LA PRESENZA DELLA CONGREGAZIONE SACRA FAMIGLIA DI NAZARETH NEL MONDO

domenica 27 aprile 2014

344 - RISURREZIONE

da "i pensieri di padre Piamarta"

Chi è mai quel «Grande» che, rimasto per tre giorni nel sepolcro, è risuscitato? Ah! Lo riconosco! Riconosco quella luce divina che illumina le sue membra tornate a nuova vita; riconosco soprattutto quelle cicatrici al fianco, alle mani, ai piedi, e le vedo splendenti come diamanti illuminati dal sole. Sì, è Gesù che tre giorni fa pendeva sanguinante cadavere dal legno infame della croce. Ha fatto bene il Padre, conforme alle promesse delle Scritture, a risuscitarlo. Ma la Chiesa, che siamo noi come membra di questo corpo, ha una ragione grandissima per rallegrarsi. «Haec dies quem fecit Dominus». Il Signore ci ha dato questo giorno la certezza della patria celeste e ci ha dato il modello di quella che sarà la nostra risurrezione.


La speranza e la certezza della risurrezione della nostra carne dovrà essere la verità fondamentale della nostra vita, che dovrà aiutarci a vivere un' autentica vita cristiana. Soprattutto ci insegnerà che non amiamo di vero amore il nostro corpo, quando lo accarezziamo e lo contentiamo in tutti i nostri appetiti disordinati. Infatti, che razza di amore sarebbe il nostro, se per dare al nostro corpo un poco di gioia turpe e fugace, avessimo a fargli perdere i grandi beni che dovrà ricevere nell' altra vita?
Lo volete sapere, allora, in che cosa deve consistere il vero amore verso il nostro corpo? Consiste nel rispettarlo come cosa sacra destinata a gioie immortali, consiste nel non insozzarlo di immoralità, perché deve servire a opere di bene, consiste nel saperlo imbrigliare e domare come uno sfrenato puledro che vuole correre all’ impazzata perdendo se stesso perché possa donarsi alle nobili aspirazioni dell'anima che sono l'amore e la donazione.


Se tutto il nostro studio e il nostro sforzo qui in terra come persone che camminano in direzione all'eternità è posto nel conformare la nostra vita alla vita di Gesù povero, Gesù paziente, Gesù che soffre, come non credere che Lui, ora, vestito di immortalità, non vorrà conformare al suo corpo queste nostre povere membra ancora deboli, corruttibili e inferme? Ah! No! Sarebbe una grande ingiuria alla sua generosità solo dubitarne. Lo stesso S. Paolo lo afferma «Reformabit corpus humilitatis nostrae configuratum corpori claritatis suae» (Fil. 11,21) (Trasformerà il corpo della nostra povertà simile al suo corpo di luce).


O Principi del cielo non chiudete le vostre porte, anzi, spalancatele, affinché possa entrare il corteo degli eletti rivestiti del loro corpo risuscitato e possano entrare assieme all'umanità gloriosa del divino Redentore. Non starebbe bene vedere un capo trionfante al quale mancasse il corpo e le membra di questo corpo.


Giobbe venti secoli prima della risurrezione di Gesù fece la stessa affermazione che farà più tardi S. Paolo quando disse: «lo so, lo so che il mio Redentore vive». E se il mio Redentore vive, anch'io dopo molti secoli risusciterò dalla gelida terra. Un'altra volta questa mia pelle si stenderà sulle mie ossa ricomposte. Si coloriranno un' altra volta le mie guancie, si accenderanno di nuovo i miei occhi e con questi occhi nuovi vedrò il mio Salvatore. «Videbo Deum Salvatorem meum». E Giobbe, quasi dubitasse di essersi spiegato male e quindi pensasse di non essere stato ben capito aggiunge: «Sì, sì, io, proprio io e non un' altra persona vedrà il Salvatore», «quem visurus sum ego et non alius».


La sua carne nel sepolcro si riposa nella speranza. Lo sapete il perché? Perché i nostri resti mortali germineranno dai sepolcri come l'erba germina sul prato. Anche il seme è necessario che si corrompa per potere, poi, germinare. «Ossa vestra sicut herba germinabunt». Noi abbiamo quindi la stessa speranza che ha il contadino quando vede che i semi che ha affidato alla terra stanno corrompendosi: crediamo nel loro riaprirsi alla vita nuova.


Sì, cari, se avremo nel cuore la speranza della Risurrezione, questa verità ci darà la forza di essere tetragoni davanti a tutte le difficoltà.

mercoledì 9 aprile 2014

343 - VESTIRE L'UOMO CON L'ALITO DI DIO


Lettura dell'opera

"Vestire l'uomo con l'alito di Dio" sintetizza bene l'opera e l'azione di padre Giovanni Piamarta.
Al di là di qualsiasi descrizione riguardante la persona, può evidenziare il motore
 spirituale ed umano di questo meraviglioso sacerdote.

Autore dell'opera: Angelo Mazzocca

342 - UN SERVO PIGRO E INUTILE

37. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra

Oggi, giorno di ritiro. Tempo propizio per bilanci, anzi per pensare al bilancio definitivo e decisivo, che sento sempre più vicino. Sento che le mie forze declinano e mi trovo a pensare di essere ormai qui d’inciampo per i miei collaboratori. Recentemente ho gettato nella costernazione i confratelli, quando mi hanno sentito dire: “Perché l’Istituto prosperi, bisogna che io me ne vada. Io sono d’inciampo al suo progredire”.
Mi dispiace d’averli addolorati, ma io sento davvero dentro di me un profondo senso di inadeguatezza nei confronti del compito affidatomi dalla Provvidenza. E non soltanto ora che invecchio, perché è da sempre che mi accompagna come un’ombra il sospetto di essere un servo pigro, indolente e inutile. Quanto bene avrei potuto fare, se avessi corrisposto ai suggerimenti dello Spirito Santo e alle grazie che il Signore mi ha dato per il bene della gioventù!
Per fortuna le somme le tira la misericordia di Dio, il quale chiede che noi abbiamo fiducia in Lui come il Figliol prodigo ha avuto fiducia nel Padre quando è ritornato a lui. Questa considerazione mi tranquillizza, ma anche mi stimola a porre rimedio alla mia pigrizia.

Una predica da meditare

Devo essere infatti preoccupato non solo della quantità del bene fatto o da farsi, ma anche della qualità del bene che mi è dato da fare. A questo proposito rileggo volentieri per me e per i miei collaboratori quella predica che il Manzoni, nei Promessi Sposi mette sulle labbra di Padre Felice, quando parla ai guariti di peste. Sono parole che io e noi dovremmo dire ai ragazzi, quando hanno terminato la loro permanenza tra di noi: “Per me e per tutti i miei compagni che, senza alcun nostro merito, siamo stati scelti all’alto privilegio di servire Cristo in voi, io vi chiedo umilmente perdono se non abbiamo adeguatamente adempito un sì grande ministero.
Se la pigrizia, l’indocilità della carne ci ha reso meno attenti alle vostre necessità, non pronti alle vostre chiamate; se un’ingiusta impazienza, se un colpevole tedio ci ha fatti qualche volta comparirvi davanti con un volto annoiato e severo; se qualche volta il miserabile pensiero che voi aveste bisogno di noi ci ha portati a non trattarvi con tutta quell’umiltà che si conveniva; se la nostra fragilità ci ha fatto trascorrere a qualche azione che vi sia stata di scandalo: perdonateci! Così Dio perdoni a voi ogni debito e vi benedica!”

L’umiltà del servo buono e fedele.

Devo crescere in umiltà per non pensare d’essere un benefattore, dal momento che non sono che un servo che ha avuto il privilegio di essere chiamato a servire il mio Signore nei ragazzi. Non posso vantarmi d’aver fatto del bene, perché devo chiedermi prima se ho servito Lui o se ho promosso la mia immagine, se ho servito con umiltà il mio Signore o se ho maltrattato i suoi figli credendomi a loro superiore o migliore, se ho servito anche quando comandavo o se ho comandato anche quando dicevo di servire. Tutto quello che ho è un dono di cui non posso minimamente vantarmi, perché devo riceverlo con gratitudine e responsabilità. E’ un dono l’opportunità datami d’aver fatto del bene, ma devo esaminarmi per chi l’ho fatto e come l’ho fatto. O per usare le parole di Padre Felice: “Sentendo che la vita è un dono suo, ne facciamo quella stima che merita una cosa data da Lui, e la impieghiamo nelle opere che si possono offrire a Lui”: L’umiltà è entrare nella verità essenziale delle cose: è comprendere che servire il prossimo bisognoso è servire il Signore, e ciò va fatto con tutta l’attenzione, la venerazione e l’amore che merita. E questo è un privilegio, perché servire a Lui è regnare.
Come posso continuare ad essere un servo pigro, indolente e, Dio non voglia, un servo inutile?

341 - UNA GUIDA PER BEN GUIDARE

36. Dal “Diario” di Padre Piamarta di Pier Giordano Cabra

Per fortuna c’ è San Francesco di Sales!
E’ a lui che mi rivolgo tutte le volte che sono richiesto di qualche consiglio specie da parte di laici,che sempre più numerosi desiderano essere aiutati nella loro vita spirituale. Prima di tutto mi domando come quel sant’uomo abbia potuto scrivere tante lettere, con tutto quello che aveva da fare.
Quando penso a lui mi vergogno di rimandare la risposta a chi, opportunamente o meno, mi sottopone dei quesiti di vario genere. Riflettendo sul bene enorme che quegli scritti hanno fatto non solo ai destinatari, ma anche a noi, prendo la penna e, spesso, con gli occhi assonnati, prolungo la giornata per onorare l’impegno a non lasciare nessuna lettera inevasa.
Nelle mie risposte attingo molto al mirabile equilibrio del vescovo di Ginevra, il quale ha reso accessibile la santità a tutte le categorie di persone, aiutandole non a fuggire dalla loro situazione, ma a stare con amore dove il Signore le ha poste.
La santità, ripete spesso, non consiste nel fare grandi cose ma nel rendere grandi le piccole cose con un grande amore.

Uomini completi

Ai laici che devono vivere nella attuale società competitiva ricordo che l’uomo deve andare a Dio con tutto se stesso, potenziando e regolando le proprie doti. L’uomo completo è quello che realizza la sua umanità alla luce del Vangelo. Quanto mi vengono utili le parole del santo Vescovo per incoraggiare e orientare: “Non cerchiamo cose sensazionali, facciamo soltanto ciò che è comune, con buona volontà”
“Non cerchiamo di diventare angeli, sforziamoci soltanto di diventare uomini buoni”
“Gli uomini immaturi antepongono le opere esterne di misericordia alla clemenza del giudizio sugli altri”.“L’uomo maturo, nobile, intelligente e colto, lo riconosci da questo: che i suoi pregi lo rendono semplice e modesto. Spiriti nobili e sani, non attribuiscono valore all’ orpello di titoli, onori e inchini: queste cose le lasciano ai mediocri”. Infatti: “Tanto più uno sa fare unità tra religione e doveri terreni, tanto più egli è amabile”

Verso la perfezione evangelica

Alle Religiose che chiedono il mio consiglio, presento il suo programma di vita , che vale per tutti, ma in modo particolare per coloro che si sono consacrati a Dio: “Nulla domandare e nulla rifiutare”
Il che significa di abbandonarsi fiduciosamente a quanto il Signore crede meglio per noi:”Unirsi sempre a Dio, nella luce e nelle tenebre: nelle tue mani Signore il mio spirito”.
“Questo dimenticarsi per non occuparsi che dell’oggetto amato è uno dei più bei frutti dell’amore, una delle forme abituali dell’abbandono e della santa indifferenza, virtù sulle quali i Trattenimenti spirituali insistono particolarmente”. E’ un’opera questa che ho letto, riletto, citata e e commentata tantissime volte, con profitto.

Un esempio speciale

Anche come fondatore, Egli mi è stato, nel mio piccolo, di esempio. Quando stava delineandosi la fondazione delle Suore, Madre Elisa Baldo insisteva per avere un regolamento. Ecco la mia risposta: “San Francesco di Sales, il principe dell’ascetica e la Chantal donna mirabilmente grande e cotanto illuminata, non credettero e non osarono scrivere da loro regole nuove per l’Istituto che fondavano e si valsero di quelle stesse di Sant’Agostino, con lievi modificazioni. E noi? Dovremmo presumere di osare ciò che non osarono codesti giganti di santità e di sapienza? Le consiglio di prendere in mano le regole dell’Istituto del Cottolengo per studiarle insieme”

Grazie Signore d’avermi illuminato con la dottrina e l’esempio di questo amabile gigante di santità!

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