LA PRESENZA DELLA CONGREGAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH NEL MONDO

sabato 2 giugno 2012

14 - PADRE PIAMARTA EDUCATORE AL LAVORO E ATTRAVERSO IL LAVORO

Il grande vescovo di Cremona Geremia Bonomelli, amico ammiratore di Padre Giovanni Piamarta (1841-1913), così conclude una sua lettera: “Piamarta è il prete dei tempi moderni ! Quanti giovani ha ricondotto sulla retta via! Quante lacrime ha asciugate! Quanti genitori ha consolati, restituendo loro i figli riabilitati con il lavoro e con la pietà cristiana”.
Il Vescovo sottolinea. in Padre Piamarta, la forza riabilitante del lavoro, della sua potenzialità di ricostruzione della persona del giovane specie se associata alla pietà cristiana.
D’altro canto i suoi ragazzi, diventati padri di famiglia, confermavano le parole del vescovo Bonomelli, quando gli scrivevano “per esprimere il debito di incancellabile riconoscenza per i saldi principi, la saggia parola,il suo esempio, la vita esemplare, per i benefici ricevuti, per i mezzi d’imparare un mestiere”.
Piamarta non è un teorico dell’educazione, ma un educatore che riflette sulla sua peculiare missione di dare dignità attraverso il lavoro a giovani che partivano sfavoriti nella vita.
Ma dalla sua prassi e dai suoi scritti sparsi, si possono tracciare almeno tre indicazioni:
-la prima è un’educazione che parte dal lavoro
-la seconda è l’educazione che conduce alla valorizzazione del lavoro
-la terza è sui ruoli educativi
-Si possono segnalare le sue "fonti segrete"
Lo possiamo fare riportando tre pagine del suo “diario ideale”, di recente pubblicazione:
1.Un itinerario ideale di educazione a partire dal lavoro.
1. I miei ragazzi la prima cosa che capivano era il lavoro. Non che fossero tutti fanatici del lavoro, ma è certo che il lavoro ben fatto li gratificava e soprattutto comprendevano che avrebbe permesso loro di farsi una posizione dignitosa nella vita
Occorreva certo avviarli al lavoro per i quali erano tagliati, perché buona parte della buona riuscita nella vita è fare il lavoro che piace, o, forse meglio, quel lavoro che è più conforme ai talenti ricevuti.
2. Dal lavoro viene lo studio: anche se qui agli Artigianelli i libri all’inizio non erano molto popolari, tuttavia non è stata un’impresa ardua far comprendere come lo sviluppo tecnico presupponga non solo abilità manuale ma anche un bagaglio sempre più corposo di nozioni teoriche.
3. La fatica e la perseveranza necessaria per ottenere dei buoni risultati, aiutava a mettere in evidenza la necessità di formarsi un carattere forte, che non si lascia demoralizzare dalle piccoli e grandi difficoltà, ma che permette di diventare grandi nelle difficoltà.
Quanti ragazzi hanno raggiunto alti traguardi, pur partendo da condizioni sfavorevoli, per il fatto di non lasciarsi piegare dalle condizioni avverse. Un carattere tenace, non lamentoso, che non scarica sempre le colpe sugli altri, che non si lascia abbattere facilmente, che cerca sempre soluzioni alternative, è garanzia di buona riuscita nella vita.
4. Il passo che viene logico è la necessità di formarsi una coscienza che dice che non tutto quello che si desidera è buono, che non tutto quello che è possibile fare, può o deve essere fatto. E’ la formazione all’onestà, a non approfittare della posizione di vantaggio per rovinare l’altro, al tener presenti i bisogni e le difficoltà altrui. Se uno ha più doti di un altro per questo non deve sentirsi superiore e umiliare o affamare l’altro.
In un mondo di furbi, l’onestà è assai probabilmente la furbizia più lungimirante.
5. Alla base di tutto ci sta poi la formazione religiosa che illumina e affina la coscienza, la quale, sapendo di dover rendere conto a Dio, agisce guidata da criteri di umanità e di carità, che vanno ben oltre quelli della nuda giustizia. E tendono a promuovere la fraternità che è ciò che rende vivibile e amabile l’umana avventura.
Mi piaceva ripetere: “Chi si inginocchia davanti a Dio, può camminare a testa alta in mezzo agli uomini. Il santo timor di Dio, fa perdere la paura degli uomini”.
6. E infine, ho sempre combattuto la mediocrità, assunta come progetto di vita, per convincere che il progetto di Dio su di noi è la santità, la quale passa anche attraverso il desiderio di fare bene ogni cosa, il che rende contenti, fa contenti gli altri, ed è anche rasserenante perché non ci si sente soli nella vita.
Il regalo dei miei carissimi ex alunni è proprio quello di confermarmi che li ho aiutati a vivere da uomini e, molti, anche da buoni cristiani.
Penso che sia proprio lo Spirito Santo che ha operato nella mia missione, perché tutto questo ho dovuto inventarlo, cammin facendo, senza alcuna preparazione specifica se non quella del Vangelo.
Ma non è il Vangelo la più possente forza propulsiva della costruzione di un’umanità più umana?”

2. Educare al lavoro
“Ogni giorno, quando passo a visitare le officine dei tipografi, fabbri, falegnami, sarti, panettieri, calzolai ecc., il mio cuore si riempie di gioia nel vedere tanti ragazzi che si preparano alla vita
Il pensiero che molti di essi sono stati tirati fuori dalla strada e da ambienti malsani corporalmente e spiritualmente, mi ripaga assai dei notevoli sacrifici che dobbiamo affrontare per loro.
Il quotidiano contatto con la loro fatica nell’ apprendere bene un mestiere, mi obbliga a spiegare il significato del lavoro, che sarà parte essenziale della loro esistenza.
Oggi ci sono concezioni parziali del lavoro, che non soddisfano, perché non rispondono alla realtà.
Ci sono coloro che lo esaltano, al punto di dimenticare la fatica e le delusioni che spesso lo accompagnano. A quelli che dicono: “Il lavoro nobilita l’uomo” i miei ragazzi più birbanti rispondono, ridacchiando:”Ma lo rende simile alla bestia”.
D’altro lato ci sono coloro che mettono in risalto solo gli aspetti negativi, citando magari il detto .biblico:”Guadagnerai il pane col sudore della tua fronte”. Il che è vero, ma non è tutto.
Il lavoro è anche miglioramento della persona, è occasione di scoprire e di applicare le proprie capacità, è fonte di soddisfazione quando è ben fatto.
Attraverso il lavoro ci si realizza, specie quando il lavoro corrisponde alle proprie attitudini.
Oltre alla realizzazione personale, mi piace presentare il lavoro come contributo al miglioramento della società. Il grande progresso al quale stiamo assistendo è frutto del lavoro sempre più perfezionato. L’intelligenza applicata al lavoro ha creato macchine che lo rendono meno faticoso...
Ma non sempre le cose sono così scorrevoli. Il lavoro va apprezzato, ma quando non da nessuna soddisfazione? Quando non è riconosciuto? Quando non piace?
E i contrasti sul lavoro? Le ingiustizie? Le lotte? Gli odi? Le gelosie? Le rivalità? A Nazareth
Quando penso a queste cose il mio cuore corre a Nazareth,perché a Nazareth si trova il vero senso del lavoro. A Nazareth si lavora, si vive sotto lo sguardo di Dio e ci si vuol bene.
A Nazareth si lavora: Giuseppe insegna un lavoro al Creatore di tutte le cose.
Posso dire con orgoglio ai miei ragazzi che Gesù riceve una formazione ‘artigianale”, é un “artigianello”, è un tecnico che nella bottega di Giuseppe ha vissuto la maggior parte della vita sotto lo sguardo di Dio, crescendo in età, sapienza e grazia, imparando un mestiere e guadagnandosi il pane col sudore della fronte.
“Con ciò le varie condizioni di vita, i vari uffici, tutti i mestieri, sono nobilitati, ingentiliti e consacrati, dall’averne partecipato l’uomo-Dio, il quale, avendo scelto il più umile, con questo suo fatto relativizzò le invidiate grandezze del mondo e conferì invece valore alle cose poco apprezzate”.
Il Figlio di Dio è cresciuto come uomo lavorando, per mostrare come l’uomo che lavora può
crescere nella statura di Figlio di Dio. Il lavoro, che fa parte della vita umana, lo innalza ad altezze vertiginose quando è unito alla volontà del Signore, perché,come dice S. Agostino, permette al “divino Architetto di costruire una casa eterna, attraverso impalcature provvisorie”.
A Nazareth inoltre ci si vuol bene, si collabora, ci si aiuta, si è solidali.
Anche questo è espressione della volontà di Dio, il quale vuole che si cresca nell’amore reciproco.
Lavorando dunque con competenza e onestà, nell’ accettazione delle difficoltà, in solidarietà con chi fatica con noi, vestiamo la nobile livrea dei figli di Dio che collaborano con il Padre onnipotente creatore del cielo e della terra, il quale vuole costruir una dimora eterna per noi attraverso il nostro lavoro di costruttori di impalcature che passano.

3. La divisione dei compiti educativi
“Non mi sono mai piaciute le dispute, nelle quali si compiace il nostro secolo, e dove chi lavora di meno sembra aver più tempo per pensare a come imporsi di più.
Le ho evitate il più possibile, anche perché c’è sempre il pericolo di far prevalere l’amor proprio sull’amore alla verità, oltre al pericolo di mancare alla carità.
Ma qualche volta l’amore per la verità e la difesa dei miei confratelli mi ha spinto a prendere in mano la penna e mettere le cose in chiaro.
Devo avere già accennato alle difficoltà con il dottissimo sacerdote don Baizini, inviato alla Colonia di Remedello per aiutare Padre Bonsignori nella formazione spirituale degli alunni.
Io non ho neppure un decimo della sua scienza, ma non potevo accettare le sue osservazioni dettate probabilmente da una visione troppo teorica della realtà di oggi.
La cultura è obbligata a misurarsi con la dura realtà quotidiana, dove le “belle” idee valgono nella misura in cui servono a interpretare o a cambiare la realtà.
Una svalutazione delle realtà umane.
Il dotto sacerdote rimproverava l periodico La Famiglia agricola di non educare il popolo perché gli articoli del Bonsignori e del Longinotti, pur eccellenti dal punto di vista tecnico scientifico, non contenevano nemmeno “mezza frase di spirituale” e che gli articoli volti all’educazione morale dei contadini, ad allontanarli dall’abuso del vino, dal cattivo uso del denaro e così via, non sembravano ispirati alla morale cristiana, quanto piuttosto ad una morale naturale e laica.
Lo stesso mi scriveva: “Ci vuole molta dose di asineria giornalistica e grande ignoranza del cuore umano, per non capire che ci vuole ben altro per allontanare i contadini dall’uso del vino, dallo sprecare il denaro, dal rubare”.
Questo mi è sembrato un attacco all’impegno di dare risalto alle cause seconde, senza oscurare la Causa Prima, per unire tecnica e religione, aggiornamento scientifico e maturazione spirituale, stima delle realtà naturali e affermazione delle realtà soprannaturali.
In nome del soprannaturale svalutava il naturale: un errore di prospettiva opposto ma analoga, a quella di coloro che in nome del naturale svilivano il soprannaturale.
I campi sono distinti anche se convergenti. A ciascuno il suo: ai tecnici spetta di illuminare sulle competenze professionali, mentre ai formatori religiosi spetta l’illustrazione delle realtà eterne.
“La missione, concludevo la mia lettera insolitamente lunga. è duplice, di ordine diverso, ma mira ad un identico scopo finale”.
Dobbiamo aver fiducia nella ragione e nella volontà umana rafforzate dalla grazia, per rispettare la creazione che non viene cancellata , ma elevata, dal Dio redentore.
Se i due piani vanno distinti, non vanno opposti, per non dividere fede e ragione, come vorrebbero coloro che in nome della ragione vogliono cancellare la fede.
L’educazione è fatta anche di equilibrio, di buon senso, di gradualità, di fiducia nelle potenzialità del giovane quando è sorretto dalla grazia del Signore, di paziente attesa.
E’ una vera arte, dove il meglio astratto è nemico del bene concreto-Illumina Signore me e i miei collaboratori nell’educazione.“

4. Le fonti
Le fonti alle quali P.Piamarta ha attinto non sono le teorie pedagogiche, ma quelle più modeste e forse più impegnative dei santi. Da buon bresciano era più colpito dall’esemplarità che dalle teorizzazioni.
In questo settore si possono ricordare tre Maestri-esemplari, come punti di riferimento: Benedetto, Ignazio di Loyola, Filippo Neri
Perché il lavoro sia cristiano, occorre unire la “mistica del lavoro che trasforma la persona” (Benedetto) alla”mistica del lavoro che trasforma il mondo” (Ignazio), in un clima di serenità e di gioia (Filippo Neri).
a)Benedetto e la perfectio operantis
Il lavoro, nella tradizione benedettina, è visto come ascesi, come mezzo per salire a Dio.
Il lavoro deve essere “regolato”, dal capriccio disordinato ad una ratio ordinata, alla collaborazione, in obbedienza.
Infatti a Dio si va con i passi della ferialità, della quotidianità orientata a Dio.
Benedetto si concentra sulla causa prima di fronte alla quale si vive l’esistenza quotidiana,fortiter, fideliter, feliciter.
“Voi siete i benedettini dell’era moderna” dichiarava ammirato l’abate Caronti, nella visita apostolica in vista dell’ approvazione della Congregazione S.Famiglia di Nazareth, voluta anni prima da P.Piamarta.
Del resto l’Istituto Artigianelli sorgeva su un terreno che, per più di mille anni, era parte della celebre abbazia benedettina di Santa Giulia, un luogo dove il binomio, ora et labora, pietas et labor hanno costituito un programma formidabile per la ricostruzione della civiltà occidentale.

b) Ignazio di Loyola: nella cultura umanistica rinascimentale cresce l’attenzione per la cause seconde, che dà importanza all’ oggettività del lavoro ben fatto, espressione della capacità dell’uomo, della sua virtus.
Da qui la valorizzazione della professionalità e della competenza. Si parla di perfectio operis. Importante per il miglioramento e l’umanizzazione del creato, che va continuamente “ordinato” dall’impegno dell’uomo.

c)Filippo Neri sottolinea il lato gioioso della vita cristiana, al quale dà grande contributo la festa e l’allegria quotidiana.
In P. Piamarta ’impegno per organizzare le grandi feste era pari all’impegno dell’organizzazione del lavoro. Soleva ripetere che “di festa in festa, si va in Paradiso”: la festa fa parte della pietas, dell’orientamento, del senso della vita, che è destinata a sfociare nella grande festa eterna.
Nella festa si interpreta il lavoro quotidiano, si dà un’anticipazione di quello che ci attende.
Alla base c’è la visione benedettina: lo splendore della liturgia parla del risultato ultimo del lavoro: si vive per fare festa più di quanto non si faccia festa per lavorare.
Ripresa e reinterpretata dai gesuiti, con la festa barocca: la festa in chiesa non deve essere da meno della profana. Anzi la festa deve cominciare in chiesa, una festa allegra, paradisiaca, barocca.
S. Filippo Neri vuole trasformare la vita quotidiana in una festa, con la scoperta della bellezza della vita cristiana, fonte di allegria.
Per questo occorre diffondere l’allegria attraverso il gioco, la musica, il teatro, la gioia della buona coscienza e dell’essere amici del Signore.
Coll’ occupare il tempo libero facendone il “tempo dell’allegria”, col nobilitare il quotidiano con il lavoro ben fatto, con la festa solennizzata che proietta e anticipa il futuro positivo.

Conclusione
P. Piamarta educa attraverso il lavoro e al lavoro, ma immettendo il lavoro nel complesso della realizzazione dell’uomo nel suo cammino verso Dio.
Nessuna idolatria del lavoro, ma anche valorizzazione del lavoro, fonte di sostentamento, di realizzazione personale, di miglioramento del mondo, di santificazione.
Per questo si rifà ai grandi maestri della tradizione cristiana, che hanno preso sul serio l’importanza del lavoro, a partire dal Maestro, che prima imparò la dura lezione del lavoro a Nazareth, per poterla poi diffondere nel corso dei secoli.
E ne ha acquistato in semplicità e incisività.
padre Piergiordano Cabra

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