'arte.
P. Piamarta appare molto preoccupato di scegliere abili Maestri e provetti operai. Soprattutto si richiede nel Maestro e negli operai una vita esemplarmente cristiana.
Anche qui P. Piamarta è estremamente equilibrato e realista.
Ai Maestri richiede professionalità e buon esempio, ma non li trasforma in catechisti. Egli tiene ben distinti i due compiti. Basteranno due testi per illustrare il suo atteggiamento:

a) «I Maestri sono chiamati ad insegnare l'arte ai giovani, onde riescano valenti artisti e da tali abbiano poi a salvarsi l'anima.
Sarei io ragionevole se pretendessi che i capi-officina si facessero a parlare della salvezza dell'anima dei loro allievi?
Mi potrebbero rispondere: il nostro dovere è quello di insegnare bene la professione a cui si sono dedicati i giovani, a questo dobbiamo pensare, di questo trattare e consacrarvisi con tutta l'attività che c'è possibile. Il compito di parlare delle verità eterne spetta ai Rettori, Vice-Rettori e Padri Spirituali.
La missione è duplice, di ordine diverso, ma mira ad un identico scopo finale›› (Lettere, p. 127-128).

b) P. Piamarta scrivendo ad un suo ex-alunno, per convincerlo ad accettare l”incarico di Maestro di sartoria, delinea alcuni tratti della personalità di un Maestro: «Parecchi mi si sono già presentati per occupare tal posto, ma io vorrei volentieri dare a te la preferenza, sperando che ti sarai sempre conservato buono e conoscendo tu le esigenze dell'Istituto nostro anche dal lato morale, vorrai concorrere con l'opera tua all'incremento morale e materiale dei nostri giovani›› (Lettere, p. 55).

P. Piamarta pensa che il compito principale del Maestro sia quello di dare il doppio esempio di professionalità e di moralità.
Professionalità per insegnare un lavoro con competenza e incisività, rifuggendo da ogni superficialità.
Moralità che è prima di tutto testimonianza di dedizione al lavoro, di serietà, di laboriosità, di senso del dovere nell'impegno, nella puntualità, nel non perder tempo... Si è educatori per quello che si è. Anche nell'insegnamento di un lavoro si può e si deve essere “maestri di vita”.
È un programma sempre valido sia per i “Maestri”, sia per gli Insegnanti, sia per i Collaboratori impegnati nelle opere di P. Piamarta.

44 - LA TIPOGRAFIA DEGLI ARTIGIANELLI


A ridosso la chiesa di S. Giulia

43 - PADRE GIOVANNI BATTISTA PIAMARTA E LA NOBILTA’ DEL QUOTIDIANO

Quando Madre Elisa Baldo volle presentare in poche ma dense pagine la figura di Padre Piamarta, cominciò col dire che le sembrava di vedere in lui contemporaneamente San Filippo Neri e San Vincenzo de Paoli. Filippo è l’apostolo della gioventù, Vincenzo è l’amore fattivo per i poveri. I giovani e i poveri sono stati i due grandi amori di Padre Piamarta, amati e serviti con il brio e il cuore comprensivo e compassionevole dei due santi.

Una città dinamica
A Brescia, città industriosa e in via di industrializzazione, nella seconda metà dell’ottocento,si sviluppa un vigoroso movimento cattolico, teso a ridare Dio alla società e la società a Dio.
La diocesi di Brescia che aveva dato nell’’800 grandi figure di “santi sociali”, dal Pavoni a Crocifissa di Rosa, vede ora sorgere un movimento, ad opera di sacerdoti e laici, con l’obiettivo di rendere presente la Chiesa in una società divisa dalla questione romana, sconvolta dalla questione sociale, scossa dai venti anticlericali.
Questo gruppo di cattolici impegnati, ha come animatore monsignor Pietro Capretti, “la gemma del clero bresciano”, un sacerdote esemplare e colto, che ha scelto, lui benestante, di vivere poveramente con i “chierici poveri” a San Cristo, un monastero adattato a seminario, dal quale uscirà un clero da lui formato, sensibile e attivo nei confronti dei poveri e dei loro problemi.
Se la punta avanzata del movimento cattolico bresciano è Geremia Bonomelli, futuro e prestigioso vescovo di Cremona, tra i laici emergono le forti personalità del beato Giuseppe Tovini e di Giorgio Montini.
Il primo è un infaticabile e geniale promotore di nuove forme di cooperazione, di casse rurali, di istituti di credito a sostegno delle opere cattoliche, a partire da quella fondamentale della presenza cristiana nella scuola.
Il secondo è l’avvocato Giorgio Montini, mente organizzativa e capo indiscusso, impegnato a promuovere la presenza dei cattolici nella politica, con quell’ampiezza di vedute che sarà respirata in famiglia dal giovane Giovanni Battista, futuro Paolo VI.
Di questo gruppo, dalle diverse posizioni nei confronti della nuova Italia, fa parte anche l'umile sacerdote Giovanni Battista Piamarta, che come gli altri, saliva sovente a San Cristo per confrontarsi con l’amico monsignor Pietro Capretti.
Una ferita mai rimarginata
Il giovane sacerdote saliva a San Cristo, per vedere come fosse possibile risolvere un problema che lo angustiava. Era “curato”, cioè aiutante del parroco, nella centralissima parrocchia di Sant’Alessandro, dove svolgeva un’intensa attività tra i giovani, grazie anche al suo oratorio, al quale dedicava molto del suo tempo e delle sue energie. Era stimato per la sua pietà, amato per la sua carità, ammirato per la sua presenza rasserenante nei luoghi della sofferenza, dal letto degli infermi all’aiuto discreto a non pochi “nobili decaduti”.
Eppure aveva una ferita al cuore che non si rimarginava. Una ferita che veniva dalla sua fanciullezza.
Era nato in un quartiere popolare della città, nella parrocchia dei Santi Faustino e Giovita nel 1841 da famiglia povera. Mamma Regina era una di quelle mamme che aiutano a crescere forti i loro figli, perché non la danno sempre vinta. Ma scompare presto, quando Giovannino ha solo nove anni.
Povero e orfano di madre, con il padre piuttosto assente, vivacissimo e trascinatore, conosce i pericoli della strada, dalla quale è salvato dal suo oratorio, dove incontra guide esemplari.
Fa il garzone presso un materassaio che lo prende a benvolere e, preoccupato della sua salute, lo invia in vacanza a Vallio, dove è notato dal parroco don Pezzana, che lo avvia verso il sacerdozio, dandogli personalmente le prime lezioni e trovandogli benefattori che gli permettono di continuare negli studi.
Ordinato sacerdote nel 1865 sarà dato in aiuto proprio a don Pezzana, prima a Bedizzole, una parrocchia di campagna e poi in città a Sant’Alessandro.

Sono anni in cui porta con sé la sua ferita di ragazzo abbandonato a se stesso, una ferita che lo rende sensibilissimo a situazioni analoghe di ragazzi e giovani, che si perdono facilmente a causa del disinteresse altrui, dell’interesse pericoloso di adulti senza scrupoli, ragazzi che potrebbero fare bene se avviati sulla via del bene, che non possono mettere a profitto le loro capacità per mancanza di preparazione, che potrebbero essere delle colonne di una società più umana e cristiana, se accolti con amore da chi ha fede, se messi nelle condizioni di formare una propria famiglia, loro che non conoscono l’affetto di una famiglia.
Sa di essere povero, ma sente che quella di accogliere e formare i giovani poveri e abbandonati è la missione che il Signore gli affida. E prega di non essere un servo inutile o pigro.
Comincia a parlarne con l’amico don Pietro Capretti, che lo sostiene e l’aiuta generosamente.
Nasce così l’Istituto Artigianelli. Seguiranno poi la celebre Colonia Agricola di Remedello in collaborazione con l’agronomo Giovanni Bonsignori, considerato l’apostolo della nuova agricoltura. Verranno poi l’Editrice Queriniana, la Congregazione Santa Famiglia di Nazareth e, assieme a Madre Elisa Baldo, le Umili Serve del Signore.

Immerso nel terribile quotidiano.

 Si era messo su una via irta di triboli e spine, la via del terribile quotidiano che mette a dura prova la vita di buona parte delle persone: problemi economici assillanti, cose che non vanno come dovrebbero andare, difficoltà di convivenza con persone difficili, responsabilità educative nei confronti con ragazzi problematici, urgenza di aggiornarsi continuamente per non essere travolti dal progresso tecnologico, lotta con il proprio carattere non sempre facilmente domabile…
Scriverà verso la fine della sua vita: “Ho cominciato quest’opera e i contrasti e i dolori, le disillusioni e le indifferenze e gli abbandoni anche per parte di persone su cui si era fondato tutto l’appoggio morale e materiale, furono il mio pane quotidiano e continuano più che mai ad esserlo tuttora”.
“I dolori e le traversie d’ogni fatto, sono un pane avanzato dalla tavola di Gesù Cristo. Ed io in questi giorni, sto mangiandone la parte più dura”.
“Ma le opere di Dio non prosperano che all’ombra della croce ed anche a volere che esse diano frutti copiosi,conviene che noi le andiamo innaffiando dei nostri sudori, delle nostre lacrime e perfino del nostro sangue: basta guardare a Gesù” .
Come un padre non può abbandonare i suoi figli, così diventato Padre dei suoi ragazzi, affronta difficoltà e umiliazioni di ogni genere. Per ciascuno di loro deve creare un posto in refettorio, uno in officina, uno in studio, in dormitorio, in ricreazione, in chiesa.
Vive con loro e per loro, pensando al loro futuro di lavoratori preparati, di cristiani convinti, di cittadini onesti.

Le fonti del sapere e dell’azione per vivere la nobiltà del quotidiano
Le sue due fonti principali del sapere sono la Sacra Scrittura e la vita dei Santi.
I suoi appunti di predicazione sono intessuti di citazioni della Parola di Dio che prende corpo e si rende visibile e feconda nella vita dei santi. “Dopo la Sacra Scrittura, non c’è pascolo più salutare delle vite dei santi”, ripeterà più volte.
Da San Benedetto comprese che a Dio si va con i piccoli ma costanti passi del quotidiano vissuto davanti a Dio con la preghiera e davanti agli uomini con il lavoro.
Da San Filippo Neri trasse la convinzione che una città potesse essere cambiata dedicandosi alla gioventù, con uno stile allegro ed esigente, che rendesse simpatica la virtù.
Da San Vincenzo de Paoli imparò a servire i poveri, vedendo Cristo in loro.
Da Santa Teresa apprese l’importanza delle preghiera prolungata che sfocia in opere,opere, opere.
Da San Francesco di Sales comprese l’arte della mitezza per toccare i cuori.
Da Sant’Ignazio di Loyola ammirò e praticò il dovere di trafficare tutti i propri talenti per la missione affidata, oltre che trarre le norme essenziali per reggere la sua Congregazione.
Da questi insegnamenti derivò una spiritualità atta a sorreggere e motivare la missione tra i giovani.
Da discepolo divenne maestro per la sua sintesi pratica e limpida, da trasmettere ai collaboratori, sacerdoti e laici.


Le due fonti della sua azione sono lo Spirito Santo e la diffidenza nei confronti di sé.

Egli sa che lo Spirito Santo crea futuro, trasforma le crisi in nuove opportunità, non fa guardare con nostalgia al passato, ma proietta con fiducia nel futuro, rendendo possibile anche quello che sembra impossibile. E, in certe manifestazioni, può essere chiamato col nome familiare di Provvidenza.
Quando intonava il Veni Creator, lo faceva con una voce tanto possente che sembrava “tirar giù” dal cielo lo Spirito Santo.
Ma l’umiltà gli impedisce di voler possedere il monopolio dello Spirito Santo e il senso del proprio limite lo induce a tenere un basso profilo, a confrontarsi con altri; si circonda di collaboratori, condivide le responsabilità, non fa il tuttologo.
Manifesta la sua umiltà soprattutto nell’obbedienza e nella gratitudine.
Compie gesti di eroica obbedienza, all’inizio dell’opera, quando il Vescovo gli chiedeva scelte che sembravano compromettere quanto stava per realizzare. Obbedì, lasciando fare a Dio, sapendo che Dio in questo modo fa abbandonare i nostri sentieri per immetterci sulle sue vie.
Considera la gratitudine, cioè il riconoscere l’apporto degli altri a quanto ha potuto realizzare, come “la massima virtù”, nella consapevolezza che tutto è dono e tutto va preso in rendimento di grazie.
E mentre pratica e insegna la gratitudine verso benefattori e collaboratori, a partire dal Datore di tutti i beni, avverte che è necessario praticarla, ma non pretenderla.


La nobiltà del lavoro

Costatando che la povertà più pericolosa è quella interiore, che blocca sul presente, che smorza la fiducia e non proietta verso il futuro, ha inculcato ai suoi giovani l’ orgoglio di entrare nella nobiltà del lavoro, una nobiltà aperta a tutti quelli che vogliono costruirsi un domani con le loro capacità e con l’impegno dei loro talenti, accessibile a chi ha coraggio, a chi sa lottare, a chi ha nobiltà di sentimenti e un cuore magnanimo.
Nobiltà è fare bene il proprio lavoro, unendo competenza, onestà e cortesia.
Nobiltà è non deprimersi nell’insuccesso, né esaltarsi nel successo.
Nobiltà è essere fedeli alla parola data, pronti a chiedere perdono quando si sbaglia, pronti a concederlo quando è richiesto.
Nobiltà è saper guardare a Nazareth deve il Figlio di Dio ha reso santa la fatica dell’uomo con il suo sudore e la sua pazienza.
Insegna queste cose ai suoi ragazzi con le parole e con l’esempio, sempre in moto, ma senza affanno, sempre conteso, ma il più possibile allegro e sereno.


Le scalinate della sua bella Chiesa
Costruisce una bella chiesa, che svetta sugli altri edifici.
Al mattino prestissimo sale le gradinate, entra per primo nella sua chiesa e, solo si immerge per ore ( sì, per almeno tre ore) nella preghiera. Poi, rafforzato, scende le scale per incontrare ragazzi, collaboratori, insegnanti, maestri di officina,fornitori, tecnici, per ascoltare richieste di aiuto, per discutere su nuovi macchinari, per correre dietro alle cambiali che scadono, per parlare di Dio, del quale voleva mostrare il volto di Padre nella minuta realtà di ogni giorno.
Il suo tempo è inizialmente conteso tra pietas et labor, tra immersione nel divino e immersione nell’umano, tra salire le scale dell’intimità divina per avere poi la forza di discendere a servire l’uomo.
Col passare del tempo le due dimensioni si arricchiscono e si avvicinano fino a fondersi: una vita animata dalla preghiera e una preghiera che si concretizza nei campi dell’educazione, della formazione al lavoro e alla famiglia, nel seminare il Vangelo nel cuore di chi lo avvicina..
Questa rara sinergia tra impegno umano e fiducia nella Provvidenza, sarà sorgente di creatività: l’Istituto Artigianelli preparerà abili tipografi, artigiani e artisti del ferro e del legno, meccanici ed elettricisti. E anche buoni cristiani.
La Colonia agricola di Remedello sarà un faro per l’agricoltura del suo tempo, oltre che un aiuto ai parroci a promuovere la classe contadina, attraverso il periodico La famiglia agricola.
La Queriniana diventerà inizialmente la tipografia della florida stampa cattolica di Brescia, poi una editrice che allargherà progressivamente i suoi orizzonti.
Nel 1902 sarà approvata la Congregazione maschile, intitolata alla Famiglia di Nazareth, che esprime eloquentemente la sua preoccupazione per la famiglia, ma anche l’ideale di una convivenza familiare dei suoi collaboratori e del suo stile di educazione.
Con Madre Elisa Baldo darà origine verso la fine della sua vita anche alla Congregazione femminile, che prenderà il nome “Umili Serve del Signore”.
E come la sua presenza inciderà nella società bresciana del suo tempo, così i suoi continuatori porteranno il suo spirito, fonte di evangelica intraprendenza, in varie parti dell’America Latina e dell’Africa.
Muore il 25 aprile 1913. Il Vescovo di Brescia scriverà ai confratelli: “Voi avete perso un padre, io un amico, la diocesi un santo prete”.
La stampa laica lo considera un insigne benefattore che ha dato alla città le maestranze più qualificate, i suoi ragazzi lo ricordano come un condottiero dal cuore di mamma, i suoi figli spirituali un Padre affettuoso e illuminato.
E la Chiesa, a cento anni dalla morte, lo proclama santo, facendone uno dei maestri per il nostro tempo.


Un bilancio fatto da un grande Vescovo

In occasione del XXV dell’Istituto Artigianelli, monsignor Bonomelli, Vescovo di Cremona, suo insegnante, confidente e amico, scriveva ai confratelli:
“Quali prodigi di carità, di prudenza, di destrezza, di zelo veramente cristiano Padre Giovanni Piamarta ci ha mostrato nel corso di mezzo secolo di vita operosissima!
"Egli è il sacerdote che richiedono i tempi nuovi: noncurante di sé, solo inteso al bene altrui senza distinzione, specialmente della gioventù.
Alieno dalle lotte partigiane e politiche, pronto a stendere le mani amiche a quanti amano il bene, a dimenticare le offese e vendicarsi con i benefici: nacque povero, visse povero e povero ha valicato i settanta anni. Con raro esempio raccolse le simpatie e l’affetto di tutti, senza ombra di partito.
Quanti giovani ha ricondotto sulla retta via! Quante lacrime ha asciugate! Quanti genitori ha consolati, restituendo loro i figli riabilitati con il lavoro e con la pietà cristiana”.
Un vero maestro per il nostro tempo, che aiuta a scoprire la nobiltà del quotidiano, riscattato dal lavoro, elevato dalla preghiera, trasfigurato dall’amore.


P. Pier Giordano Cabra

42 - PRIMO NUCLEO DELL'ISTITUTO ARTIGIANELLI


Sullo sfondo la chiesa di S. Cristo.

giovedì 23 agosto 2012

41 - SCELTA DELLA VOCAZIONE

Da "i pensieri di padre Piamarta"

Per decidere bene sopra la vocazione sono necessarie tre cose:

1) il tempo;
2) la preghiera;
3) il consiglio.

Tempo: la scelta dello stato di vita non è un affare da decidere in un solo momento. Le vocazioni certissime da verificarsi, come quella di S. Paolo, sono rarissime.
Se voi sentite l'attrazione verso uno stato di vita, non dovete subito ritenerla come una chiamata di Dio.
Preghiera: pregare come il profeta Samuele quando scelse e incoronò il re Davide.
Sì, la preghiera è necessaria e la preghiera è anche la vita buona, la vita casta, la vita virtuosa.
Consiglio: Bisogna cercare una persona prudente e illuminata. «Se un cieco guida un altro cieco cadono tutti e due nella fossa». Perciò l'importanza delle persone prudenti e illuminate.

Non c'è cosa che tanto conduca alla salvezza quanto la sicura scelta dello stato della propria vita. Anzi, siccome oltre alla salvezza sono legate altre grazie come la salute, ecc., quando siamo fuori dalla nostra vocazione la Provvidenza di Dio non si impegna a soccorrerci con «grazie speciali»; per questo non dico che sia un caso disperato raggiungere queste grazie, ma è certamente molto difficile.



Il vivere bene dipende in grande parte dalla scelta dello stato. Conviene esaminare bene, quindi, quale sia la strada più diritta e sicura che conduce a tale fine.
Voi dite che tutte le strade conducono a Roma, cioè che in tutti gli stati di vita ci si può salvare. È vero in generale. Ma, in particolare, io, voi, Caio, Berta, devono scegliere lo stato più conveniente e più conforme ai disegni di Dio.

40 - MONSIGNOR PIETRO CAPRETTI


UN GRANDE AMICO

Nel nostro refettorio ho fatto mettere un grande ritratto di monsignor Pietro Capretti, la persona a cui l’Istituto deve di più.
Quando ero curato qui in città nella parrocchia di Sant’Alessandro e cominciavo a pensare seriamente a fare qualche cosa per i giovani senza prospettive per il domani, pensai bene di  parlarne con lui, perché mi sembrava la persona più sensibile a questo tipo di problemi. Quasi ogni giorno salivo a San Cristo, il vecchio convento dove monsignore abitava, dopo averlo adibito a seminario per i chierici poveri, da lui accuditi e formati. Quel vecchio monastero era divenuto il centro dinamico della Brescia cattolica che si apriva ai nuovi tempi. Una fucina di idee, di proposte. Ma soprattutto un esempio contagioso di dedizione, quale premessa a realizzazioni che esigevano impegno personale prolungato.

La gemma del clero bresciano
Era uomo di notevole cultura, ma anche di grande carità. Di lui si può dire che “da ricco che era si fece povero per arricchire con la sua povertà”. Viveva poveramente assieme ai suoi chierici poveri, che voleva ricchi di cultura e di amore illuminato per il prossimo.
Formatore di sacerdoti, ma anche suscitatore di energie laicali impegnate nel sociale e nel politico, raccolse attorno a sé e sostenne personalità diverse quali Giuseppe Tovini e Giorgio Montini.
Uomo di alta spiritualità e di fine dottrina, ha lottato, anche con il suo talento di giornalista, sui due fronti opposti: da una parte contro l’intransigentismo cattolico e dall’altra contro il partito del potente Zanardelli, che peraltro riconosceva la sua superiore nobiltà.
Il Signore l’ha chiamato a sé a soli 48 anni, tutti laboriosissimi, nonostante la salute malferma.

Sempre amico
Godeva meritatamente di grande prestigio,  che io condividevo totalmente, tanto che non ho mai osato dargli del Tu, sebbene avesse un anno meno di me. Con lui parlai a lungo del mio progetto ed egli subito l’abbracciò e mai lo abbandonò, anche quando ci furono momenti di disaccordo circa le modalità di realizzazione.
Il Vescovo Emilio Bongiorni, che da chierico mi fu dato d’aiuto, proprio agli inizi, e che quindi conosceva bene le cose, così ha descritto la situazione, nel discorso tenuto in occasione del Venticinquesimo dell’Istituto. “Mons. Capretti tutto pesava, contava tutto. Con questi criteri aveva fondato l’ospizio dei chierici poveri e, dopo averlo retto per venti anni, poteva chiedersi: Perché mettersi per altra via?”.  La sua era la via del passo dopo passo, della prudenza.
“Non così la pensava un altro uomo, il Reverendo Padre Piamarta, che aveva passato la vita intera in mezzo ai giovani. Egli, che nella cura d’anime aveva incontrati a centinaia i fanciulli bisognosi e che da anni vagheggiava un’opera bella, grande, ordinata, come quella del Canonico Pavoni di venerata memoria, innanzi al nuovo istituto, due casupole, scuoteva mestamente il capo”.
Monsignor Capretti, che si era riservata la parte amministrativa, non poteva pensare diversamente le cose, anche perché in quel momento era in difficoltà economiche. Ma le diverse visioni sul come realizzare l’opera, non intaccarono la nostra amicizia, che  rimase ben salda.
Tanto è vero che quando poco dopo venne a morire (1890), nelle sue volontà testamentarie fu trovata la disposizione che circa la metà dei suoi beni erano destinati all’Istituto.

Un esempio  di vita
Quante cose mi insegnò Monsignore! A conclusione di una lettera, a proposito delle nostre divergenze, scriveva: “Preghiamo entrambi che in tutto questo non entri lo zampino dell’amor proprio; zampino di cui io non  posso certo negare la tentazione per conto mio. Il Signore allora aiuterà e farà finir bene ogni cosa”.
Questa è l’umiltà di una vera guida spirituale . Un grande amico davvero santo ed esemplare!

39 - UNA VITA PER I GIOVANI

            La prima ragione di modernità del Padre Piamarta sta nel fatto che quel prete di cento anni fa – come devono fare quelli di oggi – mette Cristo al centro della sua vita. Il Cristo della storia della salvezza, il Cristo che affascina e afferra l’apostolo Paolo, il Cristo che dona la vita per i suoi amici. La santità è, prima di ogni altra cosa, poter dire: per me vivere è Cristo.

           La seconda ragione di modernità sta nel fatto che Piamarta, per amore di Cristo, diventa capace di patire, di accettare la sofferenza e l’umiliazione. È uno di quei santi che fugge la carriera, l’applauso del palcoscenico, la gloria del mondo. Capisce che cosa significhi il detto evangelico secondo il quale il primo deve essere l’ultimo e il servo di tutti. Capisce che se qualcuno è da privilegiare nell’amore e nel servizio è colui che è più bisognoso, che ha meno di altri. Nell’epoca del successo ad ogni costo e nell’era dell’imperativo “se non appari in tv o sul giornale non sei nessuno”, la santità dell’umile Piamarta è un bell’antidoto, una cura efficace.

          La terza ragione consiste nel fatto che oggi molti chiamano in causa la cultura cristiana, la necessità di rendere la fede cultura, di difendere i valori cristiani. Piamarta lo fa: per questo stampa, diffonde, pubblica. Ma lo fa con mitezza, rispetto, amore anche al nemico: che va conquistato e persuaso, non combattuto e distrutto. E non con la preoccupazione del profitto, ma del progresso del Regno di Cristo.

          La quarta ragione della modernità del nuovo santo consiste nel rapporto con i giovani. Piamarta capisce, anticipando tanto del magistero degli ultimi pontefici, che i giovani sono il futuro della chiesa e del mondo. Vale la pena prendersi cura di loro.

          Ma egli sa che senza Cristo non c’è giovinezza. Sa che il segreto della giovinezza è Cristo. Mette in pratica nel suo tempo quanto sant’Agostino, secoli prima, scriveva nella sua opera Ad fratres in eremo: “Quaerite, o iuvenes, Christum ut iuvenes maneatis”, Cercate Cristo, o giovani, e rimarrete giovani in eterno. Cristo è il segreto dell’eterna giovinezza. La stessa di cui, oggi più che mai, ha bisogno il mondo.
         Grazie, san Giovanni Battista Piamarta, perché continui a ricordarcelo. E prega per tutti i giovani. Prega per noi!

(G. Filippini, Giovanni Battista Piamarta. Una vita per i giovani, Brescia 2012)

mercoledì 22 agosto 2012

38 - IL RITORNO



Chiave di lettura dell'opera

Padre Piamarta torna alla mia casa, agli Artigianelli, portato dalle nubi della gloria di santità e illumina di nuovo orizzonte spirituale la Città di Brescia.
Autore dell'opera: Massimo (Max) Tabarelli


THE RETURN

Key to understand the work

Father Piamarta comes back to my house, to Artigianelli, led by the clouds of the glory of holiness and he lights up of new spiritual horizon the city of Brescia.

Author: Massimo (Max) Tabarelli

37 - L'INVITO DEL SUPERIORE GENERALE

Prepariamoci al 21 ottobre 2012 
   L’annuncio dato dal Santo Padre nel Concistoro del 18 febbraio riguardo alla Canonizzazione del nostro Fondatore, ci ha riempito di gioia, venendo incontro a un’attesa lunga di anni.
Per chi lo ha conosciuto e lo ama, non c’erano dubbi sulla santità di Padre Piamarta. Gli scriveva nel 1896 l’amico Giuseppe Franchini (quello dell’avventura sulla Maddalena): “Vedo in te l’uomo delle grandi e sorprendenti imprese, quello che io chiamerei volentieri il vero Santo, il quale, col sublime sentimento della Carità, ha fatto e fa tuttora miracoli!” E molte testimonianze nel processo canonico sono date in questi termini.
   Tutti attendevamo però con trepidazione che la giusta prudenza della Chiesa si pronunciasse ufficialmente, per poter vedere il nostro Padre proposto universalmente come modello di fede, speranza e carità per tutti i cristiani.
L’annuncio del Papa viene dopo il riconoscimento – da parte di medici, teologi, cardinali, vescovi e dello stesso Pontefice – di un fatto di guarigione inspiegabile alla medicina e ottenuto grazie alla sua intercessione. Come è noto, si tratta di un uomo di Fortaleza, ormai dichiarato in stato irreversibile dai medici e che, invece, avendo i suoi amici chiesto aiuto a P. Piamarta, si è completamente e quasi improvvisamente ristabilito. 
   Ciò che chiamiamo ‘miracolo’, nella storia della salvezza, è un segno straordinario dell’intervento di Dio a favore dell’uomo, un’occasione nella storia che manifesta, appunto, la salvezza che può venire solo da Dio. Perciò, da una parte, i miracoli sono pochi e Gesù non ha guarito tutti gli ammalati del suo tempo: sono, infatti, dei ‘segni’, degli ‘assaggi’ del mondo nuovo che Egli inaugura con la sua presenza in mezzo a noi. Sono avvenimenti che accadono in una relazione di fede in lui, da parte di chi riceve il miracolo o da parte di chi gli presenta la persona bisognosa.
Dall’altra, per chi ha fede, i miracoli sono frequenti e continui. La vita è miracoloso dono di Dio, per chi sa leggere ‘al di là delle cose’ con gli occhi ‘dei bambini’ che chiede Gesù. Gli avvenimenti, alcuni più di altri, che accompagnano la nostra esistenza sono veri miracoli – cioè interventi di Dio nella storia –, se li sappiamo leggere nel loro valore di straordinaria ordinarietà. In questi anni, visitando le opere piamartine, mi sono incantato e commosso più volte nell’ascoltare frequentissimamente persone semplici o dotte – ma comunque di fede – che attribuivano questo o quel fatto, poco o tanto straordinario, all’intercessione di Padre Piamarta. Erano famiglie che ritrovavano l’unità e la pace, figli irricuperabili ritornati sul sentiero giusto, alunni impossibili cambiati radicalmente e imprevedibilmente, diagnosi mediche ribaltate all’improvviso … “È stato Padre Piamarta!” mi sentivo dire, come la più ovvia delle constatazioni, in Italia e, con frequenza anche maggiore, in America Latina o in Africa, dove la secolarizzazione non ha ancora seminato troppo, oltre ai pregi, anche le sue aridità spirituali.
   Un miracolo che sta sotto gli occhi di tutti sono poi le persone che si sentono coinvolte, dal riferimento a Padre Piamarta, a seguire il Signore con la fedeltà della vita, nelle Congregazioni da lui fondate e nel Movimento Secolare Piamartino: gente che, ancora oggi, in tempo di diritti e di calcolati tornaconti, si dedica gratuitamente alla gioventù in varie parti del mondo, compiendo opere quotidiane di amore e di servizio educativo e di vangelo vissuto.
   Il miracolo che in questa grande occasione, alla quale ci stiamo preparando con entusiasmo, possiamo chiedere tutti, senza differenze e distinzioni di categoria e di appartenenza, al nostro futuro ‘Santo’, è quello di fare una ulteriore, profonda esperienza dell’amore di Dio: di quel Dio che per Padre Piamarta era (ed è) Tutto, per il quale sentiva di voler dare la vita e al quale si affidava con sconfinata fiducia in ogni momento, specialmente nelle circostanze difficili, quelle in cui un uomo ‘normale’ si ferma e si scoraggia.
La normalità dei Santi, invece, consiste proprio nel credere che, se si agisce in nome del Signore e in sua continua compagnia, il bene diventa sempre possibile e, se Dio vuole, anche realizzando ‘grandi imprese’ con pochi mezzi. Perciò lo scopo di ogni miracolo e della proclamazione della santità di un cristiano è che ognuno di noi senta Dio più vicino e, con maggiore confidenza, si affidi a Lui.
 P. Enzo Turriceni

36 - INTERVISTA A PADRE PIERGIORDANO CABRA

35 - PROVVIDENZA (2)

da "i pensieri di padre Piamarta"

Dio promette il sostentamento necessario per chi, prima, cerca il suo regno e la sua giustizia. Quindi, non affermo che Dio neghi il pane ai peccatori perche Lui manda il sole e la pioggia sui giusti e sui peccatori, ma con i peccatori non si obbliga, non impegna la sua parola di Provvidenza.


«La paterna cura di Dio riguarda solo il necessario e non il superfluo.
Il Signore promise che avrebbe provveduto ai nostri bisogni e non alle nostre vanità o cose superflue».


Per chi non crede, per chi non ammette la vita futura, è quasi naturale che bestemmi la Provvidenza e imprechi per le ingiustizie e i mali che ci sono nel mondo. Ma chi considera le cose alla luce della fede, oh, come allora vede le cose collocate alloro giusto posto. Allora non ci farà più impressione che il giusto sia perseguitato... li credente, infatti, chi ha fede, il cristiano, afferma: «C'è una Provvidenza amorosa. Tutto quello che Lei fa lo fa e lo ordina a vantaggio e salute degli eletti. Anche i peccati che il Signore permette, anche i temporali castighi servono e sono ordinati al bene e a vantaggio degli eletti».

martedì 21 agosto 2012

34 - ISTITUTO BONSIGNORI


Casa originaria dove vissero e operarono p. Piamarta e p. Bonsignori 
Remedello (Brescia).

33 - IL MIO OREMUS PREFERITO

Quando arriva la quarta domenica di pasqua, non posso non commentare l’Oremus della Messa, perché mi sembra un vertice della vita cristiana.
“O Dio che unisci in un solo volere le menti dei tuoi fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo, là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia”
Là siano fissi i nostri cuori, dove è la vera gioia.
Il nostro cuore è un guazzabuglio, diceva Manzoni. In questo momento desidera il bene, fra pochi minuti può desiderare il male. Oggi desidera una cosa, domani un’altra.
La gente dice che al cuore non si comanda, perché è lui che trascina con i suoi desideri instabili: per questo è inquieto, non trovando mai una realtà che lo soddisfi interamente.
Sappiamo anche che il cuore si sofferma di più quando è veramente innamorato: dove è il tuo tesoro, là c’è il tuo cuore. O, più popolarmente: “Là dove c’è Luigi c’è Parigi”
L’Oremus ci fa chiedere di “Tenere fissi i nostri cuori dove è la vera gioia” Ora per il cristiano il vero tesoro che nessuno può rubare è Dio con la sua sconfinata felicità che vuole comunicarci.
Dio è il punto fisso dove i nostri cuori devono essere rivolti, per essere saziati, perché Egli “supera ogni desiderio”, Egli è il nostro tesoro, la nostra meta, il nostro tutto.
O Dio che unisci in un solo volere le menti dei tuoi fedeli.
Le menti dei fedeli sono diversissime, perché diverse sono le opinioni, le valutazioni, i punti di vista, le condizioni sociali, le esperienza. E’ difficile trovare due persone che la pensino esattamente in forma uguale. E neppure chiediamo di pensarla alla stessa maniera. Eppure qui si afferma che il Signore unisce in un solo volere le menti dei fedeli. Qual è questo solo volere se non avere fisso il cuore in Dio, nostra gioia vera? Dio vuole che i suoi fedeli, cioè coloro che credono in Lui, pur avendo idee diverse cerchino Lui in tutte le cose e al di sopra di tutte le cose.
San Paolo dice la stessa cosa quando afferma: “Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini”. Concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti.
“Ascolta Israele: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. E il prossimo tuo come te stesso”
Quello che domanda il Signore è una risposta d’amore al suo amore. Ma il comprendere questo non è facile. Oggi domandiamo a Lui di farci comprendere che quello che ci chiede è una risposta d’amore e non un gesto arbitrario della sua volontà.
Chiediamo il dono di amare la sua santa volontà e di farci comprendere che quello che ci chiede è per il nostro bene. Chiediamo anche il dono di “amare ciò che promette”, cioè di amare Lui, perché Egli promette sé stesso, il suo desiderio di farci felici.
Fra le vicende del mondo.
Noi viviamo in questo mondo dove siamo attratti, sedotti, delusi, condizionato dagli alti e bassi delle vicende umane. Anche per questo abbiamo bisogno di un punto di riferimento sicuro che ci permetta di vivere in questo mondo che passa, senza passare con il mondo. Il nostro Oremus ci aiuta ad avere fisso il cuore dove è la vera gioia, perché pone i nostri desideri a contatto col desiderio di Dio di farci felici. E pone il nostro cuore nel cuore di Dio, che non delude mai.

32 - L'ISTITUTO ARTIGIANELLI - BRESCIA - COME SI PRESENTA OGGI

31 - IL MIRACOLO ATTRIBUITO A PADRE PIAMARTA

Il signor Estêvão Figueiredo De Paula Pessoa, pensionato di 67 anni, residente a Fortaleza, dopo aver ingerito una lisca di pesce, a seguito di febbre alta e forti dolori al petto, fu portato all’Ospedale São Mateus il 23 settembre 2003.
Al mattino del 24 settembre essendosi seriamente aggravato, venne ricoverato nell’Unità di Terapia Intensiva, sedato e aiutato con dispositivi per supplire all’insufficienza respiratoria. Gli esami condussero a diagnosticare che la spina di pesce, dopo aver perforato l’esofago, aveva causato una grave infezione dello spazio che occupa la parte mediana del torace che comprende strutture ed organi dell'apparato circolatorio, dell'apparato respiratorio, dell'apparato digerente, del sistema linfatico e del sistema nervoso. In termini medici si parla di Mediastinite purulenta.
Fu subito sottoposto a chirurgia toracica. Nel 12° giorno di ricovero, poiché la febbre persisteva ed era subentrata una polmonite, venne sottoposto ad una nuova chirurgia toracica, con l’intenzione di togliere materiale necrotico dovuto all’infezione.
Il 13° giorno improvvisamente presentò una emorragia digestiva voluminosa e dovette essere operato d’urgenza per l’asportazione di tutto l’intestino crasso.
La ripresa del paziente era molto lenta. Venne dimesso dall’Unità Terapia Intensiva (UTI), ma si ripresentarono febbre ed itterizia; l’équipe medica decise una nuova chirurgia addominale perché persistevano segni di infezione grave. Il paziente ritornò in UTI dopo l’operazione per insufficienza renale. Ebbe in seguito un’emorragia intraddominale e ci fu bisogno di una quinta chirurgia alla quale ne fece seguito una sesta per arginare un blocco renale ed eliminare un ematoma addominale.Vista la situazione disperata, una coppia di amici della moglie le regalarono l’immagine di Padre Piamarta da appoggiare sotto il cuscino del marito e le assicurarono la preghiera di un folto gruppo di devoti del Beato.
Il signor Estêvão ritornò dal sesto intervento ormai agonizzante, con respirazione difficile nonostante gli apparecchi e con peggioramento considerevole dell’infezione, che si mostrava impossibile da controllare anche con l’uso di forti antibiotici.
Come ultimo mezzo per ridurre il processo infettivo si intervenne con un nuovo trattamento comprovato da ricerca medica per casi di setticemia (proteina C ricombinante), che tuttavia presentava delle serie controindicazioni. Il paziente era in uno stato di coma, tenuto in vita dalle macchine e con pochissime probabilità di vita.
Continuava intanto la preghiera a Padre Piamarta da parte di tanti amici e conoscenti fiduciosi in un suo miracoloso intervento.
La speciale cura fu iniziata 24 ore dopo l’ultimo intervento chirurgico, ma non trascorse il tempo previsto per il trattamento che il paziente ebbe altre emorragie e temendo il peggio fu sospesa la somministrazione del farmaco. Tutto faceva pensare al peggio, ma inspiegabilmente il signor Estêvão cominciò lentamente a ristabilirsi, anche se presentava ancora una grave insufficienza renale. Era il 22 dicembre.
Di fronte ai continui miglioramenti l’incredulità dei medici era generale. Inoltre c’era un diffuso scetticismo che i reni potessero tornare a funzionare correttamente, cosa che invece avvenne due mesi dopo.
Nella loro relazione i medici dicono che il miglioramento, la resistenza del paziente alle innumerevoli chirurgie subite e la sua guarigione completa siano inspiegabili per la scienza, soprattutto in presenza di un quadro clinico tanto grave.
Il signor Estêvão Figueiredo De Paula Pessoa, oggi settantacinquenne, vive a Fortaleza in ottima salute.

30 - BIBLIOGRAFIA SU PADRE PIAMARTA

Brixia Sacra (2014) - Memorie storiche della diocesi di Brescia. Pietas et labor San Giovanni Battista Piamarta nel primo centenario della morte

Sintetico ma completo, questo profilo biografico del fondatore degli Artigianelli e della Congregazione S. Famiglia di Nazareth è arricchito con un capitolo sulla beatificazione (1997) e con un secondo inserto fotografico a colori.

“Diario ideale”, poiché non scritto direttamente dal “protagonista”, il padre Giovanni Piamarta, e tuttavia “diario reale”, che intende riproporre il vissuto umano e spirituale di un vero santo.
Il “Diario” si fa eco, nei contenuti e nel linguaggio, di una esperienza che conserva tutta la sua attualità: ricostruisce gli aspetti più caratterizzanti degli ultimi tre anni di vita del Santo, dal 1909 al 1912.
Si vengono così a conoscere pensieri, opere e preoccupazioni, le sue iniziative, la sua creatività, la sua profonda vita interiore, la sua apertura pastorale e missionaria, la sua statura di educatore, il suo amore per gli ultimi. Con la canonizzazione, che ne riconosce la santità, Giovanni Piamarta entra ora nella grande memoria della Chiesa universale. Pagine belle, utili per tutti, specialmente per chi ha responsabilità educativa.



Un breve e accattivante profilo biografico del fondatore degli Artigianelli, il padre Giovanni Piamarta (1841-1913), che sarà canonizzato il prossimo 21 ottobre 2012. Scritte in un linguaggio fresco e spigliato, adatto ai più piccoli, le pagine sono arricchite da splendide tavole a colori, appositamente realizzate per l’occasione dalla matita di Mario Gilberti.









Siamo a cavallo fra Ottocento e Novecento. L’Italia è agli albori dell’industrializzazione. Giovanni Battista Piamarta (1841-1913), prete bresciano impegnato con i più poveri fra i giovani, non chiude gli occhi di fronte alla loro deplorevole situazione, che ne mina la dignità personale e le prospettive di futuro. Presta ascolto alle invocazioni – inespresse o urlate con disperazione – dell’universo giovanile del suo tempo.
Nell’escogitare una qualche soluzione, senza cedere al fatalismo del «non c’è niente da fare», si mette alla ricerca della volontà di Dio. Ed ecco che, dentro la vita della chiesa, in dialogo con le istituzioni, padre Piamarta inventa nuove strade di annuncio, modi innovativi di servizio alla città, opere capaci di esprimere una fede attiva e contemplativa.
La sua è una storia che continua ancor oggi. E che consiste nel ridire, con i giovani di oggi, la passione per quel Regno di Dio fatto di cultura e di lavoro, di assistenza e di promozione, di dialogo e di proposta, di preghiera e di opere: levando uno sguardo fiducioso al Cielo e mantenendo i piedi ben piantati per terra.


Documentazione  fondamentale:
-Luigi Fossati: P. Giovanni Piamarta. Documenti e testimonianze, Queriniana, Brescia, 1972-1984.
Opera monumentale in quattro volumi per un complesso di 1854 pagine.

-Lettere di P .Giovanni Piamarta e dei suoi corrispondenti, a cura di Antonio Fappani, pp 924, Queriniana, Brescia 1994

Per una presentazione sintetica:
-Franco Molinari, Giovanni Piamarta tutto per i giovani, Queriniana, Brescia 1986
-Pier Giordano Cabra, Piamarta, Queriniana, Brescia 1997
-Icilio Felici, Volo tra le fiamme, Queriniana, Brescia 1951

Per una prima conoscenza
-Giovanni Barra, P.Giovanni Piamarta, “don Argento vivo”, Queriniana Brescia 1973.pp 70
-Primo incontro con Padre Piamarta, Queriniana, Brescia, 2011

Per la spiritualità -Quaderni del Centro Piamartino di Spiritualità

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