“(P. Piamarta) ci parlava dei giovani ch’erano andati crescendo di numero, dei vecchi usciti da tempo, divenuti capi-officina, ottimi operai, padri di famiglia; del ricordo che conservavano per l’istituto, delle lettere che scrivevano. E non taceva dei pochi che s’erano presto dimenticati di tutto e avevano mutato bandiera e non si erano fatti più vivi. Quanto strazio in quelle parole! Egli li ricordava tutti e forse pensava, sperava in un giorno non lontano nel quale sarebbero tornati, avrebbero scritto ancora, si sarebbero ricordati di un’educazione ch’era stata intesa a premunirli contro i pericoli della società.
No! La fama di sacerdote dal cuore grande, ardente, pio che l’aveva circondato, non era né falsa, né esagerata: noi sentivamo in quel momento di doverla credere ancora troppo piccola di fronte alla realtà”.
E’ uno stralcio della commemorazione fatta da La voce del popolo,una settimana dopo la scomparsa di P. Piamarta, che testimonia come dalla sua passione educativa, con i suoi successi e insuccessi, emergesse la sua santità.
Alcune pagine del suo “diario” possono aiutare ad entrare nella sua prospettiva spirituale che vede nell’azione educativa non solo un’attività nei confronti degli altri, ma un’attività nei confronti di se stessi e della propria crescita spirituale.
1. Il primo obiettivo dell’educazione sta nel conquistare i cuori. Ma ciò esige il dominio di sé, della pratica delle mitezza:“Beati i miti, perché possiederanno la terra”. “Oggi non sono contento di me. Ho dovuto riunire i ragazzi e fare un solenne richiamo per un furto avvenuto a danno di uno di loro. Non avendo trovato il responsabile, di fronte all’impressione di omertà, mi sono alterato, ho alzato la voce e ho minacciato castighi, con eccessiva severità. Non posso tollerare che avvengano queste cose, ma non posso tollerare neppure che io perda la pazienza in questo modo, col pericolo di perdere anche la fiducia dei miei ragazzi.
Beati i miti
Vivere a contatto con i ragazzi è una continua provocazione, specie in certi momenti, quando danno proprio l’impressione di voler fare il contrario di quello che dovrebbero fare. In questi momenti si corre il rischio di diventare pessimisti, di vedere solo i loro lati negativi, di considerarli irriducibili, di pensare che si stia perdendo il tempo con loro. Per fortuna ci sono altri momenti dove manifestano il loro volto positivo, che incoraggia e consola. Sempre occorre ricordare che l’educazione è una questione di cuore, dal momento che si riesce ad incidere nella misura in cui si conquista il loro cuore.
“Beati i miti, perché possiederanno la terra”, ha detto il Signore. Beati coloro che sono miti perché possederanno i cuori, che sono la terra su cui siamo chiamati a seminare. Possedere il cuore dei giovani è il punto più alto dell’ educazione, perché essi possono dimenticare molte cose, ma non dimenticheranno mai la bontà illuminata, che conquista. Il mite non deve convincere il giovane che quello che sta facendo ‘lo fa per il suo bene’, perché lo dimostra con il cuore.
Il mio San Francesco di Sales scriveva che “la mitezza è l’amorevole simpatia verso ognuno nelle sue condizioni particolari, nelle sue debolezze e nelle sue necessità quotidiane”.
Per essere buoni educatori non basta esigere che un ragazzo compia il suo dovere, ma dobbiamo comprendere il momento che sta passando e le domande che vorrebbe fare.
Certe ribellioni vengono da bisogni non compresi e non soddisfatti.
Amare, amare, amare..
“Amare, amare, amare” scrive Alessandro Manzoni. Chi ama è paziente, non si lascia amareggiare da qualche risposta impropria, tiene presente il carattere e l’età del ragazzo. Ma come è difficile avere attenzione per tutti e per ciascuno, senza fare differenze e senza correre il rischio di curare il proprio gruppetto di “simpatici”.
Penso che il formarsi un cuore mite, comprensivo e amabile verso tutti, sia non solo un obiettivo del buon educatore, ma anche un mezzo di santificazione personale.
L’educatore si santifica quando è fermo nelle mete da raggiungere e paziente e comprensivo nei mezzi, quando richiede prima a sé quello che domanda agli altri, quando non esige tutto e subito ma sa rispettare i tempi di maturazione, quando cerca di comprendere quello che lo Spirito opera in quella persona, quando non si lascia dominare dalla passione.
Una parola consolante
Proprio oggi il Signore mi ha consolato, facendomi incontrare queste parole di un Padre della Chiesa: “Il Signore non dichiara beati quelli la cui vita è immune da passioni. Il Signore non condanna quelli che soccombono accidentalmente alle passioni, ma chi le coltiva deliberatamente.
E’ connaturale alla nostra debolezza veder sorgere in sé degli impulsi senza volerlo. Felici coloro che non cedono facilmente agli impulsi della passione, ma sanno dominarli” (Gregorio di Nissa).Mi accorgo che devo ripetere più frequentemente: “Gesù mite e umile di Cuore, fa il mio cuore simile al tuo”, perché grazie alla tua mitezza, io possa possedere il cuore dei miei ragazzi per farli crescere secondo i loro talenti e come vuoi Tu”( 23. CONQUISTARE I CUORI)
2. Per educare bisogna crescere nella pazienza e nella fiducia dell’azione di Dio
“Ieri è salito da me un giovane collaboratore, un chierico molto impegnato nell’educazione, alquanto demoralizzato per il comportamento di alcuni suoi ragazzi. Era talmente deluso che voleva gettare la spugna. Tutto gli sembrava inutile. Mi pareva immerso in un mare di amarezza e di sfiducia nella sua e nostra azione educativa. L’ho lasciato parlare a lungo, partecipando alla sua afflizione, che anch’io ho conosciuto.
Poi, sempre facendo tesoro dell’esperienza, gli ho ricordato che i suoi sentimenti erano degni di ammirazione, perché dettati dall’amore. Infatti chi ama si preoccupa, si affligge: "Piangete, amanti, poi che piange Amore", diceva Dante.
Chi non ama a fondo i giovani, non soffre per la loro situazione. Ma chi non sa soffrire, non sa neppure gioire con loro e per loro.
Beati gli afflitti
Questa preoccupazione è buona e gradita a Dio: è cosa buona essere preoccupati e rattristati per la palude che trattiene i giovani. E’ cosa buona soffrire per l’imbarbarimento dei costumi. E’ giusto indignarsi per i cattivi esempi, per le nuove forme di male presentate in forma attraente o come cosa naturale o come comportamento normale.
E’ buono e giusto tentare di reagire, convinti che il progresso non può avvenire solo nel male.
La gioventù, che tutti invidiano, in realtà è l’età più povera, soprattutto perché sovente influenzata dagli esempi facili e devastanti degli adulti.
Se è vero che “bisogna passare per molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio”, è anche vero che chi le affronta con coraggio può dire con San Paolo:“Sovrabbondo di gioia in mezzo alle mie tribolazioni”.
Infatti anche per gli educatori il Signore dice: “Beati gli afflitti perché saranno consolati”
Non vi affannate
C’è anche il detto del Signore: “Non vi affannate”. Non lasciatevi prendere dall’ansia, perdendo la speranza, diventando dimissionari e catastrofici. Un educatore apprensivo non favorisce la trasmissione delle mete positive. Il vangelo è buona notizia perché dice che Dio è presente anche in questa situazione e potrebbe chiederci la sofferta fedeltà alla nostra missione, quale contributo alla loro salvezza. Dio opera silenziosamente: le sue vie non sono le nostre, i suoi tempi non sono i nostri. Occorre fiducia in quest’opera nascosta e silenziosa di Dio. E’ Lui che volge al bene la nostra sofferta preoccupazione, rovesciando le cose. E’ necessario aver fiducia nella forza ‘redentrice’ di questa nostra sofferenza: essa piace a Dio. E’ bene dunque preoccuparsi, ma senza affanno, senza perdere la fiducia nella sua fecondità.
Parlare a Dio
Se è necessario parlare di Dio ai nostri ragazzi, è ancor più necessario parlare a Dio di loro. Pregare per i nostri giovani, con la fiducia di Santa. Monica, alla quale era stato assicurato che: ”è impossibile che si perda un figlio di tante lacrime...” Pregare e poi lasciar fare al Signore: preoccuparsi senza perdere la fiducia nella sua potenza perché e’ Lui che consolerà, che troverà soluzioni, che porterà a maturazione e utilizzerà.
“E tu - ho concluso al mio giovane promettente collaboratore – tu devi imparare a superare questo momento, anche per essere in grado di educare con efficacia i tuoi ragazzi a superare le delusioni che li attendono. Bisogna saper trarre una lezione da ogni sconfitta per aiutare gli altri a non lasciarsi piegare dalla sorte avversa. Mostrati forte, non farti vedere deluso, non abbatterti. Insegnerai con l’esempio che si possono affrontare tutti i guai.
Dio infatti ci consola nelle nostre tribolazioni, perché anche noi possiamo consolare i tribolati”.
(25. DELUSIONI E CONSOLAZIONI)
3.Una educazione vera sa additare le mete, esigendo molta fortezza interiore.
“Mi è stato detto, e più di una volta, che sono un uomo forte. Avverto che lo dicono ora con intento elogiativo per la mia tenacia nel perseguire gli obiettivi, ora con un non troppo velato rimprovero, alludendo al mio carattere considerato inflessibile.
Sapessero quante volte invoco il dono della fortezza per affrontare i problemi quotidiani! Prego per ottenere la costanza e la perseveranza nella missione affidatami, e prego anche per non lasciarmi travolgere dagli eventi. Ogni giorno chiedo umilmente al Signore di poter dire con San Paolo: “Tutto posso in Colui che mi da forza”! Perché “mia forza e mio canto, sei Tu Signore”. La missione dell’ educazione la sento superiore alle mie povere forze umane. Se è vero che l’educazione deve arrivare al cuore e da qui ripartire e se è vero che solo Dio può toccare il cuore, allora è necessario chiedere quel supplemento di aiuto che permette di varcare le soglie del cuore dei nostri ragazzi
Forti nella prova
Prego anche di saper educare i miei giovani alla fortezza, una virtù spesso latitante e fraintesa. Non è fortezza il pretendere di vincere sempre, ma l‘allenarsi ad accettare serenamente gli alti e bassi delle vicende umane, dove non ci sono solo risultati positivi, ma anche i negativi. Se è da forti accettare la competizione, è da fortissimi il saper riconoscere i propri limiti. Non è da forti “piangersi addosso”, per un insuccesso, ma ripartire con realismo e fiducia. “Come si vince a Waterloo”, o “come far tesoro dei propri limiti”, “o come amministrare bene i propri talenti”: sono tutte espressioni di vera fortezza.
A noi non è richiesto di aver sempre successo, ma di far fruttare al massimo i nostri talenti, che sono diversi e complementari. Sovente un insuccesso è più utile di un successo, al fine di conoscere se stessi e stimarsi per quello che veramente si è.
Forti nella fede
Come mi fanno pena i lamentosi e quelli che incolpano sempre gli altri delle proprie disavventure, così mi sento in dovere di scuotere quelli che non hanno il coraggio della propria fede: Trascrivo qui alcuni appunti di predicazione ai miei ragazzi: “Noi cristiani non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio” (1 Cor 2,12). E lo Spirito di Dio ci aiuta a contrastare ciò che piace al mondo. Ecco le massime del mondo che sono agli antipodi di quelle di Gesù Cristo: “il perdonare a chi ci fa del male è una debolezza; moderare l’ambizione è un mancare di coraggio; la gioventù deve correre senza posa la via dei piaceri e soddisfare tutti i gusti”. Ora perché molti ,ma molti, cristiani le seguono? Perché non si ha il coraggio di andar contro corrente; si ha vergogna di rimanere soli. E allora si dice: così si vive nel mondo, bisogna operare con gli altri… Ma noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo che ci invita a non essere schiavi del mondo, a non temerlo, a “disprezzare il suo disprezzo”, a guardare avanti, perché il cristiano è l’uomo del futuro, l’uomo che pensa che il “più” è davanti a noi”.
Il mondo infatti passa e noi passiamo con esso. “Ma chi fa la volontà del Signore rimane in eterno”. Quante volte ho insistito e insisto su questo tasto: il futuro appartiene a chi ha le idee più chiare e a chi è disposto a pagare per queste idee! E le nostre idee sono basate sulle promesse di Cristo!
Una grande storia
Noi abbiamo nella storia della santità una miniera di esempi convincenti di personalità forti e affascinanti. Come erano attenti i miei ragazzi quando narravo gli episodi di eroismo dei martiri, i viaggi e il coraggio di San Paolo, le imprese di Francesco Saverio, l’amore a Cristo di Francesco d’Assisi, la conversione e la sapienza di Agostino. E’ una grande storia da conoscere, da narrare, da far rivivere nell’oggi, da continuare. Come si arricchirebbe anche l’umanità dei nostri ragazzi, così poveri di modelli positivi.
(28. PIU’ CORAGGIO)
4. Comprendere per educare. Pazientare per ottenere frutti, a suo tempo. Essere misericordiosi.
“Ho tra le mani la lettera di un ragazzo, che avevo minacciato di sospendere dall’Istituto, nella quale, tra l’altro, scrive: “Le scrivo per poter riparare al dolore recatoLe colla mia mancanza. Le domando perdono, sperando che non vorrà negarlo ad un povero orfanello, che Lei raccolse in casa sua, il quale in un momento di sventatezza e di spensieratezza si è lasciato vincere da un compagno perverso, disgustando così Lei” . Questi ragazzi mi rubano il cuore. Sono birbanti, sovente frutto dell’ambiente in cui sono cresciuti … me ne combinano di tutti i colori...ma il Signore me li ha affidati così come sono, perché possano sentire un poco di affetto ed essere sicuri che nella vita potranno trovare sempre chi li comprende..
Nei momenti di conflitto circa le decisioni da prendere, quando sono combattuto tra severità e comprensione, mi vengono alla mente le parole del Signore:”Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”. Come pure mi si fanno presenti considerazioni del libro della Genesi, dove, dopo il diluvio, il Signore stringe un’alleanza gratuita, in cui non richiede nulla al partner umano, perché sa che “l’ istinto del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza ( Gen 8.21).
Una condizione di fragilità
Non solo: ma quando sono tentato di usare le maniere sbrigative, mi sforzo di pensare alla mia adolescenza, alle mie attuali difficoltà nel fare il bene, al mio bisogno di non essere frainteso. E allora come posso non essere comprensivo e misericordioso? Essere misericordiosi è una beatitudine, che rende pazienti e,alla fine. contenti.
Come non essere misericordiosi pensando alla nostra natura ferita e fragile, che proprio per questo è amata da Dio?
E come non essere contenti, quando si sa di partecipare alla stessa pazienza educatrice di Dio?
Non mi sono mai pentito infatti di aver pazientato con un ragazzo. E’ bene riflettere con umiltà che forse quel monello che sembra irriducibile, non ha ancora trovata la sua strada. Per questo raccomando ai miei collaboratori di invocare frequentemente lo Spirito, perché, grazie al dono del Consiglio, si possa essere misericordiosi, senza venir meno alla missione di educare. La nostra grande concittadina, San’Angela Merici, non diceva forse che nell’educazione è necessario sintonizzarsi sull’azione dello Spirito Santo che opera in ogni persona?
Partire dal positivo
E’ più efficace partire dal positivo presente in un giovane, piuttosto che sottolineare con rimbrotti il negativo. Saper incoraggiare prima, di reprimere o correggere. Saper individuare le doti da sviluppare più che richiamare per le mancanze. Il ragazzo va aiutato soprattutto a scoprire le capacità che non pensa di avere, perché acquisti fiducia nelle sue possibilità reali, spesso diverse da quelle sognate.
Educare alla misericordia
Quando spingo i giovani a impegnarsi per essere tra i primi nel loro mestiere, aggiungo anche di non cadere nella trappola della competizione selvaggia e senza misericordia, dove il fine di primeggiare giustifica i mezzi più sleali, spesso a danno dei più deboli. Beato colui che ha cura del debole: il Signore lo libererà nel giorno della sventura!
Signore, aiutami ad educare i miei ragazzi alla comprensione, alla solidarietà, alla misericordia!
(29. MOLTA MISERICORDIA)
Conclusione
Sono solo alcuni tratti di una vita che si santifica nell’azione educativa, così come li sentiva Padre Piamarta. Un discorso meno frammentario e più articolato, potrebbe essere quello più completo delle “Beatitudini dell’educatore”, che permette di mettere in evidenza altri atteggiamenti evangelici. Le Beatitudini infatti dicono come piacere a Dio nelle situazioni più ingarbugliate. E, coi tempi che corrono, le situazioni ingarbugliate non mancano. Ma è vivendo il Vangelo dentro di esse che ci si santifica. E’ una riflessione che va ripresa, proprio a partire dall’esperienza di P. Piamarta.
P. Pier Giordano Cabra
No! La fama di sacerdote dal cuore grande, ardente, pio che l’aveva circondato, non era né falsa, né esagerata: noi sentivamo in quel momento di doverla credere ancora troppo piccola di fronte alla realtà”.
E’ uno stralcio della commemorazione fatta da La voce del popolo,una settimana dopo la scomparsa di P. Piamarta, che testimonia come dalla sua passione educativa, con i suoi successi e insuccessi, emergesse la sua santità.
Alcune pagine del suo “diario” possono aiutare ad entrare nella sua prospettiva spirituale che vede nell’azione educativa non solo un’attività nei confronti degli altri, ma un’attività nei confronti di se stessi e della propria crescita spirituale.
1. Il primo obiettivo dell’educazione sta nel conquistare i cuori. Ma ciò esige il dominio di sé, della pratica delle mitezza:“Beati i miti, perché possiederanno la terra”. “Oggi non sono contento di me. Ho dovuto riunire i ragazzi e fare un solenne richiamo per un furto avvenuto a danno di uno di loro. Non avendo trovato il responsabile, di fronte all’impressione di omertà, mi sono alterato, ho alzato la voce e ho minacciato castighi, con eccessiva severità. Non posso tollerare che avvengano queste cose, ma non posso tollerare neppure che io perda la pazienza in questo modo, col pericolo di perdere anche la fiducia dei miei ragazzi.
Beati i miti
Vivere a contatto con i ragazzi è una continua provocazione, specie in certi momenti, quando danno proprio l’impressione di voler fare il contrario di quello che dovrebbero fare. In questi momenti si corre il rischio di diventare pessimisti, di vedere solo i loro lati negativi, di considerarli irriducibili, di pensare che si stia perdendo il tempo con loro. Per fortuna ci sono altri momenti dove manifestano il loro volto positivo, che incoraggia e consola. Sempre occorre ricordare che l’educazione è una questione di cuore, dal momento che si riesce ad incidere nella misura in cui si conquista il loro cuore.
“Beati i miti, perché possiederanno la terra”, ha detto il Signore. Beati coloro che sono miti perché possederanno i cuori, che sono la terra su cui siamo chiamati a seminare. Possedere il cuore dei giovani è il punto più alto dell’ educazione, perché essi possono dimenticare molte cose, ma non dimenticheranno mai la bontà illuminata, che conquista. Il mite non deve convincere il giovane che quello che sta facendo ‘lo fa per il suo bene’, perché lo dimostra con il cuore.
Il mio San Francesco di Sales scriveva che “la mitezza è l’amorevole simpatia verso ognuno nelle sue condizioni particolari, nelle sue debolezze e nelle sue necessità quotidiane”.
Per essere buoni educatori non basta esigere che un ragazzo compia il suo dovere, ma dobbiamo comprendere il momento che sta passando e le domande che vorrebbe fare.
Certe ribellioni vengono da bisogni non compresi e non soddisfatti.
Amare, amare, amare..
“Amare, amare, amare” scrive Alessandro Manzoni. Chi ama è paziente, non si lascia amareggiare da qualche risposta impropria, tiene presente il carattere e l’età del ragazzo. Ma come è difficile avere attenzione per tutti e per ciascuno, senza fare differenze e senza correre il rischio di curare il proprio gruppetto di “simpatici”.
Penso che il formarsi un cuore mite, comprensivo e amabile verso tutti, sia non solo un obiettivo del buon educatore, ma anche un mezzo di santificazione personale.
L’educatore si santifica quando è fermo nelle mete da raggiungere e paziente e comprensivo nei mezzi, quando richiede prima a sé quello che domanda agli altri, quando non esige tutto e subito ma sa rispettare i tempi di maturazione, quando cerca di comprendere quello che lo Spirito opera in quella persona, quando non si lascia dominare dalla passione.
Una parola consolante
Proprio oggi il Signore mi ha consolato, facendomi incontrare queste parole di un Padre della Chiesa: “Il Signore non dichiara beati quelli la cui vita è immune da passioni. Il Signore non condanna quelli che soccombono accidentalmente alle passioni, ma chi le coltiva deliberatamente.
E’ connaturale alla nostra debolezza veder sorgere in sé degli impulsi senza volerlo. Felici coloro che non cedono facilmente agli impulsi della passione, ma sanno dominarli” (Gregorio di Nissa).Mi accorgo che devo ripetere più frequentemente: “Gesù mite e umile di Cuore, fa il mio cuore simile al tuo”, perché grazie alla tua mitezza, io possa possedere il cuore dei miei ragazzi per farli crescere secondo i loro talenti e come vuoi Tu”( 23. CONQUISTARE I CUORI)
2. Per educare bisogna crescere nella pazienza e nella fiducia dell’azione di Dio
“Ieri è salito da me un giovane collaboratore, un chierico molto impegnato nell’educazione, alquanto demoralizzato per il comportamento di alcuni suoi ragazzi. Era talmente deluso che voleva gettare la spugna. Tutto gli sembrava inutile. Mi pareva immerso in un mare di amarezza e di sfiducia nella sua e nostra azione educativa. L’ho lasciato parlare a lungo, partecipando alla sua afflizione, che anch’io ho conosciuto.
Poi, sempre facendo tesoro dell’esperienza, gli ho ricordato che i suoi sentimenti erano degni di ammirazione, perché dettati dall’amore. Infatti chi ama si preoccupa, si affligge: "Piangete, amanti, poi che piange Amore", diceva Dante.
Chi non ama a fondo i giovani, non soffre per la loro situazione. Ma chi non sa soffrire, non sa neppure gioire con loro e per loro.
Beati gli afflitti
Questa preoccupazione è buona e gradita a Dio: è cosa buona essere preoccupati e rattristati per la palude che trattiene i giovani. E’ cosa buona soffrire per l’imbarbarimento dei costumi. E’ giusto indignarsi per i cattivi esempi, per le nuove forme di male presentate in forma attraente o come cosa naturale o come comportamento normale.
E’ buono e giusto tentare di reagire, convinti che il progresso non può avvenire solo nel male.
La gioventù, che tutti invidiano, in realtà è l’età più povera, soprattutto perché sovente influenzata dagli esempi facili e devastanti degli adulti.
Se è vero che “bisogna passare per molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio”, è anche vero che chi le affronta con coraggio può dire con San Paolo:“Sovrabbondo di gioia in mezzo alle mie tribolazioni”.
Infatti anche per gli educatori il Signore dice: “Beati gli afflitti perché saranno consolati”
Non vi affannate
C’è anche il detto del Signore: “Non vi affannate”. Non lasciatevi prendere dall’ansia, perdendo la speranza, diventando dimissionari e catastrofici. Un educatore apprensivo non favorisce la trasmissione delle mete positive. Il vangelo è buona notizia perché dice che Dio è presente anche in questa situazione e potrebbe chiederci la sofferta fedeltà alla nostra missione, quale contributo alla loro salvezza. Dio opera silenziosamente: le sue vie non sono le nostre, i suoi tempi non sono i nostri. Occorre fiducia in quest’opera nascosta e silenziosa di Dio. E’ Lui che volge al bene la nostra sofferta preoccupazione, rovesciando le cose. E’ necessario aver fiducia nella forza ‘redentrice’ di questa nostra sofferenza: essa piace a Dio. E’ bene dunque preoccuparsi, ma senza affanno, senza perdere la fiducia nella sua fecondità.
Parlare a Dio
Se è necessario parlare di Dio ai nostri ragazzi, è ancor più necessario parlare a Dio di loro. Pregare per i nostri giovani, con la fiducia di Santa. Monica, alla quale era stato assicurato che: ”è impossibile che si perda un figlio di tante lacrime...” Pregare e poi lasciar fare al Signore: preoccuparsi senza perdere la fiducia nella sua potenza perché e’ Lui che consolerà, che troverà soluzioni, che porterà a maturazione e utilizzerà.
“E tu - ho concluso al mio giovane promettente collaboratore – tu devi imparare a superare questo momento, anche per essere in grado di educare con efficacia i tuoi ragazzi a superare le delusioni che li attendono. Bisogna saper trarre una lezione da ogni sconfitta per aiutare gli altri a non lasciarsi piegare dalla sorte avversa. Mostrati forte, non farti vedere deluso, non abbatterti. Insegnerai con l’esempio che si possono affrontare tutti i guai.
Dio infatti ci consola nelle nostre tribolazioni, perché anche noi possiamo consolare i tribolati”.
(25. DELUSIONI E CONSOLAZIONI)
3.Una educazione vera sa additare le mete, esigendo molta fortezza interiore.
“Mi è stato detto, e più di una volta, che sono un uomo forte. Avverto che lo dicono ora con intento elogiativo per la mia tenacia nel perseguire gli obiettivi, ora con un non troppo velato rimprovero, alludendo al mio carattere considerato inflessibile.
Sapessero quante volte invoco il dono della fortezza per affrontare i problemi quotidiani! Prego per ottenere la costanza e la perseveranza nella missione affidatami, e prego anche per non lasciarmi travolgere dagli eventi. Ogni giorno chiedo umilmente al Signore di poter dire con San Paolo: “Tutto posso in Colui che mi da forza”! Perché “mia forza e mio canto, sei Tu Signore”. La missione dell’ educazione la sento superiore alle mie povere forze umane. Se è vero che l’educazione deve arrivare al cuore e da qui ripartire e se è vero che solo Dio può toccare il cuore, allora è necessario chiedere quel supplemento di aiuto che permette di varcare le soglie del cuore dei nostri ragazzi
Forti nella prova
Prego anche di saper educare i miei giovani alla fortezza, una virtù spesso latitante e fraintesa. Non è fortezza il pretendere di vincere sempre, ma l‘allenarsi ad accettare serenamente gli alti e bassi delle vicende umane, dove non ci sono solo risultati positivi, ma anche i negativi. Se è da forti accettare la competizione, è da fortissimi il saper riconoscere i propri limiti. Non è da forti “piangersi addosso”, per un insuccesso, ma ripartire con realismo e fiducia. “Come si vince a Waterloo”, o “come far tesoro dei propri limiti”, “o come amministrare bene i propri talenti”: sono tutte espressioni di vera fortezza.
A noi non è richiesto di aver sempre successo, ma di far fruttare al massimo i nostri talenti, che sono diversi e complementari. Sovente un insuccesso è più utile di un successo, al fine di conoscere se stessi e stimarsi per quello che veramente si è.
Forti nella fede
Come mi fanno pena i lamentosi e quelli che incolpano sempre gli altri delle proprie disavventure, così mi sento in dovere di scuotere quelli che non hanno il coraggio della propria fede: Trascrivo qui alcuni appunti di predicazione ai miei ragazzi: “Noi cristiani non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio” (1 Cor 2,12). E lo Spirito di Dio ci aiuta a contrastare ciò che piace al mondo. Ecco le massime del mondo che sono agli antipodi di quelle di Gesù Cristo: “il perdonare a chi ci fa del male è una debolezza; moderare l’ambizione è un mancare di coraggio; la gioventù deve correre senza posa la via dei piaceri e soddisfare tutti i gusti”. Ora perché molti ,ma molti, cristiani le seguono? Perché non si ha il coraggio di andar contro corrente; si ha vergogna di rimanere soli. E allora si dice: così si vive nel mondo, bisogna operare con gli altri… Ma noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo che ci invita a non essere schiavi del mondo, a non temerlo, a “disprezzare il suo disprezzo”, a guardare avanti, perché il cristiano è l’uomo del futuro, l’uomo che pensa che il “più” è davanti a noi”.
Il mondo infatti passa e noi passiamo con esso. “Ma chi fa la volontà del Signore rimane in eterno”. Quante volte ho insistito e insisto su questo tasto: il futuro appartiene a chi ha le idee più chiare e a chi è disposto a pagare per queste idee! E le nostre idee sono basate sulle promesse di Cristo!
Una grande storia
Noi abbiamo nella storia della santità una miniera di esempi convincenti di personalità forti e affascinanti. Come erano attenti i miei ragazzi quando narravo gli episodi di eroismo dei martiri, i viaggi e il coraggio di San Paolo, le imprese di Francesco Saverio, l’amore a Cristo di Francesco d’Assisi, la conversione e la sapienza di Agostino. E’ una grande storia da conoscere, da narrare, da far rivivere nell’oggi, da continuare. Come si arricchirebbe anche l’umanità dei nostri ragazzi, così poveri di modelli positivi.
(28. PIU’ CORAGGIO)
4. Comprendere per educare. Pazientare per ottenere frutti, a suo tempo. Essere misericordiosi.
“Ho tra le mani la lettera di un ragazzo, che avevo minacciato di sospendere dall’Istituto, nella quale, tra l’altro, scrive: “Le scrivo per poter riparare al dolore recatoLe colla mia mancanza. Le domando perdono, sperando che non vorrà negarlo ad un povero orfanello, che Lei raccolse in casa sua, il quale in un momento di sventatezza e di spensieratezza si è lasciato vincere da un compagno perverso, disgustando così Lei” . Questi ragazzi mi rubano il cuore. Sono birbanti, sovente frutto dell’ambiente in cui sono cresciuti … me ne combinano di tutti i colori...ma il Signore me li ha affidati così come sono, perché possano sentire un poco di affetto ed essere sicuri che nella vita potranno trovare sempre chi li comprende..
Nei momenti di conflitto circa le decisioni da prendere, quando sono combattuto tra severità e comprensione, mi vengono alla mente le parole del Signore:”Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”. Come pure mi si fanno presenti considerazioni del libro della Genesi, dove, dopo il diluvio, il Signore stringe un’alleanza gratuita, in cui non richiede nulla al partner umano, perché sa che “l’ istinto del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza ( Gen 8.21).
Una condizione di fragilità
Non solo: ma quando sono tentato di usare le maniere sbrigative, mi sforzo di pensare alla mia adolescenza, alle mie attuali difficoltà nel fare il bene, al mio bisogno di non essere frainteso. E allora come posso non essere comprensivo e misericordioso? Essere misericordiosi è una beatitudine, che rende pazienti e,alla fine. contenti.
Come non essere misericordiosi pensando alla nostra natura ferita e fragile, che proprio per questo è amata da Dio?
E come non essere contenti, quando si sa di partecipare alla stessa pazienza educatrice di Dio?
Non mi sono mai pentito infatti di aver pazientato con un ragazzo. E’ bene riflettere con umiltà che forse quel monello che sembra irriducibile, non ha ancora trovata la sua strada. Per questo raccomando ai miei collaboratori di invocare frequentemente lo Spirito, perché, grazie al dono del Consiglio, si possa essere misericordiosi, senza venir meno alla missione di educare. La nostra grande concittadina, San’Angela Merici, non diceva forse che nell’educazione è necessario sintonizzarsi sull’azione dello Spirito Santo che opera in ogni persona?
Partire dal positivo
E’ più efficace partire dal positivo presente in un giovane, piuttosto che sottolineare con rimbrotti il negativo. Saper incoraggiare prima, di reprimere o correggere. Saper individuare le doti da sviluppare più che richiamare per le mancanze. Il ragazzo va aiutato soprattutto a scoprire le capacità che non pensa di avere, perché acquisti fiducia nelle sue possibilità reali, spesso diverse da quelle sognate.
Educare alla misericordia
Quando spingo i giovani a impegnarsi per essere tra i primi nel loro mestiere, aggiungo anche di non cadere nella trappola della competizione selvaggia e senza misericordia, dove il fine di primeggiare giustifica i mezzi più sleali, spesso a danno dei più deboli. Beato colui che ha cura del debole: il Signore lo libererà nel giorno della sventura!
Signore, aiutami ad educare i miei ragazzi alla comprensione, alla solidarietà, alla misericordia!
(29. MOLTA MISERICORDIA)
Conclusione
Sono solo alcuni tratti di una vita che si santifica nell’azione educativa, così come li sentiva Padre Piamarta. Un discorso meno frammentario e più articolato, potrebbe essere quello più completo delle “Beatitudini dell’educatore”, che permette di mettere in evidenza altri atteggiamenti evangelici. Le Beatitudini infatti dicono come piacere a Dio nelle situazioni più ingarbugliate. E, coi tempi che corrono, le situazioni ingarbugliate non mancano. Ma è vivendo il Vangelo dentro di esse che ci si santifica. E’ una riflessione che va ripresa, proprio a partire dall’esperienza di P. Piamarta.
P. Pier Giordano Cabra
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