47. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra
Le chiavi della ‘cella vinaria’, dove sono conservate le poche bottiglie di vino eccellente, le ho sempre tenute gelosamente io. Il motivo è semplice: oltre al detto scritturistico: “Dove ci sono molte mani, fa uso di molte chiavi”, quei preziosi vetri sono riservate alle occasioni di visite illustri. Quando abbiamo ospiti, all’inizio del pranzo, dopo la preghiera, i confratelli sanno che lascio per un momento la tavola, scendo nella cantina segreta e torno solennemente con una bottiglia di quelle che, al solo apparire, rallegrano le grandi occasioni. Quelle visite erano e sono una festa dell’ospitalità. Poveri sì, ma generosi. Parsimoniosi quando siamo tra di noi, ma accoglienti quando il Signore ci manda un ospite. Particolarmente benvenuti sono i sacerdoti, che sono accolti con la riverenza e la cordialità che si addice alla loro dignità, spesso solitaria e incompresa.
Una visita indimenticabile
Anni fa era venuto all’Istituto, per sistemare degli alveari, il benemerito agronomo don Giovanni Bonsignori, parroco di Pompiano. Gran conversatore, incoraggiato dall’ambiente cordiale e curioso, parlò con tanto fervore e competenza della nuova agricoltura da lui promossa, da lasciare tutti entusiasti, me compreso, che gli feci immediatamente la proposta di mettere su assieme una scuola di agricoltura, da me vagheggiata da tempo, per provvedere anche ai figli del campo, come si era già provveduto ai figli del mondo del lavoro artigianale e industriale.
Nacque così, in un contesto di cordiale ospitalità, la Colonia Agricola di Remedello, ormai ben nota anche oltre i confini della Patria. La venuta di ospiti è quasi sempre occasione di conversazioni arricchenti che ci aiutano a guardare oltre i confini necessariamente ristretti dei nostri interessi e delle nostre preoccupazioni. Ma dà anche l’opportunità di accogliere il Signore, il quale viene sotto le spoglie di un ospite. “Hospes es? Cristus es”, diceva San Benedetto. “Sei ospite? Sei Cristo”.
La nostra tavola
La Provvidenza non ci lascia mancare il necessario, anche se a giorni dobbiamo misurare persino il pane, per condividerlo con i nostri ragazzi sempre affamati. Il nostro incontrarci a tavola deve essere un momento di relax di fraternità, di distensione. Se a ciascun confratello tocca un quintino di vino, a tutti è richiesto di attenersi al detto di Sant’Agostino: “Non è degno di sedersi a questa mensa colui che parla male degli assenti”. Su questo punto, tutti sanno che non ammetto deroghe, preoccupato come sono di salvaguardare e promuovere la carità fraterna. Con vera gioia ho trovato queste righe in una lettera dell’avvocato Trabucchi: “Ho sempre presente quella loro simpatica sala da pranzo, quella armonia, quella pace che vi regna e mi piacciono tanto anche le loro discussioni, così moderne e accalorate”. Cominciamo con una breve lettura della vita di qualche santo (alcune durano anche dei mesi), e poi passiamo alla conversazione, dove sono attese le notizie della giornata, dove scambiamo i nostri pareri e dove i più intraprendenti ci rallegrano con le loro piacevolezze. Se entriamo in refettorio con la mente carica di preoccupazioni, dobbiamo uscirne più rinfrancati, più ottimisti, più pronti ad affrontare serenamente la scatenata vitalità dei ragazzi e dei giovani. Se il Signore a tavola ha fatto le cose più belle, noi a tavola dobbiamo crescere nella fraternità, “in letizia e in semplicità di cuore”, che è poi la cosa più bella che ci è data da fare.
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