LA PRESENZA DELLA CONGREGAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH NEL MONDO

sabato 1 settembre 2012

65 - PADRE PIAMARTA AGLI ARTISTI BRESCIANI

Cari artisti,
benvenuti al mio Istituto Artigianelli iniziato 125 anni fa e tuttora, grazie al cielo, in buona salute. Vi dico la mia gioia di vedervi qui e vi esprimo con semplicità i motivi della mia soddisfazione:

1. Ho sempre amato l’arte, in tutte le sue espressioni:
- a partire dalla musica, alla quale sono stato avviato per la mia bella voce, che mi permetteva di essere il solista più gradito del grande coro di San Faustino.
Doveva essere una caratteristica ereditaria della mia famiglia, perché mio fratello ha girato il mondo, cantando in teatri lirici da apprezzato baritono.
In famiglia avevo anche un cugino, col quale eravamo in perfetta sintonia, Giuseppe Tebaldini, affermato musicologo, maestro di Cappella a San Marco a Venezia e a Loreto, uno dei protagonisti della riforma della musica sacra in Italia, assai stimato da Papa Pio X, oltre che da Giuseppe Verdi.
E con la musica ho educato centinaia di ragazzi, sia avviandoli al canto corale, sia attraverso la celebre banda musicale degli Artigianelli, grazie agli ottimi maestri come Pietro Corvi e Francesco Andriotti.

- E, nonostante le ristrettezze economiche, ho costruito una chiesetta “artistica”, affidandone la progettazione all’architetto Arcioni, che ne ha fatto un vero gioiello di elegante sobrietà.

- Al termine di questa auto elogiativa presentazione, devo anche confessare che c’è un aspetto dell’arte che ho dovuto ben presto abbandonare: quello d’essere un “poeta dell’economia”. Ho dovuto misurarmi con la dura prosa dell’economia del quotidiano, per salvare le alte e veramente poetiche finalità dell’opera. Ma anche la prosa non può diventare un’arte?

2. Il nome dell’Istituto Artigianelli stesso è eloquente: volevo formare, attraverso il mio Istituto, degli artisti nel loro lavoro. Questo è stato possibile finché si sono formati degli artigiani, alcuni dei quali sono diventati dei veri e propri artisti del legno e del ferro: cancellate e intagli di pregio sono usciti dai miei laboratori e impreziosiscono tuttora non poche case della città di Brescia.

3. Ai miei ragazzi inculcavo il desiderio di realizzare opere d’arte attraverso il loro lavoro. La materia, legno ferro e altro, nelle loro mani doveva prendere la parola, diventare eloquente, grazie alla bellezza della forma che si univa all’utilità dell’oggetto. Facendo amare il bello, mettevo le basi perché amassero il loro lavoro: dovevano trovare la gioia nella loro attività, la realizzazione di sé nel lavoro ben fatto, trovare anche la soddisfazione del risultato gratificante, dopo una paziente dedizione.

4. Ho sempre considerata la creatività come la partecipazione più connaturale all’opera della Creazione, che è stata affidata alle nostre mani per essere continuata, attraverso l’ordinamento armonioso dei vari elementi.
Dicevo spesso ai miei ragazzi: vi auguro al termine di ogni lavoro di poterlo guardare con gli occhi soddisfatti di Dio , che vedendo quello che aveva fatto, poteva dire che era “Cosa buona e bella”.

5. Li portavo con la mente e con il cuore anche a Nazareth, per incontrare Gesù,“il divino artigianello”, che nella bottega di Giuseppe, sudava e faticava, per insegnare che il sudore della fronte non è solo maledizione, ma anche costruzione della persona e risorsa per vivere dignitosamente. E che le cose belle non si improvvisano, né sono il frutto del “tutto e subito”: Che Gesù sia stato trent’anni nascosto a Nazareth per brillare poi per tre anni, diceva la necessità del lungo tirocinio.

6. Ho avuto sempre bisogno di bravi collaboratori che insegnassero non solo un’arte, ma anche la passione per l’arte. Un’arte che permettesse di guadagnarsi da vivere, certo, ma che non si limitasse all’aspetto economico, guardando anche all’utilità sociale di un “lavoro ben fatto”

7. Posso dirvi che questo Istituto, assieme a quella di Remedello, dove abbiamo raggiunto, P. Bonsignori ed io, anche i ragazzi della campagna, mi è costata moltissimo sotto tutti i punti di vista: sono partito povero, mi sono dedicato ai poveri contando solo sull’aiuto della Provvidenza, passando ore e giorni terribili di solitudine, di “triboli e spine”, di delusioni e di difficoltà d’ogni specie. Ma mi sentivo felice quando potevo constatare che i miei ragazzi avevano fatto della loro vita un’opera d’arte, crescendo umanamente e cristianamente, cioè “davanti agli uomini e davanti a Dio”. I miei occhi si riempivano di commozione quando constatavo che avevano non solo mani e intelletto d’artista, ma un cuore che conosceva l’arte d’amare.

8. Ma la gioia più intensa mi giungeva da coloro che erano dati per perduti o irrecuperabili. Voi qui a Brescia avete il Termovalorizzatore, che ha saputo fare di un problema una risorsa, trasformando i rifiuti in energia e ricavando energia anche da dove meno si attende. Trasformare un giovane destinato alla devianza e alla prigione in una persona degna di rispetto, “grazie al lavoro e alla pietà cristiana”, mi ha ripagato ampiamente dei miei sacrifici. Se mi chiedete come ho fatto, vi darei la stessa risposta che vi darebbe un tecnico: grazie alle temperature, applicate in modo differenziato. L’energia è già contenuta nel rifiuto, anche se il rifiuto - proprio perché tale – è sbrigativamente considerato “da buttar via”. Invece, una volta portato alla temperatura che gli è connaturale, si innesca il processo della combustione che libera l’energia nascosta.
Per me le temperature sono quelle prodotte dall’amore che non teme di sprecarsi e di sporcarsi mani e piedi e ha trattamenti specifici per ogni situazione umana.

9. Avendo lasciato ai miei successori il ricordo che “la gratitudine, deve essere la massima virtù dell’Istituto”, vi ringrazio fin d’ora di voler partecipare con la vostra arte, al mio desiderio di educare attraverso le cose belle, da vedere, da realizzare, da far amare, augurandovi un cuore tanto ricco d’amore che mai si arrenda e sempre sappia convertire in bagliori di luce anche i momenti più nebbiosi della vita.

10. Termino riferendo un mio profilo fatto da uno che mi conosceva bene: “Non ho mai visto un bresciano più bresciano di lui, nei difetti e nei pregi”, aggiungendo, bontà sua, che “i primi li metteva a servizio dei secondi”. Non sarà forse per questo che ora mi tirano fuori per farmi santo? E’ un invito a ricordarvi che sono orgoglioso di appartenere a questa terra bresciana e a questa chiesa che mi ha aiutato a mettermi con realismo al servizio dei più piccoli dei suoi figli: era ben poco quello che potevo dare, ma l’ho dato senza riserve. E il Signore, da par suo, l’ha moltiplicato.
Vi auguro un lavoro ”buono e bello”, invocando l’aiuto di Dio su voi e le vostre famiglie.
Padre Giovanni Piamarta

Brescia 9 marzo 2012
Padre Pier Giordano Cabra

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