17. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra
Ottobre 1912: fin dall’inizio
Da quando ho manifestato al mio Vescovo l’intenzione di continuare da solo l’opera iniziata e che si voleva chiudere per insufficienza di mezzi, la Provvidenza mi si è manifestata tangibilmente. Ero completamente solo, senza aiuti, e con un’opera gravata di un mutuo che mi peserà a lungo e che dovetti restituire alla Curia fino all’ultimo centesimo.
Le prime benefattrici furono due donne, Filippa Freggia e Rosa Gusmerotti,che si misero a totale disposizione del povero Istituto, servendo gratuitamente in cucina, in guardaroba, nella pulizia. nell’organizzazione, senza risparmio di tempo e di fatiche. Non solo, ma la prima ha profuso “quanto aveva in sua proprietà più che bastante per vivere convenientemente, anzi agiatamente”; la seconda ha “sempre servito senza percepire salario e donando all’Istituto qualche migliaio di lire”
Nel mio testamento ho ricordato anche le “altre persone di servizio che hanno spiegato disinteresse generoso nell’opera da esse prestata”. Quanta generosità ho constatato nella gente umile, che si privava del necessario, per aiutare i miei ragazzi, sentiti come meno fortunati di loro.
Gli strumenti della Provvidenza
Lo sviluppo dell’opera è stato segnato da interventi della Provvidenza, misteriosi e giunti al momento giusto. Per l’acquisto dello stabile dove sorgerà la Colonia agricola di Remedello, giunge il lascito della contessa Teresa Gigli. Per gli ultimi e imponenti fabbricati degli Artigianelli ha provveduto la famiglia Muzzarelli, il dottor Alberto e la sorella Marietta. La famiglia Muzzarelli ha sovvenuto anche alle necessità ordinarie dell’Istituto, con tale dovizia da farmi dire, un giorno, e con verità, alla Signora Marietta: “L’Istituto è tutto suo”. Posso parlare tranquillamente di interventi della Provvidenza, perché non ho mai chiesto nulla a nessuno, limitandomi, quando richiesto, a far presenti le mie necessità. Ho sempre pensato che l’opera non era mia e che la Provvidenza guidasse Lei le cose in quantità e in qualità.La parte mia, e nostra, è e sarà sempre quella di usare bene quanto ci veniva dato, coll’investire tutto, fino all’ultimo centesimo, per i nostri ragazzi, ma anche coll’ industriarci in tutti i modi per raggiungere il più possibile il difficile traguardo dell’autosufficienza.
Non sono mancati, pure tra il clero, alcuni benefattori, che non solo raccomandavano ragazzi bisognosi, ma che hanno pure pensato che i miei ragazzi avevano un corpo da mantenere e da crescere sano.
Per tutti, ricordo don Domenico Poletti, già prevosto di Lovere, che ha provveduto ad una bella casa per vacanze per i miei ragazzi ad Angone, sita nel comune di Erbanno, in Valle Camonica, utilissima per quei ragazzi che non possono rientrare in famiglia, semplicemente perché non hanno nessuno.
Vicini e lontani
E come non essere riconoscente a chi mi ha aiutato col consiglio, con la vicinanza competente, con la comprensione delle mie difficoltà, con la sopportazione dei miei difetti e delle mie limitazioni?
Ci sono poi persone lontane dalla Chiesa e forse anche dalla fede, che mi hanno aiutato silenziosamente, in ragione dell’opera “filantropica”. Come non ricordare i Zanardelli (proprio lui, Giuseppe, il potente politico anticlericale e la devota sorella Ippolita!)?
Sono queste persone che trovano un posto particolare nei miei colloqui con Gesù benedetto e misericordioso, al quale mi permetto ricordare le sue parole: “Quello che avrete fatto a uno di questi piccoli, l’avrete fatto a me”.
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