da "i pensieri di padre Piamarta"
Non è la cosa più facile formare un cristiano. Dirlo è facile, riuscirci a formarlo è più difficile. Ed è qui che ti voglio! C'è chi dice che il fanciullo è una cosa tenera, fragile, facilissima a viziarsi, e che quindi ha bisogno di protezione e di continua correzione. Sì, è bello, è vezzoso il vostro figlio, ma sotto questi vezzi si nasconde un cuore di indole cattiva e contaminata. Lo dice la Bibbia: «Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum» (Ecco sono stato generato nel peccato). Ed ancora: «il senso e le propensioni del cuore umano traboccano di male fin dall' adolescenza». S. Basilio afferma che il fanciullo con le sue voglie sfrenate e irragionevoli, con la sua temerità, con la sua superbia e il suo spirito di vendetta, ci mostra fin dalle fasce la malignità dei suoi umori ed esige quindi la mano medica di un buon educatore che lo corregga.
Il fanciullo, che è un uomo in potenza, rassomiglia alla terra di cui è impastato. Come la terra, dopo la maledizione di Dio, altro non genera che bronchi e spine e solo a forza di sudore e ferro si ottiene da lei il buon seme che poi arriva alla maturità, così il cuore dell'uomo abbandonato a se stesso non germoglia che vizio e tristezza. Se desiderate, quindi, vedere frutti di bontà e frutti di bene, non avete altra soluzione che usare ferro e lavoro e sofferenza.
Castigare il figlio ancora in tenera età? Ohibò, non ne abbiamo il coraggio e non siamo disumani. Il castigo in quest' età ci pare durezza! Ecco la risposta: «E vorreste domarli quando saranno adulti, quando, cioè, saranno già cresciuti e disordinati e sbagliati?». Il piccolo arboscello si piega solo quando è ancora tenero; il cavallo si doma quando è ancora puledro. Se l'albero è adulto, piegandolo, si rompe, e il cavallo non si lascia domare, ma uccidere.
Qui sta il vero amore. Qualche lacrima sgorgata da fanciulli risparmierà ad essi più tardi, fiumi di lacrime, e a voi, crepacuore, affanni, angosce, e desolazioni senza fine.
La punizione deve essere proporzionata alla qualità della colpa e alla qualità del colpevole, cioè all'età, allo stato fisico e morale del figliuolo. Quello che può giovare ad uno, può nuocere ad un' altro.
Uno di questi infelici figli, nel fondo di una prigione disse così al sacerdote: «Sì, sono qui ma la colpa è del mio padre e della mia madre. Me le davano sempre vinte e in più mi lasciavano fare sempre quello che volevo e sono finito qui in galera. Questa catena spetterebbe più a loro che a me». E notate che questo giovane era di buona nascita e apparteneva ad un famiglia di egregia riputazione.
Non dite: «non castigo il mio figlio per non perdere il suo amore e la sua confidenza». Anche l'ammalato, non solo non impreca contro il medico che l'ha guarito con una dolorosa operazione, ma lo benedice. Anch'io da piccolo, mi sdegnavo contro mia madre, perché era severa a causa dei miei capricci che facevo per non mangiare il cibo. Dopo, ho capito il bene che mi ha fatto educandomi così.
«E tu che ne dici?». Dico che sarà con il sudore e con il ferro dell' aratro che quel campicello continuerà a dare frutti buonissimi. Se non lo si lavora, apparirà un'ispida selva di cardi, di spine malefiche e un rigoglio di ortiche... Ebbene, come bisogna dar mano ad una vanga, così bisogna trattare il carattere dei figli perché nel loro cuore non nascano selve di erbacce.
Osservate come agisce chi ha un puledro da domare. Vi monta sopra, lo liscia e lo accarezza e lo chiama per nome, poi dà un piccolo strappo di briglia e lo lascia andare. Se appena montato sul puledro, voi vedeste il cavaliere agitarsi direste: «ha più bisogno il cavaliere che il cavallo di essere domato». Bisogna usare, cioè, moderazione e prudenza con i figli. I genitori non hanno il potere assoluto sui figli, ma quanto fanno lo devono fare per il loro bene. Debbono guardarsi da ogni impeto di passione. Un rimprovero e un castigo troppo severi dati con passione, fuori tempo e luogo, nuoce tanto a chi lo dà come a chi lo riceve. A quello perché gli fa perdere la forza morale, a questi perché inasprisce la piaga invece che curarla.
Non è la cosa più facile formare un cristiano. Dirlo è facile, riuscirci a formarlo è più difficile. Ed è qui che ti voglio! C'è chi dice che il fanciullo è una cosa tenera, fragile, facilissima a viziarsi, e che quindi ha bisogno di protezione e di continua correzione. Sì, è bello, è vezzoso il vostro figlio, ma sotto questi vezzi si nasconde un cuore di indole cattiva e contaminata. Lo dice la Bibbia: «Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum» (Ecco sono stato generato nel peccato). Ed ancora: «il senso e le propensioni del cuore umano traboccano di male fin dall' adolescenza». S. Basilio afferma che il fanciullo con le sue voglie sfrenate e irragionevoli, con la sua temerità, con la sua superbia e il suo spirito di vendetta, ci mostra fin dalle fasce la malignità dei suoi umori ed esige quindi la mano medica di un buon educatore che lo corregga.
Il fanciullo, che è un uomo in potenza, rassomiglia alla terra di cui è impastato. Come la terra, dopo la maledizione di Dio, altro non genera che bronchi e spine e solo a forza di sudore e ferro si ottiene da lei il buon seme che poi arriva alla maturità, così il cuore dell'uomo abbandonato a se stesso non germoglia che vizio e tristezza. Se desiderate, quindi, vedere frutti di bontà e frutti di bene, non avete altra soluzione che usare ferro e lavoro e sofferenza.
Castigare il figlio ancora in tenera età? Ohibò, non ne abbiamo il coraggio e non siamo disumani. Il castigo in quest' età ci pare durezza! Ecco la risposta: «E vorreste domarli quando saranno adulti, quando, cioè, saranno già cresciuti e disordinati e sbagliati?». Il piccolo arboscello si piega solo quando è ancora tenero; il cavallo si doma quando è ancora puledro. Se l'albero è adulto, piegandolo, si rompe, e il cavallo non si lascia domare, ma uccidere.
Qui sta il vero amore. Qualche lacrima sgorgata da fanciulli risparmierà ad essi più tardi, fiumi di lacrime, e a voi, crepacuore, affanni, angosce, e desolazioni senza fine.
La punizione deve essere proporzionata alla qualità della colpa e alla qualità del colpevole, cioè all'età, allo stato fisico e morale del figliuolo. Quello che può giovare ad uno, può nuocere ad un' altro.
Uno di questi infelici figli, nel fondo di una prigione disse così al sacerdote: «Sì, sono qui ma la colpa è del mio padre e della mia madre. Me le davano sempre vinte e in più mi lasciavano fare sempre quello che volevo e sono finito qui in galera. Questa catena spetterebbe più a loro che a me». E notate che questo giovane era di buona nascita e apparteneva ad un famiglia di egregia riputazione.
Non dite: «non castigo il mio figlio per non perdere il suo amore e la sua confidenza». Anche l'ammalato, non solo non impreca contro il medico che l'ha guarito con una dolorosa operazione, ma lo benedice. Anch'io da piccolo, mi sdegnavo contro mia madre, perché era severa a causa dei miei capricci che facevo per non mangiare il cibo. Dopo, ho capito il bene che mi ha fatto educandomi così.
«E tu che ne dici?». Dico che sarà con il sudore e con il ferro dell' aratro che quel campicello continuerà a dare frutti buonissimi. Se non lo si lavora, apparirà un'ispida selva di cardi, di spine malefiche e un rigoglio di ortiche... Ebbene, come bisogna dar mano ad una vanga, così bisogna trattare il carattere dei figli perché nel loro cuore non nascano selve di erbacce.
Osservate come agisce chi ha un puledro da domare. Vi monta sopra, lo liscia e lo accarezza e lo chiama per nome, poi dà un piccolo strappo di briglia e lo lascia andare. Se appena montato sul puledro, voi vedeste il cavaliere agitarsi direste: «ha più bisogno il cavaliere che il cavallo di essere domato». Bisogna usare, cioè, moderazione e prudenza con i figli. I genitori non hanno il potere assoluto sui figli, ma quanto fanno lo devono fare per il loro bene. Debbono guardarsi da ogni impeto di passione. Un rimprovero e un castigo troppo severi dati con passione, fuori tempo e luogo, nuoce tanto a chi lo dà come a chi lo riceve. A quello perché gli fa perdere la forza morale, a questi perché inasprisce la piaga invece che curarla.
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