Ho lasciato la Parrocchia, per dedicarmi ai giovani, a 45 anni, un’età nella quale abitualmente si lasciano i giovani per assumere un lavoro meno movimentato. Mi è dispiaciuto abbandonarla e qualche volta sento nostalgia per quella vita più normale per un prete, con un programma più prevedibile, dove si sa quello che si deve fare e dove, se ci si dona, ci sono tante belle soddisfazioni.
In parrocchia
Posso dire di non aver risparmiato energie ed entusiasmo là dove sono stato inviato. Celebrata la prima Messa il giorno di Natale del 1865 a Bedizzole dove era parroco il mio benefattore e guida don Pezzana, il giorno dopo mi sono portato a Carzago Riviera, un piccolo paese di 500 abitanti, come aiutante al parroco. Qui mi sono dedicato alla Dottrina cristiana, al confessionale e alla cura degli infermi. Per me, che venivo dalla città, l’immettermi nei limitati orizzonti di una vita contadina, di “un piccolo borgo antico”, ha creato non pochi disagi iniziali, che ho superato dedicandomi ai giovani. Dopo l’esperienza di curato a Bedizzole, ho seguito don Pezzana quando è stato destinato all’importante parrocchia Sant’Alessandro in città, dove ho potuto dare origine ad un oratorio assai frequentato e stimato. Quanti giovani sono passati nel nostro oratorio e quante persone ho potuto avvicinare, grazie al contatto con le famiglie, la visita agli ammalati, la direzione spirituale, le belle funzioni religiose! E poi l’esperienza inattesa ma intensa di parroco a Pavone Mella, dove, dopo alcune difficoltà iniziali, mi sono trovato a mio agio. La vita di parrocchia mi si confaceva e mi dava anche delle soddisfazioni sacerdotali e umane.. Tuttavia noi non siamo chiamati tanto a cercare soddisfazioni, quanto a rispondere alle nostre vocazioni. E la mia vocazione era quella di pensare ai ragazzi bisognosi di tutto. Questa vocazione si è delineata subito, fin dai primi tempi del mio ministero, quando ho notato l’emorragia dei giovani dalle nostre parrocchie di campagna dovuta all’emigrazione e all’inurbamento e poi, una volta in città, al pratico abbandono di chi non aveva punti di appoggio. Senza contare quei ragazzi svegli e capaci, che dovevano accontentarsi di un lavoro miserello, quando, con un poco di istruzione, avrebbero potuto realizzarsi e formarsi una buona famiglia.
Un nuovo stile di vita
Ho dovuto inventarmi così un nuovo stile di vita, in parte assai simile a quello dei laici i quali devono portare avanti la famiglia, facendo non pochi sacrifici e che, contemporaneamente devono pensare all’educazione dei figli. Mi sono accorto che queste occupazioni possono portare lontano dal Signore, se ci assorbono totalmente. Mentre possono avvicinarci più sicuramente a lui, se vissute come servizio a Dio nei suoi figli. C’è una santità nel servizio e del servizio che appare meno affascinante di quella dell’andare direttamente a Dio. Forse la linea diretta verso Dio è stata teorizzata più compiutamente, perché chi vi si dedicava aveva più tempo a disposizione. Per noi, badilanti del servizio, resta poco tempo per belle costruzioni di teoria spirituale. L’eredità che vorrei lasciare ai miei continuatori è quella di mettere al centro i giovani, specie se poveri e abbandonati, a preferenza dei propri gusti personali. E vivere in mezzo a loro. Non conosco metodo educativo più efficace del condividere la vita dei ragazzi, dedicare tempo a loro, lo stare assieme a loro e accanto a loro, sia che corrispondano, sia che recalcitrino. E’ una vita che tiene giovani, anche perché esige di rinnovare ogni giorno la giovinezza spirituale. Non diciamo ogni giorno “Mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che rende lieta la mia giovinezza”?
In parrocchia
Posso dire di non aver risparmiato energie ed entusiasmo là dove sono stato inviato. Celebrata la prima Messa il giorno di Natale del 1865 a Bedizzole dove era parroco il mio benefattore e guida don Pezzana, il giorno dopo mi sono portato a Carzago Riviera, un piccolo paese di 500 abitanti, come aiutante al parroco. Qui mi sono dedicato alla Dottrina cristiana, al confessionale e alla cura degli infermi. Per me, che venivo dalla città, l’immettermi nei limitati orizzonti di una vita contadina, di “un piccolo borgo antico”, ha creato non pochi disagi iniziali, che ho superato dedicandomi ai giovani. Dopo l’esperienza di curato a Bedizzole, ho seguito don Pezzana quando è stato destinato all’importante parrocchia Sant’Alessandro in città, dove ho potuto dare origine ad un oratorio assai frequentato e stimato. Quanti giovani sono passati nel nostro oratorio e quante persone ho potuto avvicinare, grazie al contatto con le famiglie, la visita agli ammalati, la direzione spirituale, le belle funzioni religiose! E poi l’esperienza inattesa ma intensa di parroco a Pavone Mella, dove, dopo alcune difficoltà iniziali, mi sono trovato a mio agio. La vita di parrocchia mi si confaceva e mi dava anche delle soddisfazioni sacerdotali e umane.. Tuttavia noi non siamo chiamati tanto a cercare soddisfazioni, quanto a rispondere alle nostre vocazioni. E la mia vocazione era quella di pensare ai ragazzi bisognosi di tutto. Questa vocazione si è delineata subito, fin dai primi tempi del mio ministero, quando ho notato l’emorragia dei giovani dalle nostre parrocchie di campagna dovuta all’emigrazione e all’inurbamento e poi, una volta in città, al pratico abbandono di chi non aveva punti di appoggio. Senza contare quei ragazzi svegli e capaci, che dovevano accontentarsi di un lavoro miserello, quando, con un poco di istruzione, avrebbero potuto realizzarsi e formarsi una buona famiglia.
Un nuovo stile di vita
Ho dovuto inventarmi così un nuovo stile di vita, in parte assai simile a quello dei laici i quali devono portare avanti la famiglia, facendo non pochi sacrifici e che, contemporaneamente devono pensare all’educazione dei figli. Mi sono accorto che queste occupazioni possono portare lontano dal Signore, se ci assorbono totalmente. Mentre possono avvicinarci più sicuramente a lui, se vissute come servizio a Dio nei suoi figli. C’è una santità nel servizio e del servizio che appare meno affascinante di quella dell’andare direttamente a Dio. Forse la linea diretta verso Dio è stata teorizzata più compiutamente, perché chi vi si dedicava aveva più tempo a disposizione. Per noi, badilanti del servizio, resta poco tempo per belle costruzioni di teoria spirituale. L’eredità che vorrei lasciare ai miei continuatori è quella di mettere al centro i giovani, specie se poveri e abbandonati, a preferenza dei propri gusti personali. E vivere in mezzo a loro. Non conosco metodo educativo più efficace del condividere la vita dei ragazzi, dedicare tempo a loro, lo stare assieme a loro e accanto a loro, sia che corrispondano, sia che recalcitrino. E’ una vita che tiene giovani, anche perché esige di rinnovare ogni giorno la giovinezza spirituale. Non diciamo ogni giorno “Mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che rende lieta la mia giovinezza”?
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